Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-09-2011, n. 18445 Arbitrato

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Svolgimento del processo

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Con atto 29.5.2000, la Regione Campania ha impugnato innanzi alla Corte d’appello di Napoli il lodo arbitrale, sottoscritto in Napoli il 23 dicembre 1999 che, definendo la controversia afferente la realizzazione dell’impianto di depurazione e della bretella di collegamento stralciate dal complesso delle opere denominate "Sistemazione del Canale (OMISSIS)", aveva condannato l’amministrazione pubblica al risarcimento dei danni, dei compensi revisionali ed all’indennità di esproprio, oltre interessi di mora in favore del Consorzio Cooperative Costruzioni in proprio e quale mandataria dell’ATI costituita tra il Consorzio Cooperative Costruzioni, Il Consorzio di Produzione e Lavoro Forlì, la Giustino Costruzioni s.p.a., l’Impregilo s.p.a. e la Astaldi s.p.a..

La Corte territoriale, con sentenza notificata il 27 maggio 2004, ha respinto l’impugnazione.

Contro la statuizione la Regione Campania ha proposto ricorso per cassazione in base a cinque mezzi, resistiti dal Consorzio intimato con controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

La questione di giurisdizione posta col primo motivo è stata risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 19699/2010 che ha dichiarato la giurisdizione dell’organo adito.

La preliminare eccezione di nullità della procura, sollevata dalla resistente in plurimi profili, già esaminata e trattata nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, va respinta ribadendo che: 1.- è acquisita agli atti la Delib. 23 luglio 2004, n. 1488 della Giunta Regionale della Campania che ha autorizzato la presente impugnazione; 2.- l’apposizione della procura a margine del presente ricorso, con cui costituisce corpo unico, le conferisce il requisito della specialità predicato dall’art. 365 c.p.c., pur difettando nel suo testo il riferimento alla sentenza impugnata nonchè la data del suo rilascio, in assenza d’espressioni che ne escludano il conferimento per la presente fase (Cass. S.U. n. 2219/2004 e sul suo solco da ultimo n. 1954/2009).

Col secondo motivo la Regione Campania, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 45 ascrive al giudice dell’impugnazione errore consistito nella declaratoria d’inammissibilità dell’eccezione di difetto della potestas judicandi del collegio arbitrale, asseritamente composto in senso difforme dalla disposizione in rubrica avente carattere cogente ed inderogabile. La questione, secondo consolidata esegesi – Cass. n. 6230/1999 – è proponibile nel corso dell’intero giudizio, dunque per la prima volta in sede d’impugnazione.

La controricorrente deduce ancora inammissibilità nonchè infondatezza del motivo.

Il motivo è privo di pregio.

La Corte territoriale ha dichiarato inammissibile la contestazione circa l’assenza della potestas judicandi del collegio arbitrale che, secondo l’assunto della Regione, era stato composto in senso difforme dal disposto dell’art. 45 del capitolato generale delle 00.PP approvato con D.P.R. n. 1063 del 1962 per numero degli arbitri e modo di composizione del collegio, poichè, non essendo rilevabile d’ufficio, avrebbe dovuto essere dedotta con l’atto d’impugnazione, e non già, com’era avvenuto, nei motivi aggiunti. La decisione non merita censura.

Secondo orientamento consolidato (per tutte Cass. n. 5289 del 1998, n. 5965/2008) le previsioni del capitolato generale d’appalto approvato col D.P.R. n. 1063 del 1962, in relazione ai contratti di enti pubblici diversi dallo Stato, rappresentano clausole negoziali aventi natura meramente contrattuale e la loro violazione, nella specie riguardante la composizione del collegio arbitrale secondo le previsioni dell’art. 45, è senz’altro deducibile in sede d’impugnazione del lodo arbitrale ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 2, ma solo sotto il profilo della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale e purchè la relativa questione sia sta dedotta innanzi agli arbitri.

