Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-03-2011) 12-07-2011, n. 27222 Esecuzione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.X.Y. ha presentato ricorso avverso la sentenza 25.1.2010 del tribunale di Verona, con la quale è stata applicata, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, la pena di otto mesi di reclusione in ordine al reato ex art. 495 c.p. e art. 61 c.p., n. 11 bis, perchè dichiarava falsamente a ufficiali e agenti di polizia di chiamarsi Z.Y., esibendo una patente di guida intestata alla persona avente il suddetto nome.

Secondo il ricorrente la sentenza ha violato l’art. 129 c.p.p., art. 49 c.p., comma 3 e art. 495 c.p. ed è inoltre motivata in maniera carente e contraddittoria: l’imputato ha esibito il documento che recava un fotografia dell’intestatario e quindi non era idoneo ad attestarne le false generalità. Inoltre la normativa vigente dispone l’identificazione mediante esibizione della patente di guida è consentita solo ai cittadini italiani ed europei.

Il giudice avrebbe dovuto derubricare il fatto come contravvenzione e norma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, che è punita con pena inferiore.

I difensori dell’imputata, in data 11.3.2011, hanno presentato memoria con la quale hanno ribadito le censure già formulate dall’interessato.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, in tema di patteggiamento, una volta esclusa, con adeguato apparato argomentativo, la sussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., tutte le statuizioni non illegittime, concordate tra le parti e recepite dal giudice, precludono alle parti stesse la proposizione, nella successiva sede dell’impugnazione in sede di legittimità, di censure o eccezioni attinenti al merito delle valutazioni sottese al prestato consenso (sez. 1^, n 6898 del 18.12.1996, Milanese; sez. 5 n. 102 del 18.1.1995, Pepe). Posto che, nel caso in esame, sussiste adeguata motivazione in riferimento all’esclusione dei presupposti ex art. 129 c.p.p. e non è ravvisabile alcuna statuizione illegittima l’impugnazione è da considerare inammissibile.

Va rilevato che, successivamente alla pronuncia della sentenza, la corte costituzionale, con sentenza 8.7.2010 n. 249, pubblicata su G.U. n. 28 del 14.7.2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61 c.p., n. 11 bis. Tale decisione non comporta però la declaratoria di nullità della sentenza impugnata, in relazione alla contestata aggravante. Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, la inammissibilità, conseguente alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente l’instaurazione, in sede di legittimità, di un valido rapporto di impugnazione e impedisce di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p.. L’antecedente formazione del giudicato sostanziale, derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido, perchè inficiato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma 1 con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), preclude ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata, sia di rilevarla di ufficio (S.U. n. 23428 del 22.3.2005, in Cass. pen. 2005, n. 1229).

Nè la possibilità per il giudice dell’esecuzione di incidere sul giudicato formale, ex art. 673 c.p.p., può essere estesa, proprio per la sua eccezionalità rispetto ai principi del nostro ordinamento, al giudice dell’impugnazione, che abbia ritenuto il gravame inammissibile, perchè originariamente viziato.

Secondo i canoni e le cadenze del sistema processuale penale, spetta quindi al giudice dell’esecuzione provvedere alla revoca della sentenza di condanna pronunciata dal tribunale di Verona, nei limiti determinati dalla suindicata declaratoria di illegittimità costituzionale della circostanza aggravante ex art. 61 c.p., n. 11 bis.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di Euro 500 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-05-2011) 25-07-2011, n. 29695

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il G.I.P. del Tribunale di Siracusa, con sentenza in data 10 dicembre 2009, applicava, su accordo delle parti ex art. 444 c.p.p., a B. S., in relazione a due ipotesi di reato di cui all’art. 644 c.p., riuniti dal vincolo della continuazione, e riconosciuta la circostanza attenuante dell’integrale risarcimento del danno di cui all’art. 62 c.p., n. 6, la pena di anni due di reclusione ed Euro 4.000 di multa, e ordinava la confisca di molteplici beni immobili nella disponibilità del B..

