Cons. Stato Sez. IV, Sent., 21-02-2011, n. 1084 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Il ricorrente fa" presente che, con sentenza n. 2009/08 pubblicata in data 29 gennaio 2008, la Corte di Cassazione:

– accoglieva il ricorso da lui proposto avverso il decreto, depositato in data 15.12.2004, con il quale la Corte di Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex lege 89/01 proposta in relazione al giudizio dal medesimo promosso avanti al Tribunale di Napoli con ricorso in data 11.3.1999 per ottenere il pagamento della rivalutazione su "somme liquidate dall’Amministrazione" a titolo di sussidio di disoccupazione e deciso con sentenza del 6.12.2002, dichiarava non dovuto l’equo indennizzo per il dedotto danno non patrimoniale;

– decidendo poi nel mérito, riconosceva in suo favore, a titolo di equo indennizzo per detto danno non patrimoniale, la somma di euro 750,00, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento di tale somma, oltre agli interessi dalla domanda al saldo.

Detta sentenza, afferma il ricorrente, "non è ulteriormente impugnabile ed è pertanto definitiva e passata in giudicato" (pag. 1 ric.).

In data 22 ottobre 2009 è stato da lui notificato all’Amministrazione atto di diffida e messa in mora per l’esecuzione della sentenza stessa, con assegnazione di un termine di giorni trenta per provvedere e con il preavviso che, in difetto di esecuzione spontanea, si sarebbe agito per l’ottemperanza.

Nonostante tale diffida l’Amministrazione rimaneva inerte.

Con il ricorso all’esame si chiede quindi di dare esecuzione a detto giudicato, essendo decorso il termine dato con il citato atto di diffida.

Il Ministero intimato si è costituito in giudizio, senza peraltro formulare difese o richieste.

Il Ministero stesso, ha altresì fatto pervenire, per le vie amministrative, nota in data 1° aprile 2010, con la quale rappresenta "la attuale grave situazione debitoria in ordine al sistema di indennizzo per ritardata giustizia ordinaria".

Alla camera di consiglio del 30 novembre 2010 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

2. – Il ricorso è fondato e va accolto nei términi che séguono.

3. – Com’è noto, il ricorso contemplato dagli artt. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 27 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 (applicabili ratione temporis alla fattispecie) è dato per l’ottemperanza dell’Amministrazione al giudicato del Giudice ordinario al fine di assicurare piena e concreta soddisfazione all’interesse sostanziale riconosciuto dal giudicato medesimo ed è esperibile, in particolare, anche per l’esecuzione di una condanna al pagamento di somme di denaro, alternativamente o congiuntamente rispetto al rimedio del processo di esecuzione, con il solo limite dell’impossibilità di conseguire due volte le stesse somme (C. Stato, VI, 16 aprile 1994, n. 527; Cass., SS. UU., 13 maggio 1994, n. 4661; C. Stato, IV, 25 luglio 2000, n. 4125 e 15 settembre 2003, n. 5167).

Deve essere poi precisato che il giudizio di ottemperanza è da ritenersi praticabile per l’attuazione di qualsiasi tipo di giudicato, da qualsiasi giudice, anche speciale, esso provenga (Cons. St., VI, 14 dicembre 2009, n. 7809).

4. – Ciò posto, la sentenza della Corte di Cassazione, di cui qui si chiede l’ottemperanza, è stata depositata in data 29 gennaio 2008 e, posto che essa non è stata ritualmente notificata ai fini del decorso del términe per una sua eventuale revocazione ex art. 391bis c.p.c., è passata in giudicato dopo un anno dalla sua

pubblicazione.

Con atto notificato il 22 ottobre 2009, e dunque dopo il suo passaggio in giudicato, il ricorrente ha ritualmente diffidato e messo in mora il Ministero della Giustizia al fine di ottenere l’esecuzione della sentenza predetta.

A fronte della successiva persistente inerzia dell’Amministrazione, il relativo ricorso in ottemperanza è stato poi ritualmente proposto innanzi al Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 37, secondo comma, della legge n. 1034 del 1971, poiché l’autorità chiamata a conformarsi al giudicato del giudice ordinario (e cioè il Ministero della Giustizia) esercita la sua attività in tutto il territorio nazionale e non nei limiti della circoscrizione di un Tar.