La problematica venne sollevata dall’odierna ricorrente innanzi al giudice dell’impugnazione con riferimento astratto alla norma del capitolato, la cui applicazione venne invocata in senso solo tautologico e non già in ragione del suo espresso richiamo contenuto nella convenzione, che rappresentava la premessa indefettibile dell’indagine sollecitata, e peraltro neppure con l’atto introduttivo ma solo con comparsa conclusionale. Alla luce del richiamato enunciato, la declaratoria d’inammissibilità ne è stato l’ineludibile ed ineccepibile corollario.

Col terzo motivo la Regione Campania denuncia violazione della L. n. 144 del 1999, art. 42, comma 3 e dell’art. 112 c.p.c.. Deduce omessa pronuncia sulla contestazione mossa circa il mancato perfezionamento della sua successione nel rapporto controverso in ragione dell’omessa constatazione dello stato di consistenza dell’infrastruttura e della sua immissione in possesso, nonchè in ordine all’eccepito precedente esaurimento dell’oggetto della convenzione per l’avvio del Prefetto di Napoli d’interventi con essa incompatibili. Il resistente replica per l’inammissibilità della censura che non esporrebbe effettivi argomenti di critica della decisione impugnata, adeguatamente motivata in parte qua.

La decisione impugnata afferma la legittimazione passiva dell’ente territoriale, contestata sull’assunto che la convenzione si fosse di fatto risolta o comunque esaurita per effetto della sospensione disposta dal funzionario CIPE e per l’avvio da parte del Prefetto di Napoli, quale Commissario straordinario per il disinquinamento del fiume (OMISSIS), di interventi con essa incompatibili, fatto questo accaduto ancor prima che si potesse ritenere consumata la sua successione nei contratti ai sensi della L. n. 341 del 1995, comunque mai avvenuta, rilevando l’inidoneità del provvedimento di sospensione a risolvere una convenzione o un appalto. La successione dell’ente nel rapporto ancora in atto si era è, inoltre verificata L. n. 341 del 1995, ex art. 22 e gli arbitri a tal proposito avevano rilevato, in punto di fatto, la sussistenza di indici rivelatori dell’avvenuto compimento di tutte le attività all’uopo necessarie.

Il motivo è infondato.

Fondamento dell’approdo è la costruzione del quadro normativo regolante il caso di specie in adesione a consolidata esegesi secondo cui "nell’ambito del programma diretto alla cessazione della gestione straordinaria delle opere di ricostruzione di cui al titolo 7^ della L. n. 219 del 1981, la dismissione delle competenze del funzionario CIPE cui consegue il trasferimento agli enti locali delle opere, non è automatico, in quanto il disposto della L. n. 341 del 1995, art. 22 che sancisce l’efficacia di tale acquisizione postula il necessario compimento di attività amministrativa, rappresentata dalla previa consegna degli atti tecnici, amministrativi e contabili, prodotti dall’Amministrazione cedente e dalla constatazione dello stato di consistenza dell’infrastruttura, al cui esito si realizza la successione del citato art. 22, ex comma 9 bis, Legge cit. degli enti anzidetti nei processi a titolo particolare all’Amministrazione statale originariamente convenuta in deroga al disposto dell’art. 111 c.p.c. ( Cass. n. 4751/2002, n. 5965/2008 cit.)". Questo assunto non è fatto segno di critica pertinente da parte della Regione odierna ricorrente, che lamenta piuttosto vizio motivazionale, che si sostanzierebbe nell’omesso vaglio critico delle circostanze, asseritamente pretermesse, idonee a confutare il controverso subentro nel rapporto concessorio in discussione, che risultano invece tenute in debito conto dalla Corte territoriale. La sentenza riferisce ed esamina entrambi i profili d’indagine sollecitati nel motivo d’impugnazione, e conclude per l’inammissibilità della tesi difensiva prospettata perchè su quei fatti che si assumono non esaminati il collegio arbitrale ha indagato, ritenendone la sussistenza. La censura in esame insiste nella smentita di quegli elementi, assunti dal collegio arbitrale a fondamento della vicenda successoria, per rivendicarne l’apprezzamento che correttamente ha negato l’organo d’impugnazione, attenendo al merito, dunque, precluso in quella sede. Tranciante ed esaustiva, la verifica del corretto accertamento delle circostanze attestanti la vicenda successoria indicati nel lodo ha comportato la legittimità della pronuncia arbitrale. Il riesame circa la sussistenza e la rilevanza delle circostanze accertate dal collegio arbitrale, contestate nel merito, per l’effetto è stato correttamente omesso. Nè di certo ne è ammessa la riproposizione col presente ricorso per Cassazione che, non investendo direttamente la pronuncia arbitrale, ma solo la decisione emessa in sede di impugnazione, introduce sindacato di legittimità limitato al mero riscontro della conformità a legge e della congruità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo (Cass. n. 5965/2008 cit.).