Propone ricorso per cassazione un difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) errore nella ritenuta sussistenza della prova di colpevolezza dell’imputato;

2) incongruità della pena;

3) riserva di impugnazione sulla disposta confisca alla luce delle motivazioni che saranno depositate. Lo stesso difensore ha poi depositato un successivo atto, con il quale insiste nei motivi di ricorso proposti e censura specificamente la disposta confisca.

Altro difensore dell’imputato deduce i seguenti motivi:

1) illogicità e difetto di motivazione in ordine al duplice profilo del mancato computo dei redditi da lavoro dipendente per gli anni 1983-1991 e della opzione valutativa sulla composizione del nucleo familiare per l’anno 1999;

2) illogicità e difetto di motivazione in ordine alla valutazione degli esiti della perizia in uno con le repliche del consulente;

3) illogicità della motivazione in relazione alla paventata commissione di altre condotte usurarie estranee al processo e al limite del collegamento temporale tra acquisti contestati e reato accertato, contestuale violazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies;

4) illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione in ordine alla mancata contabilizzazione dei proventi delle attività prive di supporto documentale.

I motivi di ricorso non possono essere accolti e devono essere rigettati.

I motivi di ricorso del primo difensore avverso il patteggiamento non sono ammissibili o perchè non consentiti, in quanto mettono in discussione l’intervenuto accordo, o perchè, comunque del tutto generici.

I motivi di ricorso dei due difensori, riguardanti la disposta confisca, sono infondati.

Occorre tenere presente che la confisca di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies non richiede l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato e i beni, dal momento che opera una presunzione legislativa di illecita accumulazione, non rilevando se detti beni siano o meno derivanti dal reato per il quale è stata inflitta la condanna (Sez. 1, Sentenza n. 8404 del 15/01/2009, Bellocco, Rv. 242863) e che la confisca medesima può avere ad oggetto beni acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna e che abbiano un valore superiore al provento del medesimo reato (Sez. 1, Sentenza n. 11269 del 18/02/2009, Pelle, Rv. 243493). Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale che colpisce tutti i beni di valore sproporzionato al reddito o all’attività economica di chi sia condannato per uno dei delitti indicati nella citata disposizione e che non ne giustifichi la provenienza, dal momento che il legislatore opera una presunzione di illecita accumulazione.

La motivazione della sentenza impugnata risponde a tutte le censure difensive con argomentazioni non manifestamente illogiche e, quindi, non può in alcun modo essere censurata.

In primo luogo, il G.I.P. chiarisce per quale motivo ha preso in considerazione un determinato arco temporale, in quanto si tratta degli anni interessati dagli acquisti degli immobili in parola (1998 e 2000-2006) (pag. 24) ed aggiunge che volendo considerare gli anni per i quali non vi è attestazione certa dei redditi (1992 e 1995- 1997, per i quali il Comune di Siracusa, datore di lavoro, ha distrutto la documentazione) il perito ha fatto inevitabilmente ricorso ad un criterio analogico.

Per quanto riguarda la composizione del nucleo familiare, la sentenza impugnata afferma che il B. già nel 1999 non faceva più parte dell’originario nucleo familiare, valorizzando, a tal fine, in modo non manifestamente illogico, la circostanza, risultante dal CUD, che in quell’anno aveva iniziato a corrispondere l’assegno di mantenimento al coniuge.

