Cassazione, sez. II, 14 settembre 2011, n. 18793 Appello o reclamo contro l’ordinanza del giudice unico che ha carattere decisorio?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.P.A., nella qualità di erede e custode giudiziario dei beni immobili caduti nell’eredità del fratello L.P.C. (morto il omissis), con ricorso del 14.10.98 adì il Pretore di Noto, al fine di sentirsi reintegrare nel possesso di un magazzino sito in quella cittadina, lamentandone lo spoglio ad opera di G.C., che con atto di compravendita del 24.11.70 aveva acquistato detto immobile, senza tuttavia esserne mai stato immesso nel possesso, in quanto resosi moroso nel pagamento del prezzo e, successivamente, dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Catania in data 24.3.72. Esponeva il ricorrente di aver constatato detto spoglio, posto in essere mediante sostituzione del "catenaccio" alla porta, soltanto in data 15.10.97, in occasione dell’accesso dell’ufficiale giudiziario ai fini della, non riuscita, esecuzione di uno sfratto per morosità convalidato il 15.9.94, a carico del conduttore, tale S., cui l’immobile era stato concesso in locazione il 1.2.86 da L.P.C., che, a sua volta, già dichiarato fallito nel XXXX, era poi tornato in bonis a seguito della chiusura del fallimento, riprendendo possesso anche di quel bene, nel quale successivamente esso ricorrente, nominato custode del compendio nell’ambito della controversia ereditaria pendente davanti al Tribunale di Siracusa, era stato immesso con verbale dell’ufficiale giudiziario della Pretura di Noto in data 23.1.92.

Costituitosi il G., resisteva al ricorso, eccependo di essere entrato in possesso dell’immobile subito dopo la stipula dell’atto di compravendita e, dopo la parentesi fallimentare, conclusasi con omologazione del concordato e conseguente decreto di chiusura del 1.4.03, di esserne rientrato in possesso, tanto da poter successivamente ed indisturbatamente, nel corso del 1995, dopo aver diffidato l’assunto conduttore S. a non molestarlo, apporvi un "catenaccio", ragione quest’ultima per cui eccepiva anche la tardività dell’azione possessoria. Con ordinanza in data 27.2.01 il Tribunale di Siracusa, sez. dist. di Avola, cui la causa era pervenuta, rigettò la domanda, compensando le spese, ritenendo che L.P.C., in quanto fallito, non fosse stato nel possesso del bene e che conseguentemente non avrebbe potuto esserlo L.P.A., e che, comunque, l’azione di reintegrazione fosse stata proposta tardivamente.

Avverso tale "ordinanza" L.P.A., dopo aver interposto reclamo al Tribunale, dichiarato inammissibile per la ritenuta natura decisoria dello stesso, propose appello, che, resistito dal G, venne accolto, tranne che in ordine alla richiesta risarcitoria, dalla Corte di Catania, con sentenza del 1/11-6-05, ordinandosi la reintegrazione del ricorrente nel possesso del magazzino e condannandosi il resistente al pagamento, per due terzi, delle spese del doppio grado.

Riteneva la suddetta corte: a) che L.P.C. , dopo la chiusura del suo fallimento, fosse rientrato in bonis e, quindi, anche nel possesso del magazzino, che non era mai stato consegnato all’inadempiente acquirente G., come poteva desumersi anche dalle circostanze che il predetto lo aveva concesso in locazione nel 1986 a tale S. e che, successivamente, lo stesso G. avesse, il 5/2/95 e dopo la morte di L.P.C. , indirizzato al custode L.P.A., un "dichiaratorio", così riconoscendolo possessore dell’immobile; b) che il possesso anzidetto fosse di per sé meritevole di tutela, indipendentemente dalla sussistenza di un titolo legittimo; c) che, pur risalendo lo spoglio, operato con la sostituzione del "catenaccio", all’aprile del 1995, essendone il L.P. venuto a conoscenza soltanto in occasione del tentativo di esecuzione dello sfratto in data 15.10.97, come desumibile da vari concorrenti elementi, tra cui l’assenza del conduttore dovuta ad inagibilità dell’immobile, il ricorso del 14.10.98 fosse da considerare tempestivo; d) che tale inagibilità comportava l’infondatezza della domanda di risarcimento, dovendo si escludere la sussistenza di danni da mancato reddito.