Il motivo va perciò rigettato.

Col quarto motivo la Regione Campania denuncia error in judicando in ordine alla sua responsabilità contrattuale, nonchè violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 10 e 30 e dell’art. 112 c.p.c. e lamenta omesso esame di circostanze che avrebbero determinato diverso epilogo. Ed invero, premesso che, secondo consolidata esegesi del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10 il diritto dell’appaltatore al ristoro del danno presuppone l’esercizio della facoltà di recesso, e che alcuna responsabilità potevasi attribuire al concedente quanto all’impianto di depurazione del (OMISSIS), sarebbe risultato per tabulas che i lavori non vennero mai consegnati. La questione rappresentata all’organo d’impugnazione investiva profili di diritto e non di merito, nè assume rilievo il mancato assolvimento dell’onere probatorio in relazione alle voci evidenziate sia perchè essa impugnante aveva rinunciato alla fase rescissoria, sia per il loro esiguo ammontare. In ogni caso il giudicante è incorso nel vizio d’omessa pronuncia circa l’applicabilità del menzionato art. 10 alle opere, mai consegnate, del (OMISSIS). Il resistente deduce inammissibilità e comunque infondatezza del mezzo. Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha dichiarato insussistente l’error in judicando attribuito dall’amministrazione impugnante agli arbitri per averne riconosciuto la responsabilità contrattuale, in violazione peraltro del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 10 e 30 mirando la censura ad inammissibile riesame del merito della valutazione dei fatti operata dal collegio arbitrale che, tenuto conto dell’ordinanza di sospensione dei lavori dichiarata illegittima dal TAR Campania, della consegna parziale dei lavori e del ritardo con cui era stata approvata la perizia di variante resa necessaria dalla riduzione delle opere, trasmessa dal Consorzio il 7 maggio ed approvata solo il 15 luglio 1993, aveva qualificato il comportamento della Regione contrario a buona fede, e perciò fonte di responsabilità. Poichè peraltro alcune partite liquidate nel lodo non erano connesse al ritardo nella consegna dei lavori, era onere dell’impugnate, rimasto non assolto, denunciare quali di esse assumessero rilevanza ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. citato che consente al concessionario, in caso di ritardo ascrivibile al concedente, il solo recesso dal contratto ed il correlato diritto di pretendere il compenso per i maggiori oneri derivanti dal ritardo, oltre al differimento del termine pattuito. Il motivo non indirizza critica pertinente a questa ratio deciderteli.

I fatti ascrivibili all’amministrazione, puntualmente scrutinati dagli arbitri, furono da essi assunti a fonte di responsabilità secondo gli ordinari criteri che presidiano le obbligazioni. Il riscontro da parte dell’organo d’impugnazione della legittimità di tale ricostruzione è immune da critica.

