Cassazione sez. II, 25 luglio 2011, n. 16235 Leasing. Locatore responsabile, se il veicolo risulta venduto dal fornitore non proprietario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.n.c. La P. di I. & C. convenne dinanzi al Tribunale di Parma la L s.p.a. esponendo di avere stipulato, in data 19 gennaio 1999, un contratto di leasing in forza del quale la L si era impegnata ad acquistare dalla ditta B, concessionaria della società costruttrice Man, un veicolo da allestire con una gru e di concederlo in godimento alla società La P. dietro il pagamento dell’importo di lire 18.550.000 al momento della firma dell’atto ed il versamento di 47 canoni mensili di lire 3.974.000 cadauno: che la L aveva versato il prezzo pattuito alla B ma ricevuto, anziché l’originale, una copia poi accertata falsa del certificato di conformità dello stesso; che la Man, effettiva proprietaria del mezzo, aveva revocato ogni incarico al concessionario B e si era rifiutata di consegnare i documenti necessari per l’immatricolazione dell’automezzo. Tanto esposto, chiese che fosse accertato il mancato perfezionamento del contratto di leasing ovvero che ne fosse disposta la risoluzione per inadempimento della convenuta, con sua condanna alla restituzione degli importi versati.

Nel contempo la L s.p.a. propose al Presidente del Tribunale di Milano ricorso per decreto ingiuntivo per ottenere dalla società La P. e dai consorti I., in qualità di soci fideiussori, il pagamento dei canoni non corrisposti previsti dal medesimo contratto di leasing. Proposta opposizione da parte di tutti gli intimati, il Tribunale di Milano annullò il decreto ingiuntivo per difetto di competenza territoriale in favore del Tribunale di Parma, dinanzi al quale la causa fu riassunta e riunita a quella introdotta dalla società La P..

In esito del giudizio, il Tribunale di Parma dispose la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento della società L, che condannò alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione dello stesso. Interposto gravame, con sentenza n. 586 del 25 maggio 2005 la Corte di appello di Bologna confermò la decisione di primo grado, assumendo che la L doveva considerarsi inadempiente in quanto non aveva acquistato il veicolo oggetto del contratto di leasing, atteso che la proprietà dello stesso risultava intestata a persona diversa dal suo dante causa B, vale a dire alla società costruttrice Man, che aveva conservato presso di sé il certificato di conformità del mezzo, sicché non poteva considerarsi realizzato il trasferimento del godimento del bene in favore dell’utilizzatore; aggiunse, inoltre, che la circostanza che La P. avesse sottoscritto la dichiarazione di avvenuta consegna del bene non comportava a carico di essa nessuna responsabilità in ordine al mancato acquisto da parte della L né quest’ultima poteva invocare a suo favore la clausola di esonero della responsabilità prevista dal contratto, che escludeva a carico della concedente la colpa per eventuali ritardi nella consegna dei documenti di circolazione del bene ed accollava all’utilizzatore l’impegno di verificare che il veicolo fosse dotato dei documenti necessari per la sua omologazione, tenuto conto che il mancato acquisto era dipeso dal comportamento della stessa concedente L, che non aveva accertato che il suo dante causa B fosse il reale proprietario del bene, nonché dell’ulteriore circostanza che il verbale di consegna del mezzo venne fatto sottoscrivere alla società La P. anticipatamente in bianco, su moduli predisposti dalla L medesima, senza indicazione della data della consegna e del collaudo, in effetti mai avvenuto. Con atto notificato il 28 novembre 2005, la società L ricorre per la cassazione di questa decisione, affidandosi a quattro motivi. La società La P. ed i consorti I resistono con controricorso. La s.p.a. Unicredit Leasing, già L per atto di variazione della denominazione sociale, e i controricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 815, 818, 1153, 1156 e 1376 cod. civ. ed omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che non vi era agli atti la prova dell’acquisto del veicolo oggetto del contratto di leasing da parte della L ed ha anzi escluso il relativo trasferimento in forza della mera circostanza che la società costruttrice Man aveva trattenuto presso di sé il certificato di conformità. Tale affermazione, ad avviso della ricorrente, è totalmente errata, per avere il giudice territoriale ignoralo e quindi disapplicato il principio consensualistico che regge il contratto di compravendita, il quale si forma ed è efficace in forza della manifestazione del mero consenso delle parti, rientrando invece la consegna dei documenti inerenti al bene e le eventuale trascrizione del trasferimento in pubblici registri tra gli adempimenti successivi alla conclusione del contratto. Nel caso di specie, si aggiunge, è pacifico ed incontestato che la tra Locai e la B intercorse un accordo per la vendita dell’automezzo. Il mezzo è infondato.