5. – Tanto rilevato ai fini dell’accertamento dell’ammissibilità della presente impugnativa, essa deve essere accolta nei limiti della condanna al pagamento di somme risultante dalla sentenza di cui si chiede l’ottemperanza (euro 750,00=, oltre interessi dalla domanda al saldo), il cui esatto adempimento da parte dell’Amministrazione non può certo essere eluso invocando problematiche di copertura finanziaria e di rapporti tra Ministero della Giustizia (quale Amministrazione obbligata) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (che opera i relativi trasferimenti di fondi), che, oltre a disconoscere la funzione congiuntamente collaborativa propria delle attività di ottemperanza al giudicato (v. Cons. St., VI, 14 dicembre 2009, n. 7809), si pongono in inutile quanto defatigante contrapposizione con l’interesse della parte all’equa riparazione, che, una volta risolto in sede cognitòria "pura" il problema dell’an della spettanza del diritto, ha consistenza di diritto soggettivo, non conculcabile ulteriormente nella sede delle dette, dovute, attività amministrative.

Stante la idoneità del titolo alla esecuzione e perdurando la inerzia della Amministrazione nonostante la diffida ritualmente notificata da parte ricorrente, va dunque dichiarato l’obbligo del Ministero della Giustizia di conformarsi al giudicato di cui in epigrafe, provvedendo al pagamento, in favore del ricorrente, della somma a lui dovuta per il predetto titolo (in conto capitale ed interessi) entro il termine di giorni sessanta, decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa (o, se anteriore, dalla data di notificazione) della presente sentenza.

Nella eventualità di inutile decorso del termine di cui sopra, si nomina fin da ora quale Commissario ad acta il Dirigente preposto alla Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani del Ministero, con facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi ad altro Dirigente della stessa.

Stante l’assenza di effettive problematiche attuative nascenti dal giudicato e l’artificiosità degli argomenti addotti dall’Amministrazione per giustificare il perdurante inadempimento del precetto giurisdizionale, si rende opportuna la trasmissione degli atti del presente giudizio alla Procura Regionale della Corte dei Conti per l’accertamento della sussistenza di eventuali ipotesi di danno erariale e delle relative responsabilità.

Le spese del presente giudizio sono poste a carico della Amministrazione intimata e sono forfettariamente liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

– lo accoglie e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi al giudicato, nei sensi di cui in motivazione, nel termine di giorni sessanta, decorrenti dalla data di ricezione della comunicazione in via amministrativa (o, se anteriore, dalla data di notificazione) della presente sentenza;

– nella eventualità di inutile decorso del termine di cui sopra, nomina Commissario ad acta il Dirigente preposto alla Direzione Generale del contenzioso e dei diritti umani del Ministero, con facoltà di subdelegare gli adempimenti esecutivi ad altro Dirigente della stessa Direzione.

Condanna l’Amministrazione al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, nella misura complessiva di euro 500,00, oltre I.V.A. e C.P.A.

Manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti del presente giudizio alla Procura Regionale della Corte dei Conti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-05-2011, n. 10084 Ricorso

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Svolgimento del processo

Avverso l’atto dell’IACP di Trieste (poi ATER), adottato il 19.6.1994 ai sensi della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 75 del 1982, art. 62, diretto al rilascio dell’alloggio di (OMISSIS) la sig.ra C.F.M. propose opposizione ex art. 63 s.l. innanzi al Pretore di Trieste negando legittimità alla revoca della già deliberata cessione dell’alloggio ad essa deducente (erede della assegnataria deceduta il 5.6.1989 e che, ad avviso dell’IACP, non aveva i requisiti per il subentro nel rapporto), e l’adito Pretore con sentenza 7.2.2002 respinse l’opposizione.