Seppur inconsapevolmente, la decisione fa buon governo dell’esegesi, in questa sede condivisa e che s’intende ribadire senza necessità di rivisitazione, secondo cui l’opzione di cui fruisce l’appaltatore ai sensi del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30 scioglimento del contratto senza indennità in caso di sospensione dei lavori e conseguente diritto al risarcimento dei danni solo in caso d’opposizione dell’Amministrazione, opera se la sospensione sia disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità (diversa da quella, contemplata nel primo comma della norma, della sospensione disposta per cause temporanee ostative alla prosecuzione dei lavori a regola d’arte) e si protragga legittimamente. La sua protrazione illegittima configura invece ordinario inadempimento delle obbligazioni, con conseguente diritto dell’appaltatore ad una congrua proroga del termine per l’ultimazione dell’opera ed al rimborso delle maggiori spese, nonchè i rimedi di carattere generale della risoluzione del contratto e del risarcimento del danno" (Cass. n. 14574/2010).

L’illegittimità dell’ordinanza di sospensione delle opere nella specie è pacifica. La Corte territoriale ne ha dato atto richiamando la pronuncia assunta dal giudice amministrativo, e non ve ne è smentita. La circostanza rappresentava perciò fonte di responsabilità dell’amministrazione e titolo fondante il diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno. Il motivo in esame, ponendo infondata necessaria correlazione tra il recesso non esercitato dall’appaltatore ed il risarcimento del danno, ripropone, seppur in chiave motivazionale, questioni di merito attinenti alle voci ritenute non contestate dagli arbitri, non scrutinate dalla Corte d’appello in ragione dell’inammissibilità del loro riesame, nè tanto meno esaminabili in questa sede. Nella parte finale deduce vizio d’omessa pronuncia sulla sicura applicabilità del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 10 alle opere mai consegnate relative all’impianto di depurazione (OMISSIS). La censura in parte qua, priva di autosufficienza, è generica e perciò inammissibile.

Con l’ultimo motivo si deduce infine violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 191 c.p.c. ed ancora dell’art. 112 c.p.c.. La ricorrente sostiene sia d’aver denunciato innanzi al collegio arbitrale d’aver demandato ai tecnici la soluzioni di questioni giuridiche.

La resistente deduce infondatezza del motivo. La Corte d’appello ha dichiarato infondato il motivo di nullità del lodo discendente dall’affidamento ai c.t.u. di quesiti esulanti dalla loro competenza sia perchè la Regione non si era opposta alla loro formulazione, sia perchè la censura non esponeva denuncia circa un vero e proprio trasferimento ai tecnici del potere decisionale attribuito al collegio.

La censura espressa nel motivo in esame è assistita dalla medesima genericità riscontrata dalla Corte territoriale. Non ripropone infatti con la necessaria autosufficienza i tratti salienti della questione – i quesiti formulati ed i rilevi asseritamente mossi innanzi al collegio arbitrale, che consentano di scrutinare il vizio addotto. E’ dunque inammissibile.

Per tutte le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese della presente fase di legittimità liquidandole in Euro 12.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 26-05-2011, n. 1357 Competenza e giurisdizione

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erbale;
Svolgimento del processo

Il ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe censurandoli per violazione e falsa applicazione di legge, nonché per travisamento ed erronea valutazione dei fatti.

Si sono costituiti in giudizio i Ministeri resistenti chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Non si è costituita in giudizio l’Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano.

Entrambe le parti hanno depositato documenti.

All’udienza del giorno 12.05.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

In via preliminare, il Tribunale rileva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia di cui si tratta, con la precisazione che la questione è stata sottoposta alle parti nel corso dell’udienza, ai sensi dell’art. 73, terzo comma, del codice del processo amministrativo.

Il ricorrente è un dipendente dell’Azienda Ospedale Civile di Legnano, ove opera a tempo indeterminato dal 2001 nella posizione di Dirigente medico.

Egli pone a fondamento dell’impugnazione la pretesa al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia consistente in "esiti di pregressa lesione ischemica cerebrale", diagnosticata in data 23 ottobre 2006.