Le censure sollevate dal ricorso non hanno pregio in quanto non investono l’effettiva ratio della decisione impugnata, la quale ha escluso la validità ed efficacia dell’acquisto dell’automezzo ad opera della società L non già in ragione della mancata consegna dei documenti inerenti al mezzo ma in quanto la cessione era stata stipulata da persona, la ditta B, che risultava non essere l’effettiva proprietaria del bene venduto né di avere mai concluso con la costruttrice società Man un valido contratto di acquisto. La sentenza si sottrae, pertanto, alle censure di violazione di legge, avendo giustificato la soluzione in ordine alla inefficacia dell’acquisto non per ragioni inerenti al procedimento di formazione del contratto o all’adempimento di obblighi accessori, ma in ragione della mancata titolarità della proprietà del bene in capo alla parte venditrice. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 815, 818, 1140, 1147, 1153 e 1156 cod. civ. ed omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, lamentando che la Corte di merito non abbia riconosciuto che comunque la L era diventata proprietaria del veicolo in virtù delle disposizioni in materia di acquisto a non domino di beni mobili, atteso il principio giurisprudenziale secondo cui il bene mobile che, pur dovendo essere iscritto nei pubblici registri, non sia stato ancora iscritto, è oggetto di acquisto da parte del possessore di buona fede secondo le modalità di cui all’art. 1153 cod. civ. L’affermazione della sentenza secondo cui la L non avrebbe nemmeno allegato circostanze idonee ad affermare un suo valido acquisto a non domino appare il risultato di un grave errore nella valutazione delle risultanze degli atti, atteso che i requisiti sia soggettivi che oggettivi dell’acquisto a non domino erano insiti nella stessa dinamica dei fatti in discussione, una volta tenuto conto che la L era stata immessa nel possesso del veicolo mediante la sua consegna alla società La P. e che essa, nel momento dell’acquisto, era chiaramente in buona fede, ignorando che lo stesso era di proprietà di altri. Il motivo appare inammissibile.

Né dalla lettura del ricorso né dalla visione della sentenza impugnata emerge che nel corso del giudizio di merito la società L abbia mai invocato, a sostegno del suo asserito acquisto della proprietà del bene da concedere in leasing, la regola del possesso vale titolo dettata dall’art. 1153 cod. civ. in favore dell’acquirente a non domino in buona fede. Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, ha l’onere sia di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, sia di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto (Cass. n. 5070 del 2009; Cass. n. 25546 del 2006). La censura che contesta la mancata applicazione della disposizione di cui all’art. 1153 cod. civ. è quindi inammissibile, per novità della questione proposta.

Sul punto giova sottolineare che l’applicazione della regola possesso vale titolo nell’ambito degli acquisti a non domino – estensibile, per giurisprudenza costante di questa Corte, anche ai casi di beni mobili da iscriversi in pubblici registri nel caso in cui tale situazione si verifichi prima della registrazione (Cass. n. 15810 del 2002) – necessita, per poter essere dichiarata, di una domanda specifica della parte che la invochi, rientrando nella disponibilità della stessa avvalersene o meno, e richiede da parte del giudice di merito un accertamento di fatto che verifichi, nel concreto, la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge, consistenti nell’esistenza di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, nell’avvenuta consegna del bene e nello stato di buona fede dell’acquirente. La sua dichiarazione da parte del giudice si pone, pertanto, al di là della mera attività di individuazione delle norme giuridiche applicabili alta fattispecie concreta dedotta in giudizio, essendo sempre necessaria una domanda specifica della parte, che nella specie è mancata. È noto inoltre che, nel giudizio di legittimità, che ha natura di impugna/ione rescindente, non sono ammesse domande nuove né nuovi accertamenti di fatto, nella specie indispensabili al fine di riscontrare la ricorrenza delle condizioni richieste dall’art. 1153 cod. civ., che questa Corte, quale giudice di legittimità, non può compiere.

Il terzo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1372, 1375 e 1453 cod. civ. ed omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto inoperante la clausola contrattuale che esonerava la concedente da "qualsiasi responsabilità per eventuali ritardi o inadempienze del fornitore, ivi compresa la mancata consegna totale o parziale del veicolo", stabilendo altresì che "anche qualora esso non fosse in grado di utilizzare il veicolo alla data di decorrenza del contratto per qualsiasi ragione non direttamente imputabile al concedente, l’utilizzatore non avrà diritto di chiedere indennizzi o altri risarcimenti al concedente o di non corrispondere il canone". La statuizione impugnata, prosegue il ricorso, ha dichiarato l’inefficacia di tali clausole richiamando a sostegno l’orientamento della Corte di cassazione inaugurato con la sentenza n. 10926 del 1998, ma senza considerare che nel caso di specie la consegna è stata solo parziale ed incompleta e che i vizi erano emersi solo in un momento successivo alla dazione del bene. In tale ipotesi la clausola di esonero della responsabilità del concedente dovrebbe infatti considerarsi valida, tenuto conto che il contratto di leasing ha una causa prevalentemente finanziaria e che il concedente non può estendere il suo controllo alla qualità e funzionalità dei beni forniti all’utilizzatore, essendo a) contrario a carico di quest’ultimo l’onere di verificare, al momento della consegna, il bene ed i documenti che lo accompagnano. Il mezzo è infondato.

