Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-12-2011, n. 29799 Attività soggette a vigilanza sanitaria Farmaci e prodotti galenici

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Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 15.10.2005 la A. Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite s.r.l.(già A. Menarini Industrie Sud s.r.l.), in persona del Direttore pro tempore, proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione, emessa il 10.8.2004 dal Direttore della Ripartizione n. 23 – Sanità della Provincia Autonoma di (OMISSIS), notificata ad essa ricorrente il 13.8.2004, con cui le era ingiunto il pagamento della somma di Euro 10.333,53, a titolo di sanzione amministrativa per violazione del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 36 e del D.Lgs. n. 540 del 1992, art. 8, essendo stato reperito, presso la farmacia Fortichiari di (OMISSIS)), il farmaco "ACEDIUR" privo di etichetta e foglio illustrativo bilingue. Si costituiva il Direttore della Riparazione Sanità della Provincia Autonoma di (OMISSIS) resistendo all’opposizione.

Con sentenza 28.4.2005 il Tribunale di Bolzano, in persona del Giudice Unico, accoglieva l’opposizione annullando l’ordinanza- ingiunzione, condannando l’intimato alla restituzione alla società opponente della somma di Euro 10.333,53 e compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Rilevava il Tribunale che, in base al principio di libertà di contrattazione "con chi si preferisce", i farmacisti altoatesini potevano acquistare i loro prodotti da grossisti di tutta Italia e che nessuna censura poteva essere mossa al titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci, "quando quest’ultimo non sia il fornitore diretto del prodotto in questione";

nella specie era da escludersi, quindi, qualsivoglia responsabilità in capo alla società produttrice sulla base unicamente di tale sua qualità, "non potendosi dalla stessa esigere una condotta di controllo su tutti i grossisti operanti sul territorio nazionale, in quanto potenziali fornitori delle farmacie altoatesine".

Avverso tale sentenza il Direttore della Ripartizione Sanità della Provincia Autonoma di Bolzano propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso le memoria la società A. Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite s.r.l..

Motivi della decisione

L’amministrazione ricorrente deduce:

1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 540, art. 8;

unico destinatario di tale norma, riguardante l’illecito amministrativo contestato, era da ritenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 178 del 1991, il titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale, per il quale sussisteva l’obbligo di non mettere in commercio medicinali con etichettatura o foglio illustrativo difformi da quelli approvati dal Ministero della Sanità; tanto era desumibile dalla norma di attuazione di cui al D.P.R. n. 574 del 1988, art. 36, comma 1 che, allineandosi alla norma di recepimento della direttiva comunitaria di cui al D.Lgs. n. 178 del 1991, art. 8, subordinava l’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei farmaci alla predisposizione delle etichette e degli stampati illustrativi nelle due lingue, italiana e tedesca;

2) omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, relativo alla mancata indagine sull’esigibilità della condotta del produttore di medicinali che ha colposamente permesso l’immissione in commercio di medicinali sprovvisti di etichettatura bilingue; la sentenza impugnata aveva apoditticamente negato qualsivoglia facoltà di controllo del produttore nei confronti dei grossisti, in assenza di prova liberatoria al riguardo; nella specie, peraltro, l’allegazione di copia del foglietto illustrativo, approvato dal Ministero della Salute al momento del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio, non costituiva documento idoneo a dimostrare che la società Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite si fosse concretamente adoperata per evitare la commercializzazione in provincia di Bolzano del suo prodotto sfornito di foglietto illustrativo bilingue.

Il primo motivo è inammissibile perchè non è rapportato alla ratio decidendi sopra riportata, posta a fondamento della decisione impugnata. E’, invece, fondata la seconda censura.

La violazione contestata non può, infatti, attribuirsi a caso fortuito o forza maggiore giacchè l’obbligo imposto al titolare della autorizzazione, D.P.R. n. 574 del 1988, ex art. 36, come modificato dal D.Lgs. n. 283 del 2001, di commercializzare le specialità medicinali ed i prodotti galenici in provincia di Bolzano con "le etichette e gli stampati illustrativi", redatti congiuntamente nelle due lingue, italiana e tedesca, comporta l’obbligo dello stesso titolare di imporre contrattualmente che i rivenditori all’ingrosso non riforniscano le farmacie in provincia di Bolzano di medicinali sprovvisti di tali indicazioni, verificando che tale imposizione sia rispettata; in caso contrario, il divieto potrebbe essere eluso in tutti i casi in cui il titolare di detta autorizzazione non effettui la vendita diretta dei prodotti.