Risulta, poi, a differenza di quanto affermato dal ricorrente, che il G.I.P. ha preso in esame e valutato le repliche del consulente, espressamente citate alle pagine 34 e 35 della sentenza. Per quanto concerne i proventi che, secondo la difesa, sarebbero stati acquisiti attraverso lo svolgimento di ulteriori attività lavorative, oltre quella di dipendente comunale, la sentenza impugnata, dopo averle esaminate analiticamente al fine di respingere le allegazioni difensive, conclude affermando, con valutazione non sindacabile in questa sede di legittimità, che le suddette "attività non risultano essere state dichiarate ai fini fiscali, nè risulta una regolare tenuta minima della contabilità, che avrebbe potuto comprovarne l’effettivo esercizio e permetterne la quantificazione in termini di ragionevole affidabilità … . Pertanto risulta destituita di seria credibilità e va respinta una ricostruzione dei redditi compiuta sulla base di sole dichiarazioni labiali di asseriti lavoratori dipendenti o colleghi del B., sganciate da qualsivoglia supporto documentale".

Alla luce di una motivazione ampia, che si svolge lungo un percorso argomentativo analitico, esprimendo valutazioni non manifestamente illogiche, non può trovare fondamento l’allegazione difensiva in merito al lungo lasso di tempo che intercorre tra gli acquisti degli immobili e i fatti di reato contestati, non essendo necessario per la confisca in esame l’accertamento di un nesso eziologico tra il reato e i beni.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-12-2011, n. 29789 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

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Svolgimento del processo

Con scrittura del 7-10-1991 C.R. accettava la prenotazione di un alloggio contraddistinto con l’interno otto facente parte di un fabbricato che la Cooperativa Residenziale Romana, aderente al Consorzio Autonomia e Partecipazioni – CON.A.PA. s.r.l., si apprestava a realizzare nella zona Peep di San Nicolo a Tordino di Teramo per un costo preventivato in L. 80/85.000.000; con successiva scrittura l’alloggio suddetto veniva contraddistinto con l’interno sette anzichè otto, il costo complessivo veniva aggiornato a L. 88.200.000, veniva definito il piano di pagamento e venivano convenuti gli eventuali interessi moratori al tasso non inferiore a quello di sconto.

Poichè successivamente la s.r.l. CON.A.PA. aveva richiesto al C. il pagamento di diverse ulteriori somme rispetto a quanto già pattuito sempre a titolo di costo complessivo dell’alloggio, quest’ultimo, dopo aver ottenuto dal Presidente del Tribunale di Teramo il sequestro giudiziario del bene, conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Teramo la suddetta società e la Cooperativa Residenziale Romana chiedendo, oltre la convalida della suddetta misura cautelare, dichiararsi che l’attore con il versamento di L. 100.000.000 aveva adempiuto a tutte le obbligazioni previste a suo carico con conseguente diritto ad ottenere l’assegnazione dell’alloggio in questione, emanare sentenza produttiva degli effetti dell’assegnazione definitiva del bene, determinare il relativo prezzo e, tenuto conto della somma versata, procedere agli opportuni conguagli condannando le società convenute alla restituzione della eventuale differenza ed al risarcimento del danno anche per la ritardata consegna.

Si costituivano in giudizio entrambe le convenute contestando il fondamento della domanda attrice di cui chiedevano il rigetto; la CON.A.PA. eccepiva altresì il proprio difetto di legittimazione passiva.

Con sentenza del 30-9-2002 il Tribunale adito rigettava la domanda attrice e revocava il sequestro giudiziario.

Proposta impugnazione da parte del C. cui resistevano entrambe le suddette società la Corte di Appello di L’Aquila con sentenza del 26-5-2005, in riforma della decisione di primo grado, ha trasferito la proprietà dell’immobile per cui è causa in favore dell’appellante ed ha condannato le appellate in solido alla restituzione in favore del C. della somma di Euro 3.183,66 maggiorata di interessi al tasso legale dalla domanda giudiziale al soddisfo.

Avverso tale sentenza le società CON.A.PA. s.r.l. e la Cooperativa Residenziale Romana hanno proposto due separati ricorsi (il primo articolato in sei motivi ed il secondo affidato a cinque motivi) cui il C. ha resistito con controricorso formulando altresì un ricorso incidentale basato su di un unico motivo cui la CON.A.PA. ha a sua volta resistito con controricorso; il C. ha successivamente depositato una memoria.

