CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 19 settembre 2011, n.19106 PROPOSTA E ACCETTAZIONE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Motivi della decisione

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

La ricorrente principale, con un unico motivo di ricorso, deduce:

violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1321, 1325, 1326, 1346, 1351, 1362 e 1470 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), insufficiente e/o contraddittoria e/o illogica motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.); il Giudice di Appello aveva travisato ed illogicamente interpretato il contenuto delle missive poste a fondamento del presunto contratto di vendita, non considerando che l’accordo era carente in ordine all’oggetto del contratto ed al prezzo di vendita;

in particolare, occorreva tener conto che: con la lettera 8.7.1993 il S. dichiarava di ‘accettare il prezzo’ senza specificare se si riferisse alla superficie calpesta-bile o meno, avuto riguardo alla lettera del 16.6.2003 con cui egli accettava il prezzo di L. 1.000.000 al mq. Ed avanzava la ‘nuova’ proposta(respinta da F.A. con lettera 16.6.1993) di calcolare solo le superfici calpestabili, chiedendo uno sconto del prezzo dei garages;

con lettera 11.8.93, il S. aveva inviato, ‘motu proprio’,un anticipo sul prezzo di vendita, per la somma di L. 15.000.000, relativamente ad uno solo degli appartamenti e non per i tre appartamenti, come invece sostenuto dal S. con lettera del 20.9.1993; le parti non avevano mai individuato catastalmente gli immobili né avevano mai specificato la forma e le modalità di pagamento del prezzo;

il mancato raggiungimento dell’accordo contrattuale trovava conferma nella lettera 8.7.93 con cui il S. aveva reiterato la richiesta, già avanzata con lettera del 16.6.93, di stipulare un contratto preliminare sicché doveva ritenersi che le trattative ‘non erano progredite rispetto al giugno del 1993’.

Il ricorso principale è fondato.

La Corte di appello ha ritenuto perfezionato l’accordo fra le parti ‘con l’arrivo alla F. ( il 12.7.93) dell’accettazione del S. ; ha dichiarato l’avvenuto trasferimento, in capo al S. , della quota di proprietà, pari al 50% indiviso, di F.D.C.A. sui tre appartamenti con garages ‘alle condizioni tutte previste nella lettera 11.5.93 della D.C. , accettate dal S. con lettera 8.7.93’, evidenziando che, il 25.6.93, la F. aveva respinto la controproposta del S. (che, con lettera 16.6.93, aveva dichiarato di accettare il prezzo di L. 1.000.000 al mq., ma proponendo di tenere conto soltanto della superficie calpestabile), ribadendo le sue richieste; la sentenza impugnata rapportava, quindi, la conclusione del contratto, ex art. 1326 c.c., alla lettera di risposta del S. con cui questi dichiarava ‘di accettare il prezzo da lei richiesto’.

Osserva il Collegio:

i giudici di appello, a fronte delle contestazioni delle convenute sul mancato raggiungimento dell’accordo contrattuale, con riferimento alle mere trattative intercorse con il S. , hanno omesso di valutare, da un lato, se la proposta di vendita fosse completa ed idonea a determinare, nel concorso dell’adesione del destinatario, la conclusione di un valido contratto, nel senso di contenere tutti gli elementi del futuro contratto e, dall’altro, se l’accettazione del S. , nei termini generici sopra riportati ed accompagnata dalla contestuale richiesta di stipulare un preliminare di vendita, potesse determinare l’effetto conclusivo del contratto.

È pur vero che l’accertare se le parti abbiano voluto contenere i propri rapporti nella fase delle trattative o se abbiano, invece, inteso vincolarsi sugli elementi essenziali del contratto, implicando la risoluzione di una ‘quaestio voluntatis’, costituisce apprezzamento devoluto al giudice di merito, non sindacabile in cassazione ove non presenti errori di diritto o di logica (Cfr. Cass. n. 141091999; n. 12344/2003), ma, nel caso in esame, il giudice di appello, nel pronunciarsi su detta questione, ha omesso di indagare, sul piano giuridico, prima ancora che su quello di merito, se tra la proposta e l’accettazione sussistesse la concordanza prevista dalla legge, indagine che avrebbe dovuto compiere, anche di ufficio, in quanto attinente all’accertamento degli elementi della fattispecie legale prevista dall’art. 1326 u. co. c.c. (Cfr. Cass. n. 12344/2003; n. 5823/1983); la Corte di appello avrebbe dovuto, poi, tener conto del principio affermato dalla Corte di legittimità, secondo cui agli atti negoziali della proposta e dell’accettazione sono applicabili gli artt. 1362 e 1366 c.c. con la conseguenza che la dichiarazione di accettazione non può essere intesa nel senso attribuitole soggettivamente dall’autore, se tale senso non corrisponde, in aderenza al criterio di reciproca lealtà cui deve ispirarsi la condotta tra le parti,a quello in cui può essere inteso dal destinatario della dichiarazione stessa, sulla base della oggettiva riconoscibilità del tenore effettivo dell’atto medesimo(Cfr. Cass. n. 6819/2001). Secondo un ulteriore fondamentale principio affermato in materia dalla Suprema Corte, l’accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, poiché, al fine di porre in essere un vincolo contrattuale definitivo, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa sia sugli elementi principali che su quelli secondari, tranne il caso che le parti abbiano dimostrato di non voler subordinare la perfezione del contratto al successivo accordo su elementi complementari, nel qual caso, considerata la comune intenzione delle parti, è sufficiente, ai fini del perfezionamento del contratto, che il consenso sia stato raggiunto sugli elementi essenziali del contratto (Cfr. Cass. n. 11371/2010; n. 14267/2006; n. 3705/1995). Nella specie, quindi, occorreva accertare non solo se fosse intervenuto un accordo sul prezzo in termini non equivoci, considerato che nella dichiarazione di accettazione del prezzo non era specificato se esso si riferisse alla superficie calpestabile o meno, ma anche se l’intesa fosse stata raggiunta sugli altri elementi accessori che, come pacifico fra le parti, sarebbero rimasti estranei all’accordo, quali i tempi e le modalità di pagamento del prezzo, la data di stipula del contratto definitivo, l’individuazione certa dell’oggetto della vendita, verificando, inoltre, se l’anticipo di L. 15.000.000, inviato ‘motu proprio’ dal S. , riguardasse solo uno degli appartamenti (e non i tre appartamenti per i quali è stata emessa la pronuncia impugnata), come si assume nel ricorso (pag. 6).

