Corte di Cassazione, Sentenza n. 32991 del 2011 Sentenza redatta da un magistrato che non risulta ricompreso tra i magistrati indicati nell’epigrafe

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Motivi della decisione

V. A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova in data 5 ottobre 2010 con la quale è stata confermata la sentenza del GUP presso il Tribunale di La Spezia in data 22 settembre 2009 con cui il ricorrente è stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1000 di multa, in ordine ai reati tentata rapina aggravata continuata e violenza sessuale.
A sostegno dell’impugnazione il ricorrente ha dedotto:
a) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ex ad. 606, lett. c) c.p.p. con riferimento all’art. 525 c.p.p.
Il ricorrente lamenta la violazione del principio dell’immutabilità del giudice in quanto, secondo quanto risulta dalla sentenza la stessa è stata redatta dal dott. G. P., che non risulta ricompreso tra i magistrati indicati nell’epigrafe dell’impugnato provvedimento tra quelli facenti parte del collegio giudicante; la circostanza concretizzerebbe la nullità prevista dall’art. 525, comma 2, c.p.p., in base al rinvio previsto per il giudizio d’appello dall’ad. 598 c.p.p. , che sanziona appunto il principio di immutabilità del giudice, codificato sul piano internazionale dall’art. 6 della CEDU.
b) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett e ) c.p.p. con riferimento alla prova della penale responsabilità dell’imputato.
Il ricorrente lamenta la sottovalutazione operata dai giudici di merito dell’attendibilità delle testimonianza rese dai testi indicati dalla difesa, tanto da inviare gli atti relativi alle loro dichiarazioni alla Procura della Repubblica per competenza. Al contrario, in maniera immotivata, sarebbero state ritenute attendibili, coerenti e utili a fondare sulle stesse la declaratoria di responsabilità del prevenuto le testimonianze delle parti offese;
c) Inosservanza di nonne processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità o decadenza ex ad. 606 lett. e) c.p.p., con riferimento agli artt. 64 comma 3 bis, 350, commi 3 e 6 e 191 c.p.p. conseguente vizio di motivazione ex ad. 606, lett. e) c.p.p.
Il ricorrente censura la qualificazione attribuita alle dichiarazioni rese dal ricorrente alla p.g. come spontanee, ai sensi dell’art.. 350, ultimo comma c.p.p. e la loro conseguente utilizzabilità, in palese violazione dell’art. 64 comma 3 bis c.p.p. Né potrebbe essere condiviso il giudizio di marginalità dell’importanza delle stesse, secondo la valutazione operata dalla Corte d’appello, perché proprio con riferimento al loro contenuto è stata ritenuta l’inattendibilità delle deposizioni testimoniali della difesa.
d) Inosservanza o erronea applicazione ex ad. 606 lett. b) c.p.p., con riferimento agli artt. 133, 81 cpv. e 62 bis c.p. e difetto di motivazione ex art. 606.lett. e) c.p.p. in ordine alla determinazione della pena
Il ricorrente censura i criteri di dosimetria della pena utilizzati dai giudici di merito per pervenire alla quantificazione in concreto della stessa con il contemporaneo diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Osserva la Corte che deve ritenersi infondato il primo motivo secondo cui la indicazione dei membri del collegio nella epigrafe della sentenza impugnata, in cui non risulta il nominativo dell’estensore della motivazione, comporterebbe una nullità assoluta ed insanabile della sentenza stessa, ai sensi deII’art. 178 cod. proc. pen., comma 1, lett. a). In effetti la sentenza depositata l’11 novembre 2010 contiene nella motivazione e nella sottoscrizione finale l’indicazione come relatore del dott. G. P. mentre nella intestazione viene indicato, tra i componenti del collegio, il nome della dott.ssa T. B. anziché quello del collega P. Tuttavia dalla lettura del verbale della udienza in camera di consiglio del 5 ottobre 2010 dinanzi alla Corte d’appello di Genova, risulta che il collegio era composto dai dott. M. R. D’A., R. D. N. e G. P.; in base a tali atti non può dunque contestarsi che il dott. P. partecipò alla udienza, alla decisione ed alla lettura del dispositivo. Ed è utile sottolineare come all’udienza abbia partecipato lo stesso difensore di fiducia, il quale nel ricorso sottolinea esclusivamente la difformità tra epigrafe della sentenza e indicazione del nome dell’estensore della medesima, senza fare alcun riferimento al verbale d’udienza.
Ritiene pertanto la Corte che sia di assoluta evidenza, quindi, che si tratti di un semplice errore materiale commesso nella redazione grafica della intestazione della sentenza non essendovi alcun dubbio, in base alla documentazione presente agli atti, sulla effettiva composizione del collegio che ha partecipato all’udienza ed ha pronunciato la relativa deliberazione.
