Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 26-07-2011, n. 16245 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1890/2009 il Tribunale amministrativo regionale della Puglia – sezione staccata di Lecce, adito all’associazione nazionale per la tutela del patrimonio storico, artistico, naturale della nazione "Italia Nostra", ha annullato il provvedimento della Regione Puglia in data 10 ottobre 2008, con il quale la s.r.l. Wind Service era stata autorizzata a realizzare in (OMISSIS) un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica.

Su gravame della s.r.l. Wind Service, il Consiglio di Stato, con decisione n. 2756/2010, ha rigettato il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. A tale conclusione il giudice di appello è pervenuto ritenendo tra l’altro (per quanto rileva in questa sede):

che la Soprintendenza archeologica, "non sussistendo alcun vincolo archeologico … non era da annoverare tra le amministrazioni da invitare alla conferenza di servizi"; che "non si vede in quale, sia pur ridotta misura, l’impianto di aerogeneratori per la risorsa energetica eolica possa determinare un nocumento alla presenza di miti e leggende"; che i macchinari da installare "determinano solo una superficiale sovrastruttura senza alterare in modo significativo il paesaggio esistente, per cui nella specie non era necessario alcun provvedimento di compatibilità paesaggistica".

Contro tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’associazione "Italia Nostra", in base a un motivo. Si sono costituiti con controricorsi la s.r.l. Wind Service e il consorzio di bonifica Ugento e Li Foggi. Non hanno svolto attività difensive in questa sede gli altri intimati. Sono state presentate memorie dall’associazione "Italia Nostra" e dalla s.r.l. Wind Service.
Motivi della decisione

Con il motivo addotto a sostegno del ricorso l’associazione "Italia Nostra" deduce che il Consiglio di Stato è incorso in "eccesso di potere giurisdizionale per violazione dei poteri dell’Amministrazione", in primo luogo per aver ritenuto che la Soprintendenza archeologica non dovesse essere invitata alla conferenza di servizi indetta per l’esame dell’istanza di autorizzazione presentata dalla s.r.l. Wind Service, così indebitamente sostituendo con una propria diversa valutazione quella compiuta dalla Regione, la quale in realtà, in base a un apprezzamento discrezionale ad essa riservato, aveva convocato tale organo alla conferenza stessa, ma tardivamente, in tempo non utile a consentirgli di essere presente.

La censura va disattesa.

Con la decisione impugnata non sono stati superati i limiti esterni della giurisdizione amministrativa, poichè il giudice a quo ha svolto sull’atto in questione un sindacato esclusivamente di legittimità e non di merito, utilizzando il parametro non dell’opportunità o della convenienza, ma della conformità al diritto: ha ritenuto che la conferenza di servizi si fosse svolta validamente, poichè l’assenza di vincoli archeologici nella zona destinata all’installazione dell’impianto eolico escludeva la necessità di chiamare a parteciparvi la Soprintendenza. Che invece quest’ultima (anche in mancanza dei vincoli suddetti, ma data l’esistenza in loco di un sito megalitico che aveva dato luogo a miti e leggende) dovesse essere ugualmente considerata come una delle "amministrazioni interessate", da convocare tempestivamente a pena altrimenti dell’illegittimità delle determinazioni della conferenza, è un assunto della ricorrente la cui ipotetica fondatezza consentirebbe semmai di ravvisare, nella decisione impugnata, un error in iudicando, che non può costituire idonea ragione di una pronuncia di cassazione, stanti i limiti del controllo consentito a questa Corte dall’art. 362 cod. proc. civ. sulle decisioni del Consiglio di Stato. Per o stesso motivo non possono avere ingresso in questa sede le ulteriori doglianze formulate dalla ricorrente a proposito di ciò che nella decisione impugnata si è rilevato circa l’inidoneità della costruzione dell’impianto eolico sia a determinare un nocumento ai miti e leggende (peraltro non provati) che si tramanderebbero in loco, sia a comportare una modifica rilevante del paesaggio: si tratta anche in questo caso di accertamenti relativi ai presupposti richiesti ai fini dell’applicabilità delle norme che l’associazione "Italia Nostra" assumeva essere state violate nel procedimento concluso con l’adozione dell’autorizzazione rilasciata alla s.r.l. Wind Service, sicchè va esclusa in radice la configurabilità del vizio di eccesso di potere giurisdizionale denunciato dall’associazione "Italia Nostra" (cfr., tra le altre, Cass. s.u. 22 dicembre 2003 n. 19664).