La valenza da attribuire alla proposta del S. di stipulare un contratto preliminare doveva, peraltro, essere apprezzata dai giudici di appello in relazione ai termini sui quali, in concreto, sarebbe stato raggiunto l’accordo fra le parti, valutando, quindi, se essa esprimesse una disponibilità dell’autore ad ulteriori trattative prima di esporsi al vincolo contrattuale definitivo, essendo del tutto apodittico il convincimento della Corte di merito secondo cui la richiesta di ‘definire un contratto preliminare sarebbe servita soltanto a meglio formalizzare i reciproci impegni ed a facilitare l’eventuale ricorso ad un adempimento forzoso’.

Tale affermazione sembra contraddire, comunque, l’avvenuto perfezionamento del contratto in via definitiva, posto che, ex art. 1392 c.c., con il contratto preliminare viene ad instaurarsi un necessario collegamento strumentale con il contratto definitivo, destinato a realizzare il risultato finale perseguito dalle parti.

Privo di fondamento è il ricorso incidentale con cui il S. deduce:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., stante il mancato accoglimento della domanda proposta in via principale, diretta al trasferimento dell’intera proprietà dei beni venduti; il decesso di F.A. , intervenuto il 4.7.2004, successivamente all’assunzione in decisione della causa di Appello, evento reso noto con il ricorso proposto da D.C.G. , comportava, sul piano processuale, che la stessa, quale erede della parte deceduta, fosse ormai direttamente tenuta al trasferimento al S. della propria quota di proprietà, con conseguente inefficacia della pronuncia emessa a carico della defunta, F.A. , in ordine all’obbligo di far acquisire al S. la quota di proprietà di D.C.G. ; b) violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. in relazione agli artt. 1218 e 1326 c.c. ed art. 278 c.p.c., per avere la Corte di Appello condannato F.A. al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, nei confronti del S. , con la motivazione che la stessa aveva venduto l’intera proprietà senza mai palesare al S. di non essere proprietaria esclusiva, circostanza che comportava il danno di stipulare due contratti diversi; la Corte territoriale non aveva in tal modo tenuto conto che la domanda risarcitoria, avanzata dall’acquirente, ricomprendeva tutte le componenti del danno, compreso il mancato godimento degli immobili per il periodo ricompresso tra la stipula del contratto di trasferimento e la effettiva consegna; c) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 56 e 60 R.D.L. n. 1578/1933; art. 24 L. n. 794/1942, art. 24; D.M. 24.11.1990; 5.11.1994; 8.04.2004, avendo la Corte di Appello liquidato di ufficio, in mancanza di notula, le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio, poste a carico del S. , incorrendo nella violazione della tariffa professionale quanto alla liquidazione, in misura ridotta, dei diritti e del rimborso delle spese vive anticipate dalle parti.

Osserva il Collegio:

il decesso di F.A. , sopravvenuto in corso di causa, non fu dichiarato in appello e, pertanto, non può determinare la modifica della statuizione adottata nella sentenza impugnata a carico della parte deceduta;

la condanna al risarcimento del danno,è stata rimessa ‘in separata sede’ ove sarà accertata la sussistenza di tutti i danni reclamati,senza alcuna preclusione derivante dalla pronuncia di condanna generica adottata con la sentenza impugnata;

la liquidazione delle spese processuali in appello risulta essere stata effettuata di ufficio, in difetto di notula; la doglianza del ricorrente sulla violazione dei minimi inderogabili delle tariffe professionali applicabili, non consente, quindi, di verificare, in sede di legittimità, in relazione a quali voci delle prestazioni professionali, come specificate solo nel ricorso incidentale, si sia verificata detta violazione né il giudice di legittimità è tenuto a controllare tutti gli atti processuali per accertare la effettività delle attività e degli esborsi cui si fa riferimento nella nota spese indicata in ricorso che, solo ove allegata al fascicolo di parte, al momento del passaggio in decisione della causa di appello (v. art. 75 disp. att. c.p.c.),avrebbe comportato l’onere per il giudice di merito di fornire un’adeguata motivazione dell’eventuale riduzione o eliminazione di determinate voci, non avendo egli l’onere di compilare ‘ ex officio’ la nota delle spese, sostituendosi, di fatto, all’attività procuratoria della parte.

Il sindacato di legittimità sulle congruità delle specifiche voci di una nota spese della parte in cui favore sono state liquidate le spese, depositata successivamente al giudizio di merito, è, quindi, inammissibile. Alla stregua di quanto osservato la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Bologna che dovrà uniformarsi ai principi suddetti, espressi nella citata giurisprudenza della S.C., provvedendo alla statuizione sulle spese processuali anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi;

accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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