Propose appello la C.F. deducendo che il primo giudice non aveva considerato che l’art. 63 applicato era stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza 390 del 1996 della Corte Costituzionale. La Corte di Trieste, costituitasi l’appellata ATER di Trieste, con sentenza 14.8.2008 rigettò il gravame affermando: che la pretesa carenza di giurisdizione del G.O. era stata prospettata tardivamente ed era inconsistente, stante la inapplicabilità ratione temporis della norma di cui alla L. n. 80 del 1998 e L. n. 205 del 2000, e la sussistenza di una vicenda di diritto soggettivo quale quella della pretesa al subentro, che dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma non derivava nè impedimento all’IACP di emettere decreto di rilascio nè pregiudizio alla sua opponibilità innanzi al G.O. stante la piena applicazione del D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 11, che non aveva consistenza la pretesa di aver già maturato il diritto alla cessione dell’alloggio, prima della revoca, posto che nè era stata stipulata la cessione nè il diritto al subentro era trasmissibile jure successionis, che la C.F. non era convivente con l’assegnataria nè aveva i requisiti per l’assegnazione, che pertanto legittimamente l’IACP aveva in autotutela revocata la propria prima determinazione.

Per la cassazione di tale sentenza la C.F. ha proposto ricorso il 29.11.2005, al quale ha resistito l’ATER di Trieste eccependone la inammissibilità sotto due profili e la infondatezza nel merito.

Il nuovo difensore della C.F. ha depositato memoria finale recante procura speciale per la sua costituzione.
Motivi della decisione

Giova, preliminarmente, dichiarare inammissibile la memoria finale e la contestuale procura speciale al difensore (avv. Anna Fast Molinari) che la ha redatta, stante la inapplicabilità alla specie, ra-tione temporis , della modifica all’art. 83 c.p.c., come già precisato da questa Corte (Cass. n. 4130 del 2011 e n. 17604 del 2010). Venendo all’esame del ricorso, ne va indubbiamente dichiarata la inammissibilità. Ed infatti, e come eccepito dall’ATER, il ricorso è certamente tardivo perchè, avverso sentenza pubblicata il 14.8.2004 si notifica l’impugnazione solo il 29.11.2005. Corretto è anche il secondo rilievo di inammissibilità: le censure sono infatti assommate senza alcun riferimento alla decisione di appello e si concludono, a pag. 12, con la trascrizione delle conclusioni rassegnate in appello (vd. punto 5 dove si chiede di annullare la sentenza 7.2.2002 e punto 6 dove si invoca accoglimento dell’appello incidentale). L’atto dunque, quand’anche fosse stato tempestivo, avrebbe rivelato una sua dissonanza tra esposizione di censure e petitum impugnatorio, tale da renderlo inidoneo ai sensi dell’art. 366 c.p.c.. Le spese si regolano secondo la soccombenza.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali in favore della controricorrente ATER, che si determinano in Euro 2.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 12689 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

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Svolgimento del processo

F. ed M.E. convennero in giudizio, dinanzi al tribunale di Lucca, S.N. e la Cooperativa edilizia "Gruppo Uno" s.r.l. per sentir accertare e dichiarare, previa offerta al S. della somma di circa L. 11 milioni, l’efficacia della rinuncia operata da quest’ultimo -in favore del M. – all’assegnazione di un appartamento ancora di proprietà della cooperativa, con conseguente accertamento e declaratoria della titolarità del diritto all’assegnazione in capo al M., giusta scrittura privata 17.5.198 9 intervenuta in tal senso, a condizione che M.E., o chi per esso, fosse stato ammesso come socio della cooperativa.

L’accordo conteneva altresì l’indicazione del prezzo del bene (L. 145 milioni), di cui parte (111 milioni) avrebbe costituito il rimborso di quanto versato dal S. alla cooperativa, mentre altra, residua tranche (versata contestualmente all’accordo) integrava il corrispettivo degli interessi e delle spese.

L’immissione in possesso in favore di M.F. (poi indicato dall’ E. come beneficiario della rinunzia, all’esito della sua ammissione a socio della cooperativa) avvenne contestualmente alla sottoscrizione, ma da quel momento il S. si rese irreperibile, salvo inviare agli attori intimazione di pagamento dell’importo di 111 milioni.

In particolare il S., nel costituirsi in giudizio, eccepì che l’accordo del 1989 integrava gli estremi del contratto preliminare, del quale era stato previsto il saldo a distanza di un mese, onde il mancato adempimento del promissario acquirente legittimava il suo recesso ex art. 1385 c.c., con ritenzione della somma già ricevuta, a titolo di caparra confirmatoria.

Il giudizio venne riunito ad altro procedimento con il quale i M., constatata la perdita della titolarità dell’appartamento da parte della cooperativa e la sua assegnazione al S., avevano a loro volta agito ex art. 2932 c.c. per ottenere una pronuncia costitutiva di trasferimento in loro favore dell’alloggio in contestazione.