Nè può sostenersi che alla mera predisposizione del foglietto illustrativo bilingue, finalizzato al mero ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio sul territorio, consegua l’adempimento delle prescrizioni di legge, contemplate nell’art. 36 del D.P.R. cit., comma 1, dovendosi ravvisare la ratio delle prescrizioni stesse nella garanzia che tutti i medicinali posti o mantenuti in commercio in provincia di Bolzano siano provvisti di etichettarla in ambo le lingue, italiana e tedesca, senza che possa addossarsi al grossista o al farmacista venditore finale del medicinale, non destinatari della normativa in materia, la responsabilità per detto mancato adempimento. Il D.Lgs. n. 540 del 1992, art. 8 pone, del resto, la sanzione amministrativa prevista dalla norma medesima a carico del "titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio".

Per le ragioni esposte il ricorso deve, quindi, essere accolto.

Consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione del Tribunale di Bolzano.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione del Tribunale di Bolzano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., 12-10-2011, n. 7911 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che la ricorrente classificatasi al 379° posto nelle prove per l’ammissione al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia presso la Università di Genova e perciò esclusa dall’ammissione ha impugnato la graduatoria degli ammessi al primo anno di Laurea dinanzi al TAR Liguria, che con ordinanza n. 304 del 4 novembre 1999 in accoglimento della domanda cautelare disponeva la di lei iscrizione con riserva al corso universitario di laurea in medicina e chirurgia;

che in virtù del sopracitato provvedimento si è iscritta al Corso di Laurea che attualmente frequenta;

che a seguito di Regolamento di competenza proposto dalla Università degli Studi di Genova, su accordo delle parti il Presidente del TAR Liguria con ordinanza presidenziale n. 23 del 22 gennaio 2000 ha trasmesso gli atti a questo TAR dinanzi al quale attualmente lo stesso ricorso è pendente e presso il quale la ricorrente si è costituita;

Visto l’art. 1, comma 2, della L. 21 marzo 2001 n. 133, che ha disposto l’iscrizione a tutti gli effetti ai corsi universitari degli studenti nei confronti dei quali i competenti organi di giurisdizione amministrativa abbiano emesso ordinanza di sospensione dell’efficacia di atti preclusivi all’iscrizione e che siano risultati in posizione utile nelle graduatorie di ammissione per l’anno accademico e che abbiano sostenuto con esito positivo almeno un esame entro il 28 febbraio 2001;

Considerato che la stessa ricorrente, la quale ha già sostenuto 21 esami del Corso di Laurea in medicina e chirurgia e che ritiene di trovarsi nelle condizioni previste dalla suindicata legge n.133/2001 che ha sanato la sua posizione di studentessa originariamente non ammessa alla iscrizione al predetto Corso di Laurea, ha evidenziato la intervenuta situazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;

Rilevato, con riguardo agli effetti della predetta normativa, che le relative disposizioni hanno operato una sanatoria in favore degli studenti ammessi a frequentare i corsi universitari a numero chiuso con provvedimenti emessi in via cautelare a seguito di ricorsi proposti contro i dinieghi di iscrizione;

che la ricorrente rientra nelle condizioni di cui all’art. 1 comma 2, L. 27 marzo 2001, n. 133, risultando iscritta con riserva al corso di laurea stesso in esecuzione di ordinanza cautelare del giudice amministrativo e inoltre ha sostenuto con esito positivo almeno 1 esame entro il 28 febbraio 2001;

che il superamento di esami entro la stessa data prevista dalla stessa legge di sanatoria, ha prodotto, in virtù della stessa legge, effetti definitivamente sananti e prevalenti sull’originario provvedimento di non ammissione al Corso di Laurea di cui trattasi;

che pertanto la ricorrente non ha più interesse a proseguire nella impugnativa proposta con l’attuale ricorso che la sua non ammissione al Corso di Laurea ha infatti ad oggetto;

che pertanto il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente;

che quanto alle spese può disporsi, la sussistenza di ragioni che giustificano, la loro compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe dichiara lo stesso ricorso improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-07-2011) 06-10-2011, n. 36261 Misure cautelari

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza 14/3/2011, decidendo in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., confermava il provvedimento adottato, il precedente 20 gennaio, dal Gip dello stesso Tribunale, che aveva rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere alla quale S. V. era sottoposto in relazione ai reati di cui all’art. 416- bis cod. pen., L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Il Tribunale, dopo avere premesso che, a seguito del ferimento, in data 2/8/2007, del S., raggiunto – in un agguato – da diversi colpi d’arma da fuoco, erano state disposte in via d’urgenza, presso la stanza dell’ospedale di Locri dove il predetto era ricoverato, intercettazioni ambientali, riteneva che gli esiti delle stesse evidenziavano un quadro di gravità indiziaria in ordine agli ipotizzati reati, quadro ulteriormente tonificato dai contenuti delle conversazioni, pure intercettate, tra M.F. (‘ndranghetista con il grado il "santista") e sua moglie, nel corso delle quali i due avevano commentato il citato episodio di sangue ed avevano fatto riferimento anche alle vocazioni "scissioniste" dalla cosca "Commisso" dei due fratelli ( A. e S.) del S., rimasti poi vittime di omicidio, nonchè ai rapporti tra il S. e il suocero C.G., personaggio di spicco dell’omonima consorteria criminale. Precisava ancora il Tribunale che l’attività captativa delle conversazioni, attraverso l’utilizzo di impianti in dotazione al Nucleo Operativo dei Carabinieri di Locri, doveva ritenersi legittimamente eseguita, perchè regolarmente autorizzata dal P.M., con decreto del 2/8/2007, in ragione dell’insufficienza e dell’inadeguatezza degli impianti in dotazione all’ufficio di Procura rispetto alle specifiche ed impellenti esigenze investigative.

2. Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’indagato, deducendo la violazione di legge, con riferimento all’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p., comma 1, e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni eseguite presso l’ospedale di Locri a mezzo di impianti non in dotazione all’ufficio di Procura, pur in difetto di un decreto esecutivo adeguatamente motivato sul punto, nonchè alla valenza indiziaria del contenuto delle conversazioni tra il M. e sua moglie.

3. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

L’ordinanza impugnata, senza alcun testuale riferimento al decreto esecutivo col quale il P.M. aveva autorizzato l’utilizzo di impianti esterni al suo ufficio per l’espletamento delle intercettazioni ambientali all’interno dell’ospedale di Locri, ma interpretando autonomamente l’implicito contenuto del detto decreto, individua le ragioni a giustificazione di tale autorizzazione nella insufficienza o nell’inidoneità delle apparecchiature in dotazione alla Procura rispetto alle specifiche e impellenti esigenze investigative.

Osserva la Corte che l’obbligo di motivazione del decreto del P.M., che dispone l’esecuzione delle intercettazioni mediante l’utilizzo di impianti esterni, non può ritenersi assolto con il semplice riferimento all’insufficienza o all’inidoneità degli impianti interni, posto che tale giustificazione, limitandosi a ripetere la formula legislativa, non da conto delle effettive ragioni della deroga. Nè, di fronte alla carenza di motivazione del decreto esecutivo, è consentito al giudice, in sede di riesame o di appello ex art. 310 cod. proc. pen., colmare tale mancanza, con l’individuazione delle ragioni dell’insufficienza o inidoneità degli impianti dell’ufficio sulla base di atti del processo diversi dal decreto del P.M.. Nella specie – peraltro – anche l’ordinanza impugnata si limita ad evocare, al di là delle incontestate ragioni d’urgenza, la formula legislativa della insufficienza e della inidoneità degli impianti interni, senza alcuna ulteriore specificazione, sia pure sintetica, al riguardo; nè è possibile verificare direttamente la motivazione del decreto esecutivo, che non risulta allegato agli atti posti a disposizione di questa Corte.

Non va sottaciuto, inoltre, che non vengono esplicitati neppure i contenuti delle intercettazioni ambientali, indicativi dell’ipotizzato inserimento del S. nella consorteria di tipo mafioso e del suo coinvolgimento nella pure ipotizzata violazione della normativa sulle armi.

Il Giudice a quo, inoltre, allega notevole valenza indiziaria anche ai contenuti delle conversazioni intercorse tra il M. e sua moglie, anch’esse oggetto di intercettazione e che sono diverse e ulteriori rispetto a quelle delle quali si è eccepita l’inutilizzabilità, ma non chiarisce i dati di fatto, ritenendoli impliciti e scontati, che sarebbero sintomatici della partecipazione al sodalizio criminale dell’indagato e della violazione da parte di costui della normativa sulle armi.

4. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria, perchè riesamini, in piena libertà di giudizio, il caso, tenendo conto dei rilievi di cui innanzi.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-07-2011) 24-10-2011, n. 38345

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

O.V. ed O.G. ricorrono con separati atti di impugnazione proposti personalmente, nonchè con uno proposto per entrambi di unico difensore di fiducia, avverso la sentenza della corte di appello di Catania del 20 gennaio 2010, che aveva confermato la condanna pronunciata a loro carico in primo grado per il reato di rissa, loro contestato per un serrato confronto cui avevano preso parte anche i minori O.F. e M..

Deducono sostanzialmente l’errata valutazione dei fatti e l’errata qualificazione giuridica della condotta, atteso che a loro dire non di rissa si era trattato, ma di una aggressione da cui avevano dovuto difendersi, ovvero di una reazione immediata a fatto ingiusto altrui.

Sostenevano infatti gli imputati di essere intervenuti in difesa di congiunte aggredite dai minori, ovvero di aver cercato i minori, affrontandoli, per punirli della pregressa condotta.

Il ricorso è inammissibile in quanto prospetta il riesame del merito, che in questa sede di legittimità è precluso se, come nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione con motivazione ragionevole e coerente, comunque immune da vizi logici o contraddizioni.

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della Cassa delle Ammende.

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