Motivi della decisione

Anzitutto deve procedersi alla riunione di tutti i ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Preliminarmente deve poi essere esaminata l’eccezione della CON.A.PA. s.r.l. di inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale del C. per inesistenza e/o nullità della relativa notifica in quanto effettuata alla parte personalmente e non ai suoi difensori M.G. o G.G.; inoltre tale notifica era stata eseguita in persona del legale rappresentante M.G. che in realtà era soltanto il procuratore "od litem" dell’esponente, e non il rappresentante sostanziale; infine la notifica stessa era stata eseguita a mezzo del servizio postale alla CON.A.PA. in Roma, viale (OMISSIS), senza specificare il luogo del domicilio eletto, che si trovava – come si evince dal ricorso per cassazione proposto dall’istante – in viale (OMISSIS) presso e nello studio dell’avvocato Giovanni Angelozzi.

L’eccezione è infondata.

Dall’esame diretto degli atti risulta che il controricorso ed il ricorso incidentale del C. è stato notificato a mezzo posta alla CON.A.PA s.r.l. in persona del legale rappresentante "pro tempore" M.G. in (OMISSIS);

orbene, rilevato che, come dedotto dalla stessa CON.A.PA., quest’ultima aveva effettivamente eletto domicilio in Roma, viale delle Milizie 38, presso l’avvocato M.G., ne consegue che tale notifica è valida siccome equivalente alla notifica presso il procuratore stesso, in quanto idonea a soddisfare l’esigenza che l’impugnazione stessa sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale; in ordine poi al profilo relativo alla errata indicazione nella suddetta notifica del legale rappresentante della suddetta società, è agevole rilevare che, ai fini della notificazione alle persone giuridiche, l’erronea indicazione della persona fisica del rappresentante legale non da luogo a nullità della notificazione ai sensi dell’art. 160 c.p.c., tranne che non vi sia incertezza sull’individuazione dell’ente destinatario dell’atto da notificare (ipotesi pacificamente non ricorrente nella fattispecie), non prevedendo l’art. 145 c.p.c. la necessaria indicazione fisica del rappresentante dell’ente (Cass. 25-5-2009 n. 12039).

Venendo quindi all’esame del ricorso della CON.A.PA. s.r.l. (da ritenersi principale rispetto a quello della Cooperativa Residenziale Romana in quanto, stante l’identità della data sia di notifica sia di deposito dei due ricorsi, il ricorso della CON.A.PA reca un numero di ruolo generale antecedente rispetto a quello della Cooperativa Residenziale Romana, ovvero il 24747/2005 rispetto al 24760/2005), si rileva che con il primo motivo detta società, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1710-2602-2603 e 1710 c.c. con riferimento al R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, assume che il giudice di appello ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva dell’esponente ad eseguire l’obbligo di trasferire la proprietà dell’alloggio per cui è causa in capo al C., non considerando che il Consorzio era un semplice mandatario della Cooperativa Residenziale Romana e che quindi, come tale, non poteva essere obbligato al riguardo.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. con riferimento agli artt. 1351 e segg. c.c. e vizio di motivazione, sostiene che la sentenza impugnata non ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza della propria legittimazione passiva ad eseguire un contratto preliminare che non aveva sottoscritto, non potendo in proposito avere rilevanza le circostanze evidenziate dalla sentenza impugnata, ovvero l’acquisto del terreno da parte del Consorzio, la stipula della convenzione con il Comune di Teramo, il rilascio della concessione edilizia in favore della CON.A.PA. e l’espletamento delle pratiche contabili ed amministrative.

Con il terzo motivo la ricorrente principale, deducendo insufficiente motivazione, rileva che l’esame dello statuto della società esponente e dell’atto di prenotazione consentiva di accertare che i fatti in base ai quali la Corte territoriale ha affermato la legittimazione passiva della CON.A.PA. rientravano nell’ambito dell’espletamento del mandato di cui agli artt. 2602-2603 e art. 2615 c.c..

