Cassazione civile n. 16570 del 28.7.2011 Accertamento, fiscale, azienda, abitazione, gravi indizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento notificato il 28.12.1999 l’agenzia delle entrate di …….. rettificò la dichiarazione Iva della s.r.l. (..) per l’anno 1995, irrogando sanzioni nella misura di legge. La rettifica trovò fondamento in un p.v. di constatazione della polizia tributaria, a mezzo del quale fu contestata un’indebita detrazione di imposta conseguente alla registrazione di fatture di acquisto per operazioni inesistenti.

La società propose ricorso, con esito favorevole, alla commissione tributaria provinciale di ……… La relativa sentenza, gravata dall’agenzia delle entrate, fu confermata in appello, dalla commissione regionale delle Puglie, sulla preliminare e assorbente considerazione che l’accesso nei locali dell’impresa non era stato autorizzato dal procuratore della Repubblica. Donde sia l’accesso che gli atti consequenziali erano da ritenere invalidi e insuscettibili di produrre effetti.

Invero la commissione ritenne provato – in considerazione dei prodotti certificati anagrafici, della planimetria dell’immobile e di uno stralcio di deposizione testimoniale resa in separato procedimento penale da uno dei militari verbalizzanti – che l’opificio in questione fosse in verità adibito a uso promiscuo, avendo costituito al contempo sede dell’impresa e (in locali comunicanti) luogo di abitazione familiare. Avverso la sentenza d’appello, pubblicata il 16 maggio 2005 e non notificata, l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sorretto da un motivo.

La società (..) resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del d.p.r. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché vizio di motivazione.

Lamenta che la succinta motivazione dell’impugnata sentenza non consente di intendere con esattezza cosa la commissione abbia inteso per “uso promiscuo”; in particolare se, con tale locuzione, abbia inteso riferirsi all’uso, tanto commerciale-industriale, quanto abitativo, degli stessi locali, ovvero alla semplice contiguità, e possibilità di accesso, tra i locali adibiti a opificio e i locali adibiti ad abitazione. Sostiene che, ove intesa la statuizione in fatto in tal secondo senso, errata ne sarebbe la conclusione in diritto, dal momento che la fattispecie prevista nell’art. 52 cit. si realizza quando nello stesso locale il soggetto contestualmente abiti e svolga la propria attività d’impresa; mentre, in caso di abitazione contigua ai locali di esercizio dell’impresa, l’autorizzazione del p.m. si rende necessaria solo per eventualmente accedere ai locali destinati ad abitazione privata.

Se invece intesa nel primo senso, la sentenza – aggiunge la ricorrente – sarebbe viziata nella motivazione, dal momento che il convincimento sarebbe stato insufficientemente argomentato con rinvio a dati -planimetrici e anagrafici – evidenzianti accessi esterni dell’opificio nettamente separati da quello dell’abitazione, e a uno stralcio di deposizione in verità allusiva della esistenza di un’abitazione (della famiglia (..)) soltanto annessa.

2. – Il motivo è infondato; e tanto induce la Corte a non esaminare l’eccezione preliminare formulata da parte controricorrente sulla rilevanza preclusiva di un supposto giudicato esterno.

3. – L’accertamento in fatto, di cui all’impugnata sentenza, evidenzia in modo chiaro e testuale – con affermazione sul punto non contrastata dall’amministrazione finanziaria – che nella specie ebbe a trattarsi di locali adibiti a uso promiscuo in considerazione della comprovata esistenza di punti comunicanti tra l’opificio e l’abitazione della famiglia (..).

La relativa destinazione invero sussiste – in base alla giurisprudenza di questa Corte – non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, come invece asserito dall’amministrazione medesima; ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi.

In simile eventualità è comunque necessaria l’autorizzazione all’accesso da parte del procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52, 1° co., del d.p.r. n. 633/1972, ancorché non essendo richiesta, all’uopo, la presenza di gravi indizi di violazioni di norme del medesimo d.p.r. secondo quanto invece stabilito dal 2° co. della disposizione de qua allo specifico fine di reperire, in locali diversi da quelli destinati all’attività d’impresa, libri, registri, documenti e scritture.

In tema di accertamento dell’Iva, cioè, l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dall’art. 52, 1° e 2° co., d.p.r. n. 633/1972 ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione i del contribuente o a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione), è sempre necessaria.

Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie soltanto in quest’ultimo caso (id est, appunto, in locali “diversi” in quanto solo abitativi), e non anche quando si tratti di locali a uso promiscuo (cfr. Cass. n. 2444/2007; n. 10664/1998). Ma resta ferma la necessità dell’autorizzazione previa, ancorché non motivata dai ripetuti gravi indizi, laddove si sia in presenza di immobili complessivamente destinati – in ragione della facilità di comunicazione interna – anche a un uso abitativo. In tal caso l’autorizzazione all’accesso da parte dell’A.G., in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente , lo spazio di libertà del contribuente, rileva alla stregua di condicio sine qua non per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (da ultimo, per riferimenti, Cass. n. 6908/2011). Giacché il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost. (v. Cass. n. 8181/2007; n. 19689/2004).

IV. – Il ricorso pertanto è respinto. Stimasi equo compensare le spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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