Corte di Cassazione, Sentenza n. 32907 del 2011 Critica all’operato delle forze dell’ordine; Non costituisce ingiuria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Fatto e diritto

Hanno proposto ricorso per cassazione (…) e (…) parti civili, avverso la sentenza del Giudice di Pace di Torino in data 12 aprile 2010 con la quale (…) è stato assolto dal reato di ingiurie aggravate ex art. 61 n. 10 cp.
L’accusa mossa al ricorrente dalle persone offese, con ricorso immediato proposto ex art. 21 d. lgs. n. 274 del 2000, era quella secondo cui, essendo queste intervenute per sedare un dissidio familiare nella qualità di appartenenti al corpo della Polizia di Stato, il (…) le avrebbe apostrofate affermando che non erano in grado di fare il loro mestiere e non erano capaci di fare null’altro, fatto commesso nel settembre 2008.
Il Giudice di pace ha ritenuto che le espressioni attribuite al prevenuto non fossero volte né idonee ad aggredire il patrimonio morale delle persone offese essendo piuttosto mirate a criticare l’operato degli agenti che, chiamati dallo stesso ricorrente per potere rientrare nella casa che il convivente rifiutava di aprire, non erano riusciti a porre rimedio all’acuto disagio dell’imputato stesso.
L’assoluzione era dunque pronunciata perché il fatto non sussiste.
Deducono i ricorrenti, agli effetti sia penali che civili ex art. 38 d. lgs. n. 274 del 2000, 1) la erronea applicazione della legge: il giudice avrebbe escluso la offensività delle espressioni rivolte alle persone offese senza considerare che quella relativa alla “incapacità” delle stesse integrerebbe un argumentum ad hominem, ossia una offesa alla persona e non al suo operato.
Tanto si desumerebbe dalla struttura della contestazione in esame che, comprendendo tanto l’interesse della persona il cui onore è leso quanto, come aggravante, la lesione del decoro in quanto pubblico ufficiale (art. 61 n. 10), renderebbe evidente la plurioffensività necessaria della condotta in discussione.
Inoltre il ragionamento del giudice sarebbe in violazione del principio costituzionale di uguaglianza laddove lo stesso organo giudicante, osservando che il comportamento del prevenuto era stato sgarbato e omologo a un generalizzato comportamento di invettiva nei confronti dei pubblici ufficiali avrebbe preteso di comprimere il diritto alla tutela dei diritti fondamentali della personalità in capo a pubblici ufficiali dotati degli stessi diritti dei cittadini.
2) il vizio di motivazione
Soprattutto in riferimento alla attribuzione agli operanti dell’epiteto di “incapaci” la difesa rileva una carenza e o manifesta illogicità della motivazione.
A suo avviso il giudice, pur evocando la assenza di offensività nella condotta contestata, ha utilizzato argomenti che sottintendono il ricorso a scriminanti ed in particolare al diritto di critica, utilizzato però del tutto impropriamente dal momento che l’imputato aveva fatto ricorso ad espressioni inutilmente dileggianti: e ciò nei confronti di pubblici ufficiali che avevano tenuto un comportamento ineccepibile essendo nella impossibilità di far rientrare nella propria casa il ricorrente in ragione del fatto che l’occupante la casa, suo convivente, aveva riferito di essere oggetto di comportamenti aggressivi da parte del prevenuto.
Né appare legittima la valorizzazione del “nervosismo” in cui il prevenuto si sarebbe trovato posto che tale circostanza sembrerebbe evocare la scriminante della provocazione ex art. 599 comma 2 cpp senza però tenere conto che gli operanti non avevano posto in essere alcun fatto ingiusto.
Infine la valenza altamente spregiativa delle frasi pronunciate dal ricorrente starebbe nel fatto che egli aveva anche chiaramente alluso alla sua posizione economica forte rispetto a quella degli agenti, tale da consentirgli di farli convocare da un avvocato.
Era vero semmai che il prevenuto aveva mostrato assoluto disprezzo per la Polizia e non considerazione per la alta funzione svolta dalle parti civili;
3) in via subordinata la erroneità della formula assolutoria che avrebbe dovuto essere commutata in quella “perché il fatto non costituisce reato”.
I ricorrenti invocano, infine, la compensazione delle spese di lite.
I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
Occorre preliminarmente dare atto del fatto che la sentenza del giudice di pace è stata correttamente impugnata dalle parti civili agli effetti sia penali che civili ex art. 38 d. lgs. n. 274 del 2000 con lo strumento previsto per il pubblico ministero che, contro la sentenza di assoluzione del giudice di pace è il solo ricorso per cassazione (v. artt. 38 e art. 36 d. lgs. n. 274 del 2000 come modificato dall’art. 9 comma 2 legge n. 46 del 2006, la cui legittimità costituzionale è stata confermata da C. Costituzionale n. 298 del 2008.