Dal contenuto del ricorso e dalla documentazione prodotta emerge che il ricorrente deduce a supporto della domanda vicende e fatti verificatisi in ambito lavorativo e in dipendenza del rapporto di lavoro tra l’anno 2001 e l’anno 2006.

Del resto, il rapporto di lavoro di cui egli è titolare è di natura privatistica, non rientrando tra le ipotesi di permanenza del regime di diritto pubblico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.l.vo 2001 n 165.

Trattandosi di un rapporto di lavoro privatizzato con una pubblica amministrazione, tutte le relative controversie, compresa quella di cui si tratta, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario in funzione del giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 63 del d.l.vo 2001 n. 165, con la sola esclusione delle controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione che, tuttavia, non riguardano la fattispecie in esame.

Né il caso di specie è riconducibile alla previsione dell’art. 69, comma 7, del d.l.vo 2001 n. 165, che conserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriori al 30 giugno 1998, in quanto, come già evidenziato, i fatti allegati dal ricorrente attengono a vicende del rapporto lavorativo verificatesi tra l’anno 2001 e l’anno 2006 (cfr. tra le tante Cass. Civ., SS. UU., 07 ottobre 2008, n. 24713; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 10 dicembre 2010, n. 8110; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 05 dicembre 2008, n. 21088).

In definitiva, in relazione alla controversia in esame deve essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, dinanzi al quale la causa può essere riproposta ai sensi e con gli effetti stabiliti dall’art. 11 del codice del processo amministrativo, fermo restando che la peculiarità della fattispecie sottesa all’impugnazione consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Compensa tra le parti le spese della lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-10-2011, n. 21264 Lavoro subordinato

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Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania ha respinto l’appello proposto da S.G. avverso la sentenza del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di indennizzo proposta dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro – la società Siciliana Off Shore srl – in relazione alla mancata operatività di una polizza assicurativa stipulata dal datore di lavoro in ottemperanza all’obbligo previsto dalla normativa collettiva per il caso di ritiro del libretto di navigazione conseguente a malattia o infortunio professionale o extraprofessionale. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che nella fattispecie, anche a voler ammettere che la domanda dovesse qualificarsi come domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, doveva escludersi qualsiasi responsabilità del datore di lavoro per inadempimento degli obblighi contrattuali, posto che il contratto di assicurazione stipulato dalla società doveva ritenersi idoneo allo scopo per il quale era stato previsto come obbligatorio dal contratto collettivo, e che, se mai, il lavoratore avrebbe dovuto rivolgere le proprie pretese nei confronti delle società assicuratrici chiamate in causa dal datore di lavoro, nei confronti delle quali, tuttavia, il ricorrente non aveva inteso estendere la domanda.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione S.G. affidandosi a cinque motivi di ricorso cui resistono con controricorso la Siciliana Off Shore srl – che ha proposto anche ricorso incidentale condizionato al fine di sentir affermare il proprio diritto ad essere manlevata e garantita dalle compagnie assicuratrici – la UGF Assicurazioni spa (quale società incorporante la Aurora spa) e la Assicuratori dei Lloyd’s of London. La UGF Assicurazioni ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale condizionato.

La Marine & Aviation spa (già srl) non ha svolto attività difensiva.

La Unipol Assicurazioni spa (già UGF Assicurazioni spa) ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione

Preliminarmente, deve essere disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1.- Con il primo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 32 ccnl, chiedendo a questa Corte di stabilire "se l’obbligo posto a carico del datore di lavoro debba intendersi come un obbligo alla mera stipula di un contratto assicurativo, o piuttosto, il medesimo datore di lavoro, in ossequio ai principi di buona fede e protezione del proprio contraente (il lavoratore), abbia l’obbligo di curare la stipula di un contratto che garantisca al lavoratore la percezione dell’indennizzo in caso di ritiro del libretto di navigazione, senza che gli effetti delle scelte contrattuali del datore di lavoro, susseguitesi nel tempo, ed implicanti il coordinamento dei diversi contratti, debbano pregiudicare il lavoratore, estraneo a tale contrattazione"; ed inoltre "se l’azione risarcitoria per equivalente nei confronti del datore di lavoro, per aver stipulato, nell’esercizio della propria autonomia contrattuale, una polizza assicurativa rivelatasi poi inidonea a far conseguire al lavoratore l’indennizzo spettantegli, possa considerarsi azione di responsabilità contrattuale il cui fondamento risiede nel ccnl e, pertanto, vada esperita con le forme del processo del lavoro". 2.- Con il secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 1891 c.c. e art. 32 ccnl, chiedendo alla Corte di stabilire se la polizza in questione costituisce una ipotesi di assicurazione per conto di chi spetta, con la conseguenza che il datore di lavoro, nel caso in cui si verifichi l’evento oggetto della garanzia, dovrebbe ritenersi "legittimato a promuovere l’azione perchè venga soddisfatto il diritto all’indennizzo da parte del lavoratore, mantenendo egli azione diretta nei confronti dell’assicuratore, dovendosi, peraltro, attribuire alla sua chiamata in giudizio da parte del lavoratore assicurato valenza di sollecitazione al contraente per far valere nei confronti dell’assicuratore i diritti scaturenti dal contratto". 3.- Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 1891 c.c., chiedendo a questa Corte di stabilire "se nel caso di assicurazione contro il rischio costituito dal ritiro del libretto di navigazione, intervenuto per una evoluzione non prevedibile di una malattia a decorso incerto, la società di assicurazioni possa opporre o meno all’assicurato, ai sensi dell’art. 1891 c.c., comma 3 l’eccezione fondata su elementi sopravvenuti, non noti al contraente all’epoca della stipulazione e, quindi, esulanti dalla delimitazione del rischio assicurato". 4.- Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 106 c.p.c., sostenendo che la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare la domanda introdotta dal ricorrente anche nei confronti dei terzi chiamati in causa (le società assicuratrici), pur in assenza di una esplicita istanza da parte dell’attore.

5.- Con il quinto motivo si lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, osservando che solo la società Lloyd’s aveva eccepito l’esclusione della garanzia in conseguenza della preesistenza dello stato morboso, mentre la Siad spa (ora UGF Assicurazioni spa) si era limitata a sollevare eccezioni relative al difetto di legittimazione attiva del datore di lavoro e alla inoperatività della polizza assicurativa in relazione ad un evento (il ritiro del libretto di navigazione) verificatosi dopo la scadenza del periodo assicurativo.

6.- I primi due motivi devono ritenersi improcedibili, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, poichè il contratto collettivo oggetto dell’esame del giudice d’appello non risulta essere stato ritualmente allegato al ricorso per cassazione.

7.- Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, è improcedibile quel ricorso al quale non è stato allegato in veste integrale l’accordo collettivo di cui si controverte, atteso che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 pone a carico del ricorrente un vero e proprio onere di produzione, che ha per oggetto il contratto collettivo nel suo testo integrale e non già solo nella parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata nell’impugnazione di legittimità, ciò perchè la Cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, ben può cercare all’interno del contratto collettivo ciascuna clausola, anche non oggetto dell’esame delle parti o del giudice di merito, che comunque ritenga utile all’interpretazione (sull’onere di produzione del testo integrale dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez. unite n. 20075/2010, Cass. n. 4373/2010, Cass. n. 219/2010, Cass. n. 27876/2009, Cass. n. 16619/2009, Cass. n. 15495/2009, Cass, n. 2855/2009, Cass. n. 21080/2008, Cass. n. 6432/2008, cui adde Cass. n. 21366/2010 e Cass. n. 21358/2010). Si è precisato inoltre che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto a pena d’improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti (Cass. n. 4373/2010 cit.) e che l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato previsto dalla citata norma non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 429 bis c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito (Cass. sez. unite n. 20075/2010 cit., nonchè Cass. n. 27876/2009 cit.).