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente dichiarazione della giurisdizione del giudice amministrativo. La soccombenza della ricorrente comporta la sua condanna a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano per la s.r.l. Wind Service in 200,00 Euro, oltre a 3.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge, per il consorzio di bonifica Ugento e Li Foggi in 200,00 Euro, oltre a 2.700,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo; condanna la ricorrente a rimborsare ai resistenti le spese del giudizio di cassazione, liquidate per la s.r.l. Wind Service in 200,00 Euro, oltre a 3.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge, per il consorzio di bonifica Ugento e Li Foggi in 200,00 Euro, oltre a 2.700,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 12-05-2011, n. 836

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ola, per il ricorrente, e l’avv. Tarentini, per l’Avvocatura dello Stato;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente, titolare di un’attività commerciale (bar) sita in Cavallino, ha richiesto ai Monopoli di Stato il rilascio del patentino per la vendita di generi di monopolio.

L’Amministrazione, il 17 novembre 2009, ha rigettato la richiesta.

Avverso questo provvedimento è stato proposto il presente ricorso per i seguenti motivi: violazione del Titolo V della circolare della direzione generale A.A.M.S. n. 04/6346 del 25 settembre 2001 come integrata con circolare n. 04764713 del 28 novembre 2001; violazione assoluta della circolare della direzione generale A.A.M.S. n. 375 UDG del 1° agosto 2005; erronea presupposizione di fatto e di diritto; eccesso di potere per illogicità manifesta; violazione del giusto e corretto procedimento; difetto di istruttoria; sviamento di potere.

Deduce il ricorrente che la non rilevante frequentazione del bar, intesa come potenzialità economica, è smentita dai dati contabili in possesso dell’amministrazione convenuta e che la presenza di un distributore automatico presso la rivendita n. 2 di Cavallino non preclude il rilascio della concessione del patentino.

L’Amministrazione si è costituita con atto del 14 dicembre 2009 e il 2 gennaio 2010 è stata depositata una relazione dei Monopoli, con la quale, nel richiamare la vigente normativa che vieta il rinnovo dei patentini che effettuino prelevamenti per importi inferiori al 15% del volume complessivo della rivendita cui sono aggregati, ha rilevato che nel caso in esame questo requisito non è soddisfatto dal ricorrente e che comunque mancano le esigenze di servizio necessarie per poter ampliare la rete di vendita.

Nella pubblica udienza del 13 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato.

È da rilevare, anzitutto, che l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità nel rilascio del patentino per la vendita di generi di monopolio e, pertanto, il sindacato giurisdizionale sul relativo provvedimento è limitato, non potendo il giudice sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’amministrazione a cui è affidata la cura dello specifico interesse pubblico in gioco, "ma dovendosi limitare soltanto a verificare che le contestate valutazioni di merito non risultino ictu oculi abnormi, irragionevoli o arbitrarie e non siano viziate da travisamento dei fatti, da palese illogicità o manifesta contraddittorietà" (TAR Roma, Lazio, 5 aprile 2007, n. 3001; C.d.S., 7 aprile 2006, n. 1924).