Passando al merito, occorre muovere dalla premessa che la sentenza impugnata ha basato la intera considerazione e la valutazione dell’accaduto sul rilievo secondo cui le frasi che sono attribuite al prevenuto come condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 594 cp non presenterebbero, nel caso di specie, idoneità offensiva e pertanto non sarebbero tali da far sussistere il fatto-reato in discussione. Sul punto, occorre precisare che la sentenza, pur escludendo che le frasi in discussione costituiscano di per sé insulti, ha anche aggiunto che si è trattato di un giudizio espresso dall’imputato sull’operato degli agenti che egli riteneva inadeguato e inefficace.
E’ noto che la giurisprudenza in tema di ingiuria e relativa alla offensività della condotta osserva che la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata (Rv. 247972).
Nello stesso senso vi sono pronunzie che dimostrano la necessità di calibrare la valenza e la portata di una espressione in relazione al momento e al contesto sia ambientale che relazionale in cui la stessa viene proferita.
Anche l’epiteto “pazzo” è stato in concreto ritenuto privo di natura diffamatoria quando pronunciato come espressione di una discussione avente ad oggetto la funzionalità e la organizzazione di una attività, in quel caso, di ufficio (Rv. 247218).
Allo stesso modo è stata ritenuta penalmente punibile l’espressione che di per sé ecceda il limite della continenza, consistendo non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale della persona che, anche nel contesto di vivace polemica di un confronto politico, resta penalmente rilevante (Rv. 244811).
Nel caso di specie, escluso che si contesti da parte dei ricorrenti la continenza delle espressioni già ritenuta correttamente dal giudice, deve rilevarsi come non possa ritenersi superato il discrimine della legittima espressione di una critica all’operato, giudicato negativamente quanto ad efficacia, delle forze dell’ordine.
Invero, così come ampia giurisprudenza ammette, la legittimità della critica dell’operato del magistrato e di altre istituzioni pubbliche, la censura all’operato delle forze dell’ordine non può essere esclusa aprioristicamente, come sembra auspicare il difensore, in ragione soltanto della qualità soggettiva del destinatario della critica medesima.
La contestualizzazione delle frasi nell’ambito di una situazione che vedeva il prevenuto comunque non tutelato dalle istituzioni di fronte all’esigenza di rientrare nella propria casa rende ragione di un giudizio del giudice di pace affermativo della assenza di efficacia offensiva di espressioni rivolte a criticare i comportamenti e non le persone fisiche.
A fronte di tale inquadramento e definizione della vicenda, le censure dei ricorrenti si pongono come richiesta di diversa ricostruzione dell’occorso, previa diversa interpretazione di una frase che, ad avviso della difesa, sarebbe stata volta a umiliare gli operanti e che invece il giudice del merito, con valutazione in punto di fatto, plausibile e sottratta all’ulteriore sindacato della Cassazione, ha giudicato, per la qualità delle espressioni utilizzate, per la situazione in cui sono state pronunciate, dirette a esprimere insoddisfazione per la tutela non ricevuta e, quindi, non lesive del decoro dei due agenti intervenuti.
Il livello di guardia ormai raggiunto nei rapporti interpersonali, pure citato dal giudice, se non può certo valere a escludere la offensività di espressioni invece dotate di tale connotato, vale però come citazione della massima di esperienza secondo cui l’immediato e ormai generalizzato ricorso a frasi meno che urbane nelle relazioni sociali non può richiamare una risposta giudiziaria repressiva che estenda la tutela prevista contro la lesione dell’onore del decoro anche a casi di contestazione dell’operato altrui.
Tanto premesso non può trovare apprezzamento alcuna delle ulteriori deduzioni ed in particolare quelle volte a criticare la utilizzazione implicita di cause si giustificazione o di non punibilità, estranee al caso di specie.
Non ha fondamento, per le stesse ragioni neppure la richiesta di mutamento della formula proscioglitiva, posto oltretutto che se fosse vero che il giudice aveva deciso sulla base di una riconosciuta causa di giustificazione non vi sarebbe stato neppure l’interesse della parte civile al ricorso sotto il profilo qui in discussione, secondo l’insegnamento delle Sezioni unite (Sez. U. Sentenza n. 40049 del 29/5/2008 Ud. dep. 28/10/2008 Rv. 240815).
Ha infatti osservato il supremo consesso che è inammissibile per difetto di interesse concreto, il ricorso immediato per cassazione della parte civile, che sia diretto esclusivamente alla sostituzione della formula ” perché il fatto non sussiste” con quella, corretta, “perché il fatto non costituisce reato” nella sentenza di assoluzione che abbia accertato l’esistenza della causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto, in quanto detto accertamento, quale che sia la formula del dispositivo, ha efficacia di giudicato nell’eventuale giudizio civile o amministrativo di danno.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Depositata in Cancelleria il 26.08.2011

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