8.- Nella specie, il ricorrente lamenta, con entrambi i motivi di ricorso, la violazione di una norma del contratto collettivo (peraltro diversa da quella presa in esame dal giudice d’appello), omettendo tuttavia di riprodurre le clausole di cui si sostiene l’errata interpretazione e di depositare insieme al ricorso per cassazione il testo integrale del contratto collettivo al quale le suddette censure fanno riferimento, o, quanto meno, di specificare se il contratto collettivo è stato prodotto nelle precedenti fasi di merito e, in caso affermativo, la sede in cui tale documento è rinvenibile (e tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che i quesiti di diritto formulati dal ricorrente presuppongono un accertamento della inidoneità della polizza assicurativa che si pone in contrasto con quanto accertato in fatto dalla Corte di merito circa i motivi del rifiuto opposto dalle società assicuratrici alla liquidazione dell’indennizzo). Di qui l’improcedibilità dei motivi in esame.

9.- Il quarto motivo, che riveste carattere pregiudiziale rispetto al terzo e al quinto, è infondato. Le censure espresse dal ricorrente si pongono, infatti, palesemente in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis Cass. n. 27525/2009, Cass. n. 25559/2008, Cass. n. 6771/2002) secondo cui l’estensione automatica della domanda dell’attore al terzo chiamato in causa dal convenuto non opera quando il terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto per esserne garantito, stante l’autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorchè confluiti in un unico processo. Il motivo deve essere pertanto respinto, non essendo in contestazione che nella fattispecie in esame l’attore non abbia provveduto ad estendere la domanda nei confronti delle compagnie assicuratrici chiamate in causa dal datore di lavoro a titolo di garanzia.

10.- Il terzo e il quinto motivo, che attengono alla fondatezza o alla opponibilità delle eccezioni sollevate dalle compagnie assicuratrici nei confronti dell’assicurato, restano assorbiti nel rigetto del quarto motivo.

11.- In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto, con la conferma della sentenza impugnata ed il conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

12.- Sussistono giusti motivi, desumibili anche dalla peculiarità della vicenda e dalla complessità dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti resistenti, per compensare integralmente tra il ricorrente e le società controricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione, mentre non deve provvedersi in ordine alle spese del presente giudizio nei confronti della parte intimata, che non ha svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; compensa le spese tra il ricorrente e le società controricorrenti; nulla per le spese nei confronti della parte intimata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-11-2011, n. 23421 Contratti collettivi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A., dipendente del Ministero della giustizia, assegnato alla Corte di appello quale esperto informatico, esponeva al Giudice del lavoro che, in relazione alla specializzazione posseduta ed allo status di ufficiale dell’esercito in congedo, era stato richiamato in servizio dal 14.6.2004 al 17.12.2004; sosteneva pertanto, per tale periodo, di aver diritto a continuare a percepire oltre alla retribuzione "militare" anche lo stipendio e le altre indennità fisse e continuative ( salvo la i.i.s.) correlate al rapporto di lavoro con l’Amministrazione della giustizia, somme richieste, ma non corrisposte, per complessivi Euro 7.818,07.

Si costituiva il Ministro che deduceva l’applicabilità dell’art. 22 quater CCNL 1995 che, in caso di chiamata alle armi, prevedeva solo la spettanza di eventuali differenze retributive ove la remunerazione del servizio militare fosse risultata inferiore a quella in godimento, il che non era nel caso di specie.

Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda con sentenza del 13.4.2007; sull’appello del Ministero la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza impugnata. La Corte territoriale rilevava che, nel caso in esame, si trattava di richiamo consensuale in servizio militare regolata dal D.Lgs. n. 215 del 2001, art. 25, comma 1, che prevedeva – come incentivazione – il mantenimento dello stipendio (oltre alla retribuzione militare). La fattispecie non era disciplinata, quindi, dalla invocata (da parte dell’Amministrazione resistente) norma contrattuale di cui all’art. 22 quater, comma 4 CCNL 1995 che riguardava il diverso caso di chiamata coattiva alle armi (ormai superato dall’evoluzione legislativa in materia).

Ricorre il Ministero della giustizia con due motivi; resiste il S. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si allega la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3 e art. 47, in quanto – in virtù di tali norme – gli incrementi retributivi sono attribuiti solo attraverso norme previste da contratti collettivi; il CCNL richiamato nelle difese dell’Amministrazione del 16.5.1995, non distingue affatto tra una chiamata al servizio militare in via coattiva o consensualmente; la norma contrattuale non era mutata e quindi non prevedeva il chiesto trattamento stipendiale aggiuntivo in quanto la retribuzione militare era superiore a quella in godimento presso il Ministero.

Il motivo non è fondato. Va premessa la normativa applicata dai giudici di merito di cui al decreto D.Lgs. n. 215 del 2001:

"Art. 25 (Ufficiali delle forze di completamento).

1. In relazione alla necessità di disporre di adeguate forze di completamento, con specifico riferimento alle esigenze correlate con le missioni internazionali ovvero con le attività addestrative, operative e logistiche sia sul territorio nazionale sia all’estero, gli ufficiali di complemento o in ferma prefissata, su proposta dei rispettivi Stati maggiori o Comandi generali e previo consenso degli interessati, possono essere richiamati in servizio con il grado e l’anzianità posseduta ed ammessi ad una ferma non superiore ad un anno, rinnovabile a domanda dell’interessato per non più di una volta, al termine della quale sono collocati in congedo.

8. Agli ufficiali delle forze di completamento, che siano lavoratori dipendenti pubblici, chiamati in servizio per le esigenze delle forze di completamento, spettano, in aggiunta alle competenze fisse ed eventuali determinate ed attribuite ai sensi dell’art. 28, comma 5, e limitatamente al periodo di effettiva permanenza nelle posizioni precedentemente individuate, anche lo stipendio e le altre indennità a carattere fisso e continuativo, fatta eccezione per l’indennità integrativa speciale, dovute dall’amministrazione di origine, che ne assicura la diretta corresponsione all’interessato".

Si tratta in chiara evidenza di una normativa specialista diretta a disciplinare i casi di richiamo "volontario", dopo la soppressione del servizio militare obbligatorio. Quindi non solo tale normativa prevale su quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, peraltro adottata prima del riordino del settore "militare", ma sulla normativa di cui al D.Lgs. n. 125 del 2001, che disciplina il caso ordinario dell’attribuzione di incrementi retributivi e non quello più specifico e particolare del rapporto tra retribuzione ordinaria e incentivo al richiamo "militare". Peraltro il motivo è completamente infondato un’assorbente considerazione: anche ad ammettere che vi sia un contrasto tra quanto disposto tra i due D.Lgs. del 2001 (il n. 125 ed il numero 165), quello applicato dai giudici di merito è chiaramente successivo e non può che prevalere su di una fonte precedente di analoga "forza".

Con il secondo si deduce la falsa applicazione dell’art. 22 quater comma 4 CCNL 1995: si sarebbe dovuto e potuto procedere ad un rinnovo del CCNL sul punto che non era mai avvenuto, sicchè il trattamento previsto era rimasto quello fissato nel 1995. Anche il secondo motivo è infondato. Per le ragioni che precedono le norme di legge introdotte nel 2001 sul richiamo consensuale alle armi prevalgono su quanto stabilito dal CCNL del 99 in relazione ad una fattispecie completamente diversa.

Va quindi rigettato il ricorso, con condanna del Ministero al pagamento delle spese di lite del presente giudizio liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna il Ministero del pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in Euro 40,00 per esborsi, nonchè in Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
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