Corte di Cassazione – Sentenza n. 32857 del 2011 Commercialista indagato per truffa – La cancellazione dall’albo non incide sulla misura della custodia cautelare in carcere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Rilevato in fatto

Con il provvedimento di cui in epigrafe, il TdR di Genova ha confermato la condanna della custodia cautelare a carico di C. C., indagato in relazione al delitto ex art. 416 c.p per essersi associato con L. R. N., L. R. C., S. Ma. e altri, allo scopo di commettere una serie di truffe in danno di istituti di credito dai quali, sulla base di falsa documentazione, riuscivano a farsi erogare mutui (in Genova fino al 2009).
Al C., ragioniere commercialista è addebitata specificamente l’attività di predisposizione della falsa documentazione da inoltrare in banca.
Ricorre per cassazione il difensore e deduce: 1) mancanza di esigenze cautelari, in quanto egli, per sua stessa iniziativa, è stato cancellato dall’albo dei commercialisti ed esperti contabili. Lo stesso ha anche manifestato la volontà di modificare il suo stile di vita, dedicandosi, insieme col figlio, alla attività agricola. Per altro, mentre l’attività per la quale si procede avrebbe avuto inizio, per stessa ammissione del PM, nel 2001, al C. è contestata la partecipazione alla societas sceleris solo a far tempo dal 2006. E’ dunque evidente che a lui non può essere attribuito il ruolo di promotore o comunque di soggetto apicale, 2) inosservanza della legge penale e, in particolare, violazione dell’obbligo di motivazione. Il reato per il quale si procede presuppone la consapevolezza e volontà di ciascun associato di partecipare a una struttura delinquenziale, fornendo il proprio contributo alfine di perseguire uno scopo comune. Ebbene, il ricorrente conosce solo i due L. R. e il S. nulla sa degli altri pretesi associati. Egli si è occupato della semplice elaborazione dei documenti, sulla base dei dati a lui forniti (dati della cui correttezza non aveva ragione di dubitare); gli si può dunque rimproverare la superficialità, ma non la malafede: è stato ricompensato con modesti onorari (da 100 a 500 euro). Gli era poi stato assicurato che il suo lavoro sarebbe stato controllato da altro commercialista. Egli ignorava che la documentazione sarebbe stata utilizzata per richiedere mutui bancari. Ebbene, il provvedimento del TdR nulla riporta in ordine alle difese del C., che quindi non confuta. Il Collegio cautelare, conseguentemente, non illustra in base a quali elementi ha raggiunto il suo convincimento. Nulla scrive poi il giudicante in ordine al problema della scadenza del termine della disposta misura cautelare, problema pur sollevato con la richiesta di riesame.
In ogni caso, la misura disposta appare assolutamente sproporzionata e non concludente è la motivazione del TdR per negare la meno afflittiva misua degli arresti domiciliari. Il riferimento agli ingenti profitti della operazione truffaldina non può riguardare il C., il quale come anticipato, veniva ricompensato con qualche centinaio di euro.
In sintesi, il provvedimento impugnato manca di motivazione e di una specifica analisi del caso concreto.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile, essendo, al contempo, generico (nella parte in cui formula aspecifiche doglianze di scarsa attenzione del TdR al “caso concreto” e di mancata risposta a doglianze alle quali, viceversa, sia pure per implicito, il TdR ha replicato, manifestamente infondato (nella parte in cui chiede l’applicazione di normativa non pertinente: quella relativa alla custodia cautelare a “scadenza predeterminata”) e articolato in fatto (nella parte in cui propone una alternativa ricostruzione dei fatti). Singolarmente, poi il ricorrente antepone le doglianze relative alle esigenze cautelari a quelle attinenti alla sussistenza degli indizi di colpevolezza.
Questo Collegio, ovviamente, seguirà l’ordine inverso.
Il TdR ha chiarito di aver formulato il suo convincimento circa la posizione del C. in base a quattro elementi; 1) la precisa e dettagliata chiamata in correità da parte di L. R. N., 2) il rinvenimento presso il C. di documentazione incriminata 3) le dichiarazioni del funzionario di banca C., che ha chiarito che l’indagato inviava direttamente in banca i dati contabili richiesti per le operazioni di finanziamento, 4) il contenuto della corrispondenza (cartacea ed elettronica sequestrata presso di lui, dalla quale si evince tanto la consapevolezza della natura truffaldina dell’operato del C. e dei suoi coindagati, quanto lo sforzo del ricorrente per superare le obiezioni e le resistenze degli istituti di credito.
Tale essendo la struttura del provvedimento impugnato, è evidente che la “risposta” alle doglianze proposte con l’atto di riesame è implicito e, per così dire, “contenuta” nello stesso apparato argomentativo esibito dal decidente. Ciò dicasi per la dedotta inconsapevolezza da parte del C. (smentita dalle risultanze sub 2) e 4) per l’assunto che egli avesse rapporti solo con i L. R. e S. e mai con le banche (circostanza smentita da quanto riportato sub 3).
La sua “mancata partecipazione agli utili”, poi, evidentemente si fonda unicamente sulla sua parola, ma contrasta con l’economia del sistema, essendo poco logico (e quindi credibile) che un soggetto essenziale per la consumazione delle truffe, si accontentasse di modeste somme. In tal senso, d’altra parte, non sembra essere la dichiarazione del L. R. N.
Quanto alle esigenze cautelari, premesso che solo per quel che riguarda il pericolo di inquinamento della prova è prevista (ex art. 292 lett. d) cpp) l’apposizione di un termine (mentre nel caso in esame è stato ravvisato il pericolo di reiterazione di condotta criminosa), il TdR nota come la cancellazione dall’albo appaia circostanza poco significativa, atteso che il rischio consiste non nel fatto che C. reiteri lo stesso reato, ma reati della stessa indole. Ciò egli ha fatto in passato, come il suo certificato penale sta a dimostrare. Sulla base di tali argomentazioni, il Collegio cautelare, giunse, non illogicamente, a ritenere che -all’epoca- unica misura adeguata fosse quella della custodia intramuraria.
Il ruolo di promotore, infine, non é necessariamente connesso al momento storico della nascita della associazione, potendosene promuovere l’attività in ogni momento.
Consegue condanna alle spese del grado.
Consegue anche condanna al versamento di somma a favore della Cassa ammende.
Si stima equo determinare detta somma in € 1000.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni ex art. 94 disp.att.cpp.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille euro a favore della Cassa ammende. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp.att. cpp.

Depositata in Cancelleria il 25.08.2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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