CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 13 settembre 2011, n.18745 RISARCIMENTO DA IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO

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Osserva

2. la Corte di merito ha rigettato la domanda ritenendo provata documentalmente l’assenza di qualsiasi patema d’animo da parte del ricorrente, per avere questi adito il giudice amministrativo nella piena consapevolezza della infondatezza della domanda temeraria proposta;

con i cinque motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, il ricorrente deduce che il diritto all’equa riparazione spetta indipendentemente dal fatto che la parte sia risultata vittoriosa o soccombente, salvi i casi di abuso del processo;

3. il ricorso appare manifestamente fondato; infatti, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall’importanza sociale della vicenda, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità; di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e perciò costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa, e che non abbisogna di essere provato neppure a mezzo di elementi presuntivi (Cass. 2005/21088; 2006/7139);

3.1. nel caso di specie, la Corte di merito non si è uniformata all’orientamento sopra richiamato, ravvisando la temerarietà della domanda nella infondatezza della pretesa fatta valere, in quanto sorretta da argomentazioni in aperto contrasto con la logica nel voler assimilare tutte le missioni operative all’estero senza tener conto della peculiarità di ciascuna di esse in ragione del particolare teatro di operazioni e in considerazione della stravaganza dell’eccezione d’incostituzionalità proposta nel ricorso collettivo, senza però evidenziare elementi idonei a configurare nella condotta del ricorrente una situazione di abuso del processo volta a perseguire il perfezionamento della fattispecie di cui all’art. 2 della legge 2001/89;

4. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c.”; B) osservato che il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione non notificato al ricorrente e che il R. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che pertanto, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso merita accoglimento e che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.; che in particolare – determinato in cinque anni e cinque mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, protrattosi davanti al TAR Lazio per otto anni e cinque mesi dal 6 luglio 2000 al 10 dicembre 2008 (data della sentenza), previa detrazione del termine ragionevole di durata determinato in tre anni secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e di questa Corte – il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009;

secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purché detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di cinque anni e cinque mesi, l’indennizzo di Euro 4.650,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 4.650,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonché di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

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