Avverso la suddetta sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Ha resistito il L.P. con controricorso, contenente ricorso incidentale.

Il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c., censurandosi il mancato esame dell’eccezione dell’appellato, secondo cui l’appello sarebbe stato inammissibile, in considerazione che la decisione del "Pretore di Noto" era già stata impugnata dal L.P., con il reclamo proposto al tribunale e da questo dichiarato inammissibile, con conseguente esaurimento del diritto all’impugnazione.

Il motivo, pur non fondato, consente tuttavia di rilevare di ufficio (in ragione dell’attinenza ad un presupposto processuale del giudizio di secondo grado) un diverso e successivo motivo di inammissibilità dell’appello.

Premesso che la "consumazione" del diritto all’impugnazione presuppone l’omogeneità tra i rimedi impugnatori proposti in successione di tempo contro il medesimo provvedimento (v. Cass. 22897/04) va anzitutto chiarito che tale presupposto nella specie non sussisteva poiché l’"ordinanza", pronunziata in data 27.2.01 dal giudice monocratico del Tribunale di Siracusa – sez. dist. di Avola, (e non dal Pretore di Noto) era stata reclamata ai ritenuti sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., davanti al collegio, nel convincimento che la stessa avesse posto termine alla sola fase sommaria del procedimento possessorio, mentre invece si era trattato – come correttamente evidenziato, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, dal Tribunale di Siracusa con l’ordinanza collegiale del 20.7.00, dichiarante inammissibilità del reclamo – di un provvedimento decisorio definitivo, come tale non reclamabile, ma appellabile.

Avendo il tribunale siracusano dichiarato inammissibile il reclamo, e non certo un appello, nessuna preclusione, sotto il preliminare profilo dedotto nel mezzo d’impugnazione, sussisteva alla proposizione di tale appropriato rimedio impugnatorio avverso la sostanziale sentenza (v. in termini Cass. n. 6190/01).

Ma tale facoltà il L.P. avrebbe dovuto, nella specie, esercitare nel termine breve al riguardo previsto dagli artt. 325 e 326 c.p.c., la cui decorrenza rimaneva ancorata a quella della data in cui egli aveva proposto l’improprio rimedio impugnatorio (il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.), a termini dell’indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, che il collegio condivide e ribadisce, secondo il quale "il principio, secondo cui la notificazione dell’impugnazione, ancorché quest’ultima sia inammissibile o improcedibile, equivale, sul piano della "conoscenza legale" da parte dell’impugnante, alla notificazione della sentenza impugnata, si applica anche nell’ipotesi in cui la dichiarazione d’inammissibilità o improcedibilità non precluda la proponibilità di un diverso rimedio, il quale, per tanto, deve essere notificato nel termine breve decorrente dalla data dell’impugnazione originaria" (Cass. 3^ n. 20547 del 20.10.04, conf. n. 10177 del 1994).

In applicazione di tale principio, dunque, deve ritenersi palesemente tardivo l’appello che, come risulta dalla narrativa della sentenza impugnata, venne proposto con atto di citazione notificato in data 9.4.2002, ben oltre dunque i trenta giorni dalla legale conoscenza della ordinanza- sentenza de qua, costituita dalla data , 16.3.2001, in cui (come rilevasi dall’ordinanza dichiarante la relativa inammissibilità) il reclamo era stato proposto.

Restano pertanto assorbiti i rimanenti motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale. Consegue, da quanto precedeva cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, con diretta pronunzia in questa sede, ex art. 384 co. 1 u.p. c.p.c., dell’inammissibilità del gravame.

Giusti motivi, infine, tenuto conto della particolarità della vicenda, processualmente definita sulla base di un rilievo officioso, comportano la compensazione totale delle spese del giudizio di secondo grado e del presente.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, pronunziando sul primo motivo di quello principale, dichiarati assorbiti i rimanenti motivi di tale ricorso, nonché quello incidentale, cassa la sentenza impugnata senza rinvio e, decidendo sull’appello, lo dichiara inammissibile.

Dichiara totalmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio e di quello d’appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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