Inoltre, il rilascio del patentino, sul presupposto che la rete distributiva dei generi di monopolio può essere potenziata in base ad una decisione discrezionale dell’amministrazione, è condizionato dall’esito del previo accertamento sulla effettiva esigenza di ampliamento del servizio nella zona in cui è ubicato l’esercizio istante (Tar Torino, sez. II, 11 febbraio 2011, n. 145).

Nel caso di specie, il provvedimento non è affetto da questi vizi in quanto il diniego di rilascio del patentino è stato giustificato sulla base di due motivazioni, entrambe corrette.

Anzitutto è stato ritenuto che "la zona interessata non presenta particolari esigenze di servizio da soddisfare tramite un ampliamento della rete distributiva esistente".

La correttezza di questa affermazione è comprovata dai pareri resi dalla Guardia di Finanza, per la quale "nella zona non vi è un incremento abitativo da giustificare il rilascio del patentino. La stessa zona è già ben servita dalle rivendite ordinarie esistenti" e dalla FIT, per la quale "la zona è abbondantemente servita dalle rivendite 2 e 3, peraltro supportate dai distributori e dalla rivendita n. 4 aperta 24 ore no stop", concludendo entrambi sulla non utilità della nuova istituzione del patentino.

Inoltre, l’Amministrazione ha evidenziato come dai dati contabili emerga che l’esercizio in questione non risulti di rilevante frequentazione, condizione necessaria ai fini del rilascio dei nuovi patentini. Infatti, dalla valutazione effettuata dall’Amministrazione, in base agli scontrini medi emessi nell’anno, è risultato che il prelevamento sarebbe inferiore al 15% del volume complessivo della rivendita cui il patentino dovrebbe essere aggregato. Anche questa affermazione risulta poi avvalorata dal parere reso dalla guardia di finanza secondo cui "nel bar in argomento non vi è un notevole flusso di clientela".

In conclusione, il ricorso deve essere respinto perché le motivazioni dell’Amministrazioni non risultano irragionevoli o arbitrarie e non sono viziate da travisamento dei fatti, da palese illogicità o manifesta contraddittorietà. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-03-2011) 26-05-2011, n. 21048 Sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, il Giudice di pace di Montemaggiore Belsito assolveva D.G. dal reato di minacce in danno di M.G. (con l’espressione se non mi dai i soldi ti faccio scomparire le pecore), ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2. Reputava il giudicante che le dichiarazioni della persona offesa non avessero trovato riscontro nella testimonianza di G.S., il quale aveva riferito di avere assistito ad una vivace discussione tra le parti a cagione di un prestito di denaro, negando, però, di avere sentito frasi minacciose da parte loro; e che quelle stesse dichiarazioni non fossero da sole sufficienti a supportare, dal punto di vista probatorio, la sussistenza del reato.

Avverso la pronuncia anzidetta il PM di Termini Imerese ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con unico motivo d’impugnazione, parte ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 586 e art. 606, comma 1, lett. e). Si duole, al riguardo, che il giudicante abbia ritenuto inaffidabili le dichiarazioni della persona offesa senza procedere ad approfondito esame di attendibilità ed abbia travisato l’esatto tenore delle dichiarazioni del teste, il quale, pur confermando il diverbio tra le parti, non aveva escluso che fossero state proferite espressioni minatorie, dicendo semplicemente di non ricordare tale circostanza;

di talchè, la testimonianza non si poneva in alcun modo in insanabile contrasto con le puntuali dichiarazioni della parte civile.

2. – La censura è fondata e merita, pertanto, accoglimento.

Sussiste, per vero, la lamentata illogicità della motivazione, nella parte in cui – pur ritenendo che, per consolidata regola di giudizio, le dichiarazioni della persona offesa possano, anche da sole, costituire valido sostegno probatorio dell’affermazione di colpevolezza, seppur bisognevoli di adeguato vaglio di attendibilità, peraltro ancor più rigoroso ove la persona offesa sia anche costituita parte civile – omette, di fatto, di compiere tale scrutinio di credibilità, limitandosi al rilievo della mancanza di riscontri in atti.