In questo senso il collegio ritiene che debba trovare applicazione il principio assolutamente prevalente in giurisprudenza, secondo il quale nel contrasto tra intestazione della sentenza, o dell’ordinanza, e risultanze del verbale del dibattimento sono quest’ultime a dover prevalere, in considerazione del valore probatorio del verbale. Tale documento fa fede infatti fino a querela di falso (v. Cass., sez. Il, 23 gennaio 2009, n. 18570, CED 244442, Cass., sez. III, 4 ottobre 2005, n. 41941, CED 232828; Cass., sez. I, 1″ aprile 2004, n. 20993, Ivone; v. anche Cass., 11 marzo 2008, n. 23983, CED 241240 con riferimento alla discordanza tra intestazione e dispositivo dell’indicazione dell’ufficio giudiziario), con la conseguenza che deve ritenersi emendabile con il rimedio della correzione dell’errore materiale, senza che la circostanza dia luogo ad alcuna nullità, l’indicazione, nell’intestazione della sentenza, di un componente del collegio giudicante diverso da quello che ha preso parte alla deliberazione e che risulta invece dal verbale d’udienza. La circostanza costituisce infatti un mero errore materiale ed una semplice irregolarità formale, cui può essere posto riparo con la relativa procedura, dal momento che questa non importa una modifica essenziale dell’atto, in quanto la reale situazione trova incontestabile riscontro e documentazione nelle risultanze del verbale del dibattimento (Sez. 3, 6 febbraio 1996, Fusco, m. 204.707; Sez. Un., 27 settembre 1995, Ricci, m. 202.402; Sez. 1″, 13 giugno 1991, Fontecchio, m. 188.315; Sez. 4″, 10 gennaio 1990, Esposito, m. 183.512; Sez. 2″, 21 novembre 1983, Cattozzo, m. 163.611). In questo senso non può essere accolto l’isolato orientamento in base al quale è stata ritenuta viziata da nullità assoluta le sentenza nel caso di attestazione riferita ai giudici che hanno deliberato, diversa dalla attestazione di quelli che hanno partecipato all’udienza riportata nel relativo verbale (Cass. sez. V, 4 novembre 2009, n. 47164, CED n. 245400), in cui peraltro è stato ritenuto che la modalità di compilazione materiale del verbale fosse inidonea a fare completa chiarezza sul punto.
Gli altri motivi sono manifestamente infondati.
Osserva la Corte che nel ricorso si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si veda in particolare il riferimento alle presunte contraddittorie motivazioni della persona offesa B., in realtà assolutamente coerenti in logica concatenazione dal momento di presentazione della querela allo svolgimento dell’incidente probatorio e alla dedotta inattendibilità della C. che in realtà trova pesantissimi riscontri nel numero di targa dell’auto fornito agli inquirenti, che ha permesso di risalire al V. e nella disponibilità dell’appartamento nei pressi del luogo dove venne tentata la rapina in danno della seconda parte offesa, oltre ai riconoscimenti specifici effettuati da entrambe parti offese dell’imputato come autore dei delitti in loro danno, e al rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di due coltelli a serramanico verosimilmente utilizzati per porre in essere i tentativi di rapina; allo stesso modo appaiono assolutamente generiche le contestazioni relative all’assenza di spontaneità delle dichiarazioni del V. nell’immediatezza del fatto, con la precisazione che, in ogni caso come hanno ritenuto i giudici di merito, le stesse sono assolutamente irrilevanti rispetto alla declaratoria di responsabilità del prevenuto in ordine ai fatti come ritenuti in sentenza). Il superamento della prova di resistenza del giudizio finale di responsabilità, all’interno di una logica e coerente ricostruzione dei fatti ha fatto correttamente esprimere una valutazione di assoluta inattendibilità in ordine alle dichiarazioni dei testi della difesa raccolte in sede di indagini difensive, come tali meritevoli del vaglio della Procura competente.
Allo stesso modo appaiono attinenti esclusivamente a motivi di merito le censure relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e ai criteri di dosimetria della pena, pienamente rispettosi dei parametri di cui all’art. 133 c.p. e 62 bis c.p., con riferimento alla gravità complessiva dei fatti.
Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794). E ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità “ex officio” in ogni stato e grado del procedimento – una questione, quale quelle sopraricordate, che aveva formato oggetto dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione sul punto deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606, terzo comma, ultima parte, cod. proc. pen.”. ( Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, 197748).
Uniformandosi a tale orientamento che il Collegio condivide, in considerazione della manifesta infondatezza solo di alcuni punti del ricorso, va dunque rigettata l’impugnazione.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deve essere disposta la correzione dell’errore materiale sopraindicato, nel senso che dove nell’epigrafe della sentenza impugnata n. 2555/20 10 della Corte d’appello di Genova è scritto quale componente del collegio “T. B.” deve intendersi corretto e scritto “G. P.”;
manda alla cancelleria per le annotazioni di rito.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, disponendo la correzione dell’errore materiale sopraindicato, nel senso che dove nell’epigrafe della sentenza impugnata n. 2550/2010 della Corte d’appello di Genova è scritto quale componente del collegio “T. B.” deve intendersi corretto e scritto “G. P.”;
manda alla cancelleria per le annotazioni di rito
Depositata in Cancelleria il 02.09.2011

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