Con il quarto motivo la ricorrente principale, deducendo omessa motivazione, assume che il giudice di appello non ha tenuto nel debito conto che la CON.A.PA. non aveva sottoscritto nè la scrittura privata del 7-10-1991 nè quella successiva senza data, scritture in base alle quali il C. aveva agito in giudizio, cosicchè non poteva applicarsi nei confronti dell’esponente l’art. 2932 c.c..

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.

La sentenza impugnata ha considerato sussistente la legittimazione passiva della CONAPA sulla base del rilievo che quest’ultima aveva acquistato il terreno sul quale era stato realizzato l’immobile per cui è causa, aveva stipulato in proprio con il Comune di Teramo la convenzione del 2-9-1991 per la costituzione del diritto di superficie L. n. 865 del 1971, ex art. 35, aveva ottenuto la concessione edilizia dallo stesso Comune, aveva realizzato l’immobile suddetto, aveva incassato le somme di denaro versate dal C. relative all’acquisto del bene ed aveva infine sollecitato il C. al pagamento della somma di L. 3.530.000 ritenuta ancora dovuta.

Orbene ritiene il Collegio che, in relazione alla domanda ex art. 2932 c.c., proposta nei confronti di entrambe le suddette società da parte del C. di esecuzione in forma specifica delle obbligazione assunta di trasferimento in proprio favore della proprietà dell’alloggio sopra menzionato, occorreva procedere, con riferimento alla legittimazione passiva, all’accertamento della coincidenza tra i soggetti contro i quali la domanda era stata proposta ed il soggetto (o i soggetti) che nella domanda era affermato soggetto passivo del diritto fatto valere o comunque violatore di quel diritto.

In tale contesto avrebbe quindi dovuto tenersi conto che l’azione del promissario acquirente diretta alla esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare una vendita ai sensi dell’art. 2932 c.c. non ha natura reale ma personale, siccome diretta a far valere un diritto di obbligazione nascente da un contratto al fine di conseguire una pronuncia che disponga il trasferimento del bene di pertinenza del promittente alienante, onde tale azione deve essere esperita soltanto nei confronti di chi ha assunto una simile obbligazione (Cass. 20-12-2002 n. 18149; Cass. 10-3-2009 n. 5781); il giudice di appello, invece, ha omesso tale accertamento, non avendo chiarito chi fosse il soggetto (o i soggetti) che aveva sottoscritto quale promittente venditore la scrittura del 7-10-1991 e la scrittura aggiuntiva.

Inoltre, sempre sotto il profilo della legittimazione passiva in ordine alla domanda proposta ex art. 2932 c.c., ed in relazione all’obbligo assunto dal promittente venditore di trasferire la proprietà di un determinato bene nei confronti del promissario acquirente, è necessario altresì accertare se il primo sia proprietario del bene stesso quantomeno al momento della decisione sulla suddetta domanda, non potendo logicamente disporsi un trasferimento coattivo in tal senso nei confronti di colui che a quel tempo non è proprietario dell’immobile; anche in proposito la Corte territoriale ha omesso di offrire i necessari chiarimenti.

In definitiva quindi si impone un nuovo esame di tali rilevanti profili della controversia, attesa l’evidente insufficienza del percorso argomentativo svolto al riguardo dalla sentenza impugnata.

Con il quinto motivo la CON.A.PA. s.c., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. e carenza assoluta di motivazione, afferma che la sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni per le quali ha interpretato la scrittura del 7-10-1991 e quella successiva come configuranti un contratto preliminare di vendita, così ignorando il R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 8, che richiama espressamente l’atto di prenotazione degli alloggi realizzati in materia di edilizia economica e popolare e prevede la procedura che deve essere eseguita per l’assegnazione.