Il giudice a quo non ha considerato, in proposito, che – anche ove, per la peculiarità della vicenda, fosse stato ritenuto necessario l’apporto di un momento di conferma – le risultanze processuali offrivano, pur sempre, un significativo riscontro con la testimonianza di G.S.. Il teste ha, infatti, confermato la circostanza del diverbio tra l’imputato e la persona offesa, anche se ha sostenuto di non aver percepito le espressioni minatorie, pur non potendo escludere che le stesse fossero state proferite.

3. – Per quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio al competente giudice di merito per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Giudice di pace di Montemaggiore Belsito per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-06-2011, n. 3555 Interesse a ricorrere Controversie tra l’appaltatore e l’amministrazione appaltante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Consorzio approvvigionamento idrico terra di lavoro – CE indiceva un appalto per l’affidamento in concessione esterna del servizio di censimento delle utenze e di riscossione dei canoni idrici.

L’originario bando veniva pubblicato, insieme al capitolato tecnico, in G.U.C.E. e in G.U.R.I., oltre che sulla stampa quotidiana.

Seguiva un avviso di riapertura dei termini, con le stesse modalità pubblicitarie.

Detto avviso invitava a consultare il sito internet dell’Ente "per ulteriori informazioni sul bando e sulle modifiche apportate".

L’originaria legge di gara non prevedeva la prestazione di cauzione a corredo dell’offerta, che veniva invece prevista dal capitolato modificato, e pubblicato solo sul sito internet dell’Ente.

2. La società M. T. partecipava alla gara senza prestare cauzione provvisoria e pertanto veniva esclusa.

Proponeva ricorso al Tar Campania – Napoli avverso il provvedimento di esclusione, e con successivi motivi aggiunti impugnava il provvedimento di aggiudicazione definitiva in favore di T..

2.1. Nel corso del giudizio il Tar respingeva la domanda cautelare, che veniva invece accolta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza 12 luglio 2005 con cui si disponeva che il Consorzio fissasse al ricorrente un termine perentorio per la produzione della cauzione provvisoria.

3. Il Tar, con la sentenza in epigrafe (3 maggio 2006 n. 3908), ha accolto il ricorso, previo rigetto di alcune eccezioni di controparte.

4. La sentenza è stata appellata dalla controinteressata T. s.p.a., con atto ritualmente e tempestivamente notificato e depositato.

5. Con il primo motivo di appello si ripropone l’eccezione di difetto di interesse al ricorso di primo grado, sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte del ricorrente di primo grado, di avere titolo all’aggiudicazione.

5.1. Il Tar ha disatteso la censura avuto riguardo al carattere strumentale dell’interesse e alla circostanza che la ricorrente era nell’impossibilità di ricostruire la propria posizione, mai valutata dalla commissione di gara, a causa dell’esclusione.

5.2. Parte appellante censura tale capo di sentenza osservando che la ricorrente in primo grado non ha mai dedotto l’interesse strumentale, sicché il giudice avrebbe pronunciato ultra petita.

Inoltre la ricorrente sarebbe stata in grado di dimostrare se aveva o no diritto all’aggiudicazione.

5.3. Il mezzo è infondato.

Secondo consolidata giurisprudenza, l’esclusione è idonea di per sé a radicare l’interesse al ricorso, indipendentemente dall’esito della gara stessa e dalla circostanza che in caso di ammissione l’imprenditore comunque non sarebbe risultato aggiudicatario, e dunque dalla prova che l’esito della gara sarebbe stato sicuramente o probabilmente favorevole; l’interesse al ricorso in tema di procedure di gara, infatti, è un interesse strumentale a rimettere in discussione il rapporto, provocando la rinnovazione della gara con il vantaggio per l’interessato di parteciparvi (Cons. giust. sic., 22 aprile 2002 n. 203; Cons. St., sez. VI, 28 aprile 1998 n. 576; Cons. St., sez. VI, 17 giugno 1998 n. 972).