Il giudice di primo grado accolse tale domanda, dichiarando l’immobile trasferito a M.F., e condizionando l’effetto traslativo al versamento, in favore di S.N., della somma di Euro 57.500,00.

La corte di appello di Firenze, investita del gravame proposto da quest’ultimo, lo rigettò.

La sentenza è stata impugnata dall’appellante con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi.

Resistono con controricorso, illustrato da memoria, F. e M.E..
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo, si denuncia omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1381 e 2932 c.c.; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia.

I motivi, che vengono congiuntamente esposti e argomentati, sono inammissibili.

Essi si concludono con il seguente quesito di diritto: E’ ammissibile invocare la tutela prevista dall’art. 2932 c.c. anche nell’ipotesi in cui l’obbligazione consista nella promessa del fatto del terzo? La inammissibilità della formulazione che precede emerge, patente e irredimibile, alla luce dell’ormai consolidato principio secondo il quale il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione tanto nella fattispecie in esame (che viene del tutto pretermessa sul piano della sua completa ed autosufficiente enunciazione) quanto in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quali quelle di specie) rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una motivata alternativa di segno opposto; non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) come debba ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve (come nel caso di specie) in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice. Quanto al lamentato vizio motivazionaie, non può non rilevarsi come non appaia in alcun modo rinvenibile, in seno al complesso motivo che si scrutina, un qualsivoglia, efficace momento di sintesi contenente la chiara indicazione del fatto controverso che consenta a questa corte la individuazione del decisivo difetto di motivazione rappresentato in sede di illustrazione della doglianza. Palese risulta, pertanto, la duplice, contestuale violazione dell’art. 366 bis del codice di rito (così come ormai costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questa corte regolatrice), applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza risulta, difatti, depositata il 21 luglio 2006).

Con il terzo motivo, si denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. e art. 401 c.c. e art. 100 c.p.c.; insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto:

1) Il contraente ha un interesse giuridicamente rilevante, ex art. 100 c.p.c., ad impugnare il capo della sentenza che ritiene legittimamente esercitata la facoltà di nomina della persona che acquisterà i diritti nascenti dal contratto? 2) L’attribuzione al M.E. della facoltà prevista dall’art. 1401 c.c. in base alla seguente clausola "Il sig. M. E. o chi per lui farà domanda di ammissione come socio della cooperativa gruppo uno" è rispettosa dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c.? 3) Nell’ipotesi di risposta affermativa al predetto quesito, può la clausola suddetta consentire al contraente di nominare il terzo beneficiario oltre i limiti temporali previsti dall’art. 1401 c.c. senza che ciò costituisca violazione dei canoni ermeneutici di cui all’art. 1362? Il motivo è inammissibile, per palese inammissibilità dei quesiti che ne costituiscono la formulazione terminale.

L’inammissibilità scaturisce da un triplice ordine di motivi.

Oltre alle ragioni esposte in sede di analisi delle censure che precedono (ragioni che di per sè sole appaiono sufficienti a decretare l’irredimibile inammissibilità della doglianza in esame), esso viola, ancora, da un canto, il principio di diritto più volte affermato da questa corte regolatrice a mente del quale, ove il quesito ponga questioni di diritto non rappresentate in termini di logica consequenzialità, ma tra esse del tutto disomogenee (come nella specie), il quesito stesso non può in alcun modo ritenersi ammissibile (mentre a più forte ragione deve ancora dirsi inammissibile il quesito "condizionato", quale quello formulato sub 3), dall’altro, quanto al lamentato vizio motivazionale, esso sconta il medesimo, insuperabile limite della mancata sintesi della questione funzionale all’esame della decisività del declamato vizio da parte della corte di legittimità, come già rilevato in sede di esame dei motivi che precedono.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione degli artt. 1460 e 1208 c.c., nonchè insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto: L’applicazione dell’art. 1460 c.c. rappresenta un’eccezione in senso proprio e quindi riservata esclusivamente all’iniziativa di parte, oppure è rilevabile d’ufficio dal giudice? Può considerarsi in mora il creditore qualora la prestazione offerta dal debitore risulti subordinata al verificarsi di condizioni ancora non avveratesi al momento dell’offerta? L’inammissibilità del doppio, disomogeneo quesito così come formulato dal ricorrente va nuovamente affermata alla luce di quanto già rilevato in sede di analisi del motivo che precede.