Con il sesto motivo la ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 2932 c.c. in riferimento al R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, sostiene che la domanda di esecuzione in forma specifica di concludere un contratto è condizionata alla esistenza di un atto scritto avente le caratteristiche di un preliminare di vendita, nella specie insussistente; comunque non era stata completata la fattispecie complessa che inizia con la sottoscrizione dell’atto di prenotazione, prosegue con il versamento dei contributi e si conclude con l’atto di assegnazione, all’esito del quale solamente può essere richiesta l’esecuzione in forma specifica.

Tali motivi restano assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso.

Venendo quindi a ricorso incidentale della Cooperativa Residenziale Romana, si rileva che con il primo motivo quest’ultima, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2932 c.c. ed omessa motivazione, assume che il giudice di appello non ha esplicitato il metodo seguito per interpretare l’atto sottoscritto dal C. e dall’esponente in data 7-10-1991 ed il successivo atto senza data alla stregua di una scrittura privata, implicitamente inquadrandolo come preliminare di vendita, nonostante tale circostanza fosse stata oggetto di specifica contestazione da parte dell’esponente.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. e L. n. 1165 del 1938, art. 8, afferma che l’art. 2932 c.c. non può trovare applicazione perchè si è in tema di Cooperative Edilizie Economiche e Popolari in cui la relativa disciplina è regolamentata dal R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, nonchè dal D.P.R. 23 maggio 1964, n. 655; nella specie la scrittura privata del 7-10-1991 non poteva essere confusa con un mero preliminare di vendita, trattandosi invece di un atto di prenotazione, come si evinceva dalla intestazione dello stesso e dal suo contenuto, come tale non avente valore negoziale, per cui da esso non derivava alcun diritto di natura contrattuale a favore del socio prenotatario.

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale, deducendo omessa motivazione e travisamento di un fatto giuridico, censura la sentenza impugnata per aver affermato che nella scrittura privata del 7-10- 1991 non vi sarebbe alcun riferimento alla qualifica di socio del C.; tale assunto era in contrasto con la prova acquisita, posto che nella suddetta scrittura ed in quella successiva era scritto che il C. era socio prenotatario della Cooperativa esponente.

Con il quarto motivo la ricorrente incidentale, denunciando contraddittoria ed illogica motivazione, sostiene che incomprensibilmente la Corte territoriale ha ritenuto irrilevante il fatto che il C. era stato escluso dalla Cooperativa Romana Residenziale per mancato integrale versamento dei contributi, ed ha aggiunto che l’appellante era creditore della Cooperativa per una somma pari a L. 6.164.418; invero il giudice di appello ha obliterato che il C. era stato escluso dalla compagine sociale per mancato versamento del conferimento dovuto, che il conferimento costituisce una quota e non una parte del prezzo di vendita, e che, non avendo una Cooperativa Edilizia a contributo statale scopo di lucro, eventuali presunti crediti del socio, una volta effettuata l’esclusione, avrebbero dato diritto solo al rimborso, ma non ad una compensazione con le quote di conferimento dovute.

Con il quinto motivo la ricorrente incidentale, deducendo vizio di motivazione, sostiene che, contrariamente all’assunto della sentenza impugnata, l’esponente aveva contestato negli scritti difensivi ed in particolare nella comparsa conclusionale del 23-11-2004 la stima dell’immobile per cui è causa effettuata dal CTU nel giudizio di primo grado.

Tutti gli enunciati motivi del ricorso incidentale in esame restano assorbiti all’esito dell’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso principale.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale il C., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e difetto di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato per asserita carenza di prova la domanda dell’esponente di condanna delle convenute al risarcimento del danno per il ritardo nella consegna dell’alloggio; invero, poichè nella scrittura privata suddetta il termine di ultimazione dell’alloggio era stato espressamente previsto decorsi quattordici mesi dalla stipula dell’atto, l’immobile avrebbe dovuto essere consegnato nel mese di giugno 1993; pertanto il danno scaturente dal ritardo nella disponibilità dell’alloggio era "in re ipsa".