Si è anche ritenuto che l’esclusione lede l’interesse dell’imprenditore a vedersi valutare la propria offerta, indipendentemente dall’esito della gara, di talché l’interesse a ricorrere contro l’esclusione è configurabile ex se e non occorre che sia dimostrato che l’esito della gara sarebbe sicuramente o probabilmente favorevole, anche perché siffatta dimostrazione implicherebbe, da un lato, una disvelazione di dati relativi ad un’offerta ancora segreta e, dall’altro lato, l’anticipazione da parte del giudice di verifiche caratterizzate da un significativo tasso di discrezionalità tecnica, riservate alla stazione appaltante (Cons. St., sez. VI, 28 aprile 1998 n. 576).

Tale orientamento trova la sua giustificazione nella circostanza che quando viene disposta l’esclusione, normalmente non sono ancora note le offerte degli altri concorrenti, sicché è impossibile per il ricorrente escluso provare che in caso di ammissione avrebbe vinto la gara.

Tale soluzione incontra un temperamento solo nel caso in cui il sistema di gara sia quello del prezzo più basso, e al momento dell’impugnazione dell’esclusione o successivamente siano noti i ribassi offerti, sicché può evincersi con certezza se il ricorrente escluso, in caso di ammissione, avrebbe o no vinto.

Diverso discorso va fatto per il caso di sistema di gara con metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in cui il concorrente escluso non è oggettivamente in grado di dimostrare che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria, atteso che l’esito della gara dipende dalla valutazione delle offerte tecniche da parte della Commissione, e l’offerta dell’escluso non è stata, per definizione, valutata.

Pertanto, in siffatta evenienza, è inesigibile da parte del ricorrente la prova che avrebbe vinto la gara.

E’ quanto si verifica nel caso di specie, in cui il metodo di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Il ricorrente di primo grado non era tenuto a dimostrare che avrebbe vinto la gara, se ammesso, perché la sua offerta non è stata mai valutata dalla Commissione.

6. Con il secondo motivo di appello si ripropone l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata impugnazione del bando di gara.

6.1. Il Tar ha disatteso la censura osservando che non vi era necessità di impugnare l’originario bando, che non richiedeva la cauzione provvisoria, e nemmeno necessità di impugnare il bando modificato, che a sua volta non richiedeva la cauzione provvisoria; se poi si ritenesse che il secondo bando fosse lesivo perché rinviava al capitolato modificato, che prescriveva la cauzione provvisoria, neppure vi era necessità di impugnazione, perché il ricorso di primo grado non fa questione di invalidità del bando, ma di inefficacia perché non pubblicato ritualmente.

6.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza assumendo che siccome il ricorso si duole delle modalità di pubblicazione del bando e del suo equivoco contenuto, era necessario impugnarlo, e che la motivazione della sentenza è forzata laddove distingue tra inefficacia e invalidazione del bando.

6.3. Il mezzo va disatteso.

Il ricorso di primo grado non contesta la legittimità della nuova legge di gara, e dunque della clausola sulla cauzione provvisoria, ma contesta le modalità pubblicitarie del bando, e dunque l’inopponibilità di un bando che non ha rispettato le modalità pubblicitarie.

Non vi era pertanto necessità di impugnare il nuovo bando di gara, facendosi questione, come correttamente ritenuto dal Tar, di inefficacia dello stesso per violazione delle regole di pubblicità.

7. Con il terzo motivo di appello si lamenta che il Tar non ha considerato che l’obbligo di prestare la cauzione provvisoria discendeva direttamente dalla legge, e segnatamente dall’art. 30, l. n. 109/1994, a prescindere dalla sua previsione o meno nella lex specialis di gara.