La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per spese generali.

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-03-2011) 11-04-2011, n. 14232 Pensioni indirette o di reversibilità

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 2 febbraio 2010, la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza emessa il 16 maggio 2007 dal Tribunale di Taranto nei confronti di N.C., ritenuta responsabile di truffa aggravata ai danni dell’I.N.P.S. per aver continuato a percepire una pensione di reversibilità anche dopo aver contratto nuovo matrimonio, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della predetta in ordine ai reati commessi fino al settembre 1998 per intervenuta prescrizione eliminando le relative pene e rideterminando la pena per i residui reati in mesi cinque di reclusione ed Euro 500,00 di multa.

Propone ricorso per cassazione il difensore il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in forza di argomentazioni già tutte sviluppate in grado di appello. Si ribadisce, infatti, che, alla luce della legislazione dello Stato del Nevada, il matrimonio contratto negli Stati Uniti d’America dalla imputata era radicalmente nullo, in quanto contratto con il proprio cugino e si sottolinea come nel corso del giudizio la difesa avesse provato che l’imputata aveva intrapreso, negli U.S.A., l’iter necessario ai fini dell’annullamento del matrimonio. Inoltre, negli Stati Uniti, si è ottenuta una pronuncia di scioglimento e non di annullamento del matrimonio, in quanto la richiesta era stata avanzata dal coniuge della imputata. Nel caso di specie, dunque, non sarebbero ravvisabili gli estremi della truffa, visto che l’imputata acconsentì al matrimonio solo per consentirle di rimanere negli Stati Uniti più a lungo di quanto permettesse il visto turistico. Fu dunque celebrato soltanto un finto matrimonio mentre la trascrizione dello stesso nei registri dello stato civile di Taranto sarebbe illegittima. Anche sotto il profilo oggettivo, d’altra parte, mancherebbero gli estremi del reato proprio perchè si trattava, come già evidenziato, di un matrimonio da considerarsi nullo in radice.

Il ricorso non è fondato. Questa Corte ha infatti avuto modo di affermare – proprio in tema di truffa ai danni dell’INPS – che ai fini della configurazione del delitto di cui all’art. 640 cod. pen., integra la condotta del raggiro anche il silenzio sul sopravvenuto verificarsi di un evento il quale costituisce il presupposto del permanere di una obbligazione pecuniaria a carattere periodico:

infatti, il silenzio di chi sia in concreto beneficiario seppure indiretto della prestazione medesima, è attivamente orientato a trarre in inganno il debitore sul permanere della causa della obbligazione (cfr. Cass., Sez. 6^, 8 gennaio 2004, Dini; Cass., Sez. 2^, 13 maggio 2008, Trimarchi). La circostanza, poi, che sussistessero i presupposti, secondo la lex loci, per dichiarare nullo il matrimonio contratto negli Stati Uniti, è dato del tutto inconferente, giacchè il relativo accertamento non si è mai realizzato ed il matrimonio stesso è stato sciolto, ma non annullato; mentre resta una semplice deduzione, priva di concreto supporto probatorio, e comunque insuscettibile di qualsiasi risalto sul piano delle conseguenze giuridiche che qui rilevano, l’assunto secondo il quale si sarebbe trattato di matrimonio semplicemente "simulato" o, se si vuole, contratto con riserva mentale; così come non assume rilevanza alcuna l’assunto secondo il quale la trascrizione in Italia sarebbe stata nulla. Va infatti osservato, al riguardo, che le norme di diritto internazionale privato attribuiscono ai matrimoni celebrati all’estero tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri, immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera – e, quindi, spieghino effetti civili nell’ordinamento dello Stato straniero – e sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana. Tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa, e scopo di pubblicità di un atto già di per sè valido sulla base del principio locus regit actum (Cass. civ., Sez. 1^, 19 ottobre 1998, n. 10351; Cass. civ., Sez. 1^, 17 settembre 1993, n. 9578). I restanti rilievi svolti dalla ricorrente sono inammissibili, in quanto si risolvono in censure di merito, non compatibili con la presente sede di legittimità.

Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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