Anche tale ricorso incidentale resta assorbito all’esito dell’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso principale.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Roma.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale della società CON.A.PA., dichiara assorbiti il quinto ed il sesto motivo ed i ricorsi incidentali della società Cooperativa Residenziale Romana e del C., cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio alla Corte di Appello di Roma.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 22-06-2011) 23-09-2011, n. 34624 Aggravanti comuni danno rilevante

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.M. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il tribunale di Trento, accogliendo l’appello del pubblico ministero, disponeva l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui all’art. 572; art. 609 bis, commi 1 e 2, n. 1 anche in relazione all’art. 609 octies, comma 2; artt. 582, 585 e 612 bis c.p..

Il procedimento trae origine dalla querela sporta da B.B., moglie dell’imputato, in data 3.2.2011 in relazione a fatti commessi sin dal (OMISSIS). La originaria richiesta di emissione della misura cautelare era stata rigettata dal gip sul presupposto dell’esistenza di una sentenza di patteggiamento del 26.3.09 per i reati di cui agli artt. 572 e 609 bis per fatti narrati nella querela commessi fino all'(OMISSIS) e che nei fatti già giudicati di maltrattamento fosse compresa la totalità delle pregresse condotte di penale rilevanza in pregiudizio della moglie; che il S. ha espiato la pena dal 17 giugno 2009 al 13 gennaio 2011; che per i fatti commessi quando il S. stesso era in carcere difettavano gli indizi in ordine alla giuridica configurabilità degli atti persecutori e che per i fatti successivi alla scarcerazione del 13 gennaio non sussistevano le esigenze cautelari. Aggiungeva che il S. aveva espiato la pena nel carcere dal 17 giugno 2009 al 13 gennaio 2011 e che si tratterebbe di un uomo malato, psichicamente disturbato, rigido nelle sue ossessioni e che più appropriata appare l’applicazione provvisoria di una misura di sicurezza detentiva di tipo psichiatrico.

Nell’accogliere l’appello del PM, il tribunale faceva rilevare come solo i fatti commessi sino al (OMISSIS) potevano ritenersi ricompresi tra quelli di maltrattamenti per i quali era intervenuta la sentenza di patteggiamento; che successivamente alla sentenza del 26.3.09 vi erano stati altri fatti contestati dal PM sia di violenza sessuale per il (OMISSIS), sia sussumibili sotto le fattispecie degli artt. 582, 585 e 612 bis cod. pen., questi ultimi in parte certamente successivi anche alla scarcerazione, come documentato tra l’altro dal certificato medico del (OMISSIS) e dalle annotazioni di polizia giudiziaria del (OMISSIS); che era stata disposta consulenza psichiatrica successiva all’episodio del (OMISSIS) in cui si era riscontrato il rifiuto di qualunque proposta di collaborazione e che la minaccia di farsi male veniva utilizzata dall’indagato per pretendere attenzione della moglie; che B. B. aveva ottenuto dal tribunale civile un ordine di protezione ex art. 342 bis – ter del codice civile ma che l’ordine, a causa dei comportamenti del marito che minacciava gesti di autolesionismo, era rimasto ineseguito. Aggiungeva anche il tribunale che l’unica consulenza psichiatrica agli atti, quella del (OMISSIS), concludeva con la diagnosi che l’indagato è affetto da disturbi comportamentali reattivi e che lui e la moglie erano stati semplicemente invitati al servizio di psicologia per una terapia di coppia senza ulteriori prescrizioni. Rilevava inoltre che nulla in atti deponeva per l’incapacità di intendere è di volere del soggetto; che in ordine alle esigenze cautelari appariva evidente il pericolo di reiterazione dei reati e che l’unica misura proporzionata appariva quella della custodia cautelare in carcere, tanto più che la misura dell’allontanamento dalla casa familiare alla quale pure era stato sottoposto il S. nel (OMISSIS), era stata revocata a causa della violazione delle prescrizioni e che proprio in tale periodo l’indagato aveva preteso con la forza a rapporti sessuali dalla donna. Infine riteneva sussistere, altresì, il pericolo di inquinamento probatorio. Nei motivi di ricorso S.M. deduce:

1) errata applicazione di legge nella ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al contestato il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis;

2) assenza, contraddittorietà della motivazione in ordine alla necessità dell’applicazione della custodia cautelare in carcere, anzichè di misure meno afflittive; errata applicazione di legge nella valutazione del presupposto cautelare del pericolo di reiterazione del reato;

3) errata applicazione di legge nella valutazione del presupposto cautelare del pericolo di inquinamento probatorio.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

Con il primo motivo il ricorrente ha sostenuto che i reati ipotizzabili dopo il 17 giugno 2009 sono solo quelli di cui agli artt. 582, 585 e 612 bis c.p. e che solo in ordine al contestato delitto di atti persecutori, è prevista la possibilità di applicazione della misura cautelare.

Si fa rilevare inoltre che anche tale reato, in assenza di prove di condotte minacciose in danno della moglie durante la detenzione sarebbe comunque ipotizzabile solo dopo la scarcerazione avvenuta il 13 gennaio 2011 in quanto non vi è prova di atteggiamenti persecutori in quel periodo ai quali si fa peraltro rilevare che la moglie avrebbe potuto comunque sottrarsi e che, residuerebbero, pertanto, solo due episodi che non possono essere definiti come atti persecutori tenuto anche conto del fatto che sarebbe stata la moglie a non volersi allontanare dal marito temendo atti dia autolesionismo da parte di quest’ultimo.

Al riguardo occorre tuttavia premettere che l’inesistenza di atti di violenza sessuale successivi alla sentenza di patteggiamento è meramente assertiva avendo lo stesso gip ritenuto ricompresi nel patteggiamento solo i fatti commessi sino all'(OMISSIS) e non essendo stato contestato per contro sul piano argomentativo quanto affermato in premessa dal tribunale e, cioè, che nella querela si faccia riferimento ad episodi relativi al periodo (OMISSIS) e, quindi, anche successivi all'(OMISSIS).

Vero è invece che, successivamente al (OMISSIS) è il reato di cui all’art. 612 bis ad assumere valenza centrale e che su di esso si sviluppano essenzialmente le motivazioni del tribunale soprattutto per quanto concerne il carattere recidivante della condotta e, conseguentemente, sotto il profilo delle esigenze cautelari.

In relazione a tale fattispecie va tuttavia ribadito, rispetto alle considerazioni del ricorrente, che il delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. – è un reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Sez. 5, n. 34015 del 22/06/2010 Rv.

248412).

Ciò posto si deve rilevare che le considerazioni sviluppate dal ricorrente sul punto attengono piuttosto al merito della valutazione sostanzialmente ponendosi in discussione la verosimiglianza delle dichiarazioni della vittima e la capacità offensiva degli atteggiamenti posti in essere dall’indagato – anche quando era detenuto.

Ribadito in questa sede che in tema di misure cautelari personali, le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, ancorchè costituita parte civile, possono integrare i gravi indizi necessari per l’applicazione della custodia cautelare in carcere – nella specie in ordine al delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen.) – senza necessità di riscontri oggettivi esterni ai fini della valutazione di attendibilità estrinseca (Sez. 5, n. 27774 del 26/04/2010 Rv.

247883), si deve rilevare come la motivazione correttamente e logicamente valorizzi una serie di elementi in precedenza indicati in chiave di riscontro alle dichiarazioni della p.o., citando al riguardo, tra l’altro, anche le annotazioni di PG e la certificazione medica, per affermare la condotta prevaricatrice dell’indagato.

Anche sulle esigenze cautelari vi è adeguata motivazione tenuto conto del carattere continuato e recidivante della condotta dell’indagato per il quale in precedenza, come detto, si sono rivelati infruttuosi altre misure di cautela.

Appare, infine, correttamente