La decisione impugnata, che ha disapplicato la clausola negoziale di esonero della responsabilità del concedente, appare conforme al costante indirizzo di questa Corte, che, muovendo dalla premessa che l’operazione di leasing finanziario non da luogo ad un unico contratto plurilaterale, ma realizza una figura di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, ha affermato che l’eccezione dell’utilizzatore di inadempimento dell’obbligazione di consegna non può trovare ostacolo nel fatto che il contratto di leasing contenga una clausola che riversa sull’utilizzatore il rischio della mancata consegna, dovendosi ritenere invalide siffatte clausole, in quanto contrastanti con l’obbligazione del concedente di procurare all’altra parte il godimento del bene (Cass. n. 10926 del 1998; nello stesso senso: Cass. n. 11669 del 1998; Cass. n. 10032 del 2004; Cass. n. 20592 del 2007). Parte ricorrente non contesta tale principio, ma evidenzia che la fattispecie concreta diverge da quella tipica di mancata consegna del bene, in quanto l’irregolarità era solo parziale e si era manifestata dopo la consegna del veicolo. L’argomento non ha pregio. Ed invero la sentenza impugnata, in ordine alla gravità dell’inadempimento, ha affermato, anche qui con accertamento di fatto, che la mancata consegna dei documenti necessari per l’immatricolazione del mezzo – circostanza questa del tutto pacifica – impediva la sua utilizzazione, sicché era specifico obbligo del concedente procurarli, al fine di adempiere alla sua obbligazione. La valutazione operata dal giudice di merito circa la gravità dell’inadempimento imputabile al concedente smentisce pertanto la premessa di fatto dedotta dalla ricorrente a sostegno del motivo, in ordine alla scarsa importanza della mancata consegna dei documenti in questione. Il quarto motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1227. 1375, 1453, 2697, 2702, 2704 e 2722 cod. civ. ed omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per avere disatteso l’argomentazione della appellante secondo cui la sottoscrizione del verbale di consegna del bene senza riserve da parte della P., con la conseguente accettazione dello stesso, costituiva circostanza tale da far sorgere in capo alla concedente la convinzione della regolarità e validità dell’acquisto, con l’effetto che, per il principio di autoresponsabilità contrattuale, i successivi inconvenienti sorti a seguito del rifiuto della Man di consegnare i documenti necessari per la immatricolazione non potevano essere addebitati alla concedente, che aveva confidato senza colpa sulla dichiarazione dell’utilizzatole. La Corte di merito, invero, ha riconosciuto la validità in astratto di tale argomentazione, ma contraddittoriamente, non ha ritenuto di accoglierla, sostenendo, del tutto arbitrariamente, che tali circostanze non erano idonee "ad elidere la responsabilità della L, che non ha accertato in alcun modo che il Baccini fosse il vero proprietario, precludendo per tale via in ogni caso all’utilizzatore di poter godere del bene" e che comunque il verbale di consegna non aveva valore, in quanto la L lo aveva fatto firmare alla P. in bianco "in via anticipata e senza quindi l’apposizione della data dell’avvenuta consegna e collaudo che per l’appunto non era mai avvenuto".

Ad avviso del ricorso si tratta però di affermazioni arbitrarie ed errate sia in fatto che in diritto, tenuto conto che la data non costituisce elemento essenziale della scrittura privata e, in fatto, l’avvenuta consegna del bene non è in discussione e che di essa la ricorrente ebbe conferma per il fatto che il veicolo era stato mandato all’officina per l’istallazione, sicché a fronte della dichiarazione della P. di avere ricevuto in consegna il bene e tutta la documentazione necessaria non vi era motivo per addebitare alla L la responsabilità dei fatti per cui è causa, essendo stata la sua condotta sempre improntata alla massima correttezza e buona fede. Anche quest’ultimo motivo è infondato.

Assorbente rispetto alle censure sollevate è l’accertamento con cui il giudice di merito ha dichiarato l’inefficacia del verbale di consegna del bene, in quanto fatto sottoscrivere alla società La P. anticipatamente e in bianco su moduli predisposti dalla stessa concedente L, senza indicazione della data di consegna e del collaudo. Tale accertamento di fatto nemmeno è contestato dalla ricorrente, la quale anzi ammette che è prassi delle società di leasing far sottoscrivere poco prima della formalizzazione del contratto il verbale di consegna, su moduli già predisposti dalla concedente (pagg. 39 e 41 del ricorso). La salutazione della Corte di appello, che ha escluso che dalla sottoscrizione del predetto documento, viste le condizioni in cui essa era avvenuta, la concedente potesse trarre legittimo affidamento in ordine alla effettiva e regolare consegna del bene, accollando alla controparte l’insuccesso dell’operazione, appare quindi giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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