7.1. Il mezzo va disatteso.

L’appalto per cui è processo è un appalto di servizi, soggetto, come espressamente dichiarato nel bando, al d.lgs. n. 157/1995.

All’epoca dei fatti di causa per gli appalti di servizi il d.lgs. n. 157/1995 non prevedeva la cauzione provvisoria, e non si poteva ritenere automaticamente esteso un obbligo di cauzione previsto dalla legge solo per i lavori pubblici (art. 30, l. n. 109/1994).

Pertanto, l’obbligo di prestazione di cauzione provvisoria, non discendendo direttamente dalla legge primaria, doveva essere previsto dalla legge di gara, per vincolare i concorrenti.

8. Con il quarto motivo di appello si contesta la sentenza, laddove essa ritiene che la legge di gara sia stata poco chiara, atteso che la prestazione di cauzione provvisoria è stata prevista dal secondo capitolato, non adeguatamente pubblicizzato, e senza che dall’avviso di riapertura termini si potesse comprendere che il capitolato era stato modificato. Ad avviso del Tar l’amministrazione avrebbe violato il dovere del clare loqui.

8.1. Replica parte appellante che la ricorrente in primo grado aveva preso visione del nuovo bando, come si evincerebbe dalla circostanza che presentava domanda di partecipazione alla gara utilizzando gli schemi di presentazione pubblicati sul sito internet della stazione appaltante. Sicché la ricorrente in primo grado avrebbe avuto la concreta possibilità di visionare il nuovo capitolato.

Vi sarebbe stato, pertanto, al di là del vizio formale di pubblicità, il raggiungimento dello scopo.

Si assume che inoltre la stazione appaltante avrebbe informato delle modifiche del bando direttamente le ditte originariamente partecipanti, tra cui la ricorrente.

8.2. Il mezzo è infondato.

Gli originari bando e capitolato hanno seguito la pubblicità sulla GUCE e sulla GURI.

La stessa pubblicità è stato dato all’avviso di riapertura termini.

La stessa pubblicità avrebbe dovuto essere data anche alle modifiche del bando e del capitolato.

L’omissione delle formalità pubblicitarie è viziante dell’operato dell’Amministrazione, e nella specie non è dimostrato che la ricorrente in primo grado avrebbe comunque avuto la concreta possibilità di accorgersi delle modifiche intervenute.

Infatti l’avviso di riapertura termini rinvia al sito internet della stazione appaltante, testualmente, "per ulteriori informazioni sul bando e sulle modifiche apportate", con ciò lasciando intendere che le modifiche erano state apportate solo al bando.

In nessun modo è stato chiarito, con rituali forme pubblicitarie, che era stato modificato, e in che punto, anche il capitolato.

Pertanto i concorrenti non erano tenuti a visionare il sito internet, per scovare modifiche nascoste nel capitolato, potendo ragionevolmente confidare, in base alla pubblicità dovuta per legge, che il capitolato non era stato modificato.

La circostanza che la ricorrente in primo grado avesse scaricato dal sito internet della stazione appaltante i moduli di domanda di partecipazione, non fornisce affatto la prova che abbia conosciuto anche il capitolato modificato, che non era tenuta a consultare.

Né è dimostrato l’assunto di parte appellante secondo cui la stazione appaltante avrebbe direttamente informato delle modifiche intervenute gli originari partecipanti, tra cui la M., invero la M. non era tra gli originari partecipanti, avendo presentato domanda di partecipazione dopo la riapertura dei termini.

In definitiva, vi è stata una sicura violazione, da parte della stazione appaltante, del dovere di clare loqui, in aggiunta alla sicura violazione delle forme pubblicitarie della legge di gara, e nessuna prova vi è che la M. fosse a conoscenza del nuovo capitolato, o che lo avesse colpevolmente ignorato.

9. Consegue il rigetto dell’appello.

Non si fa luogo a pronuncia sulle spese in difetto di costituzione delle altre parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (r.g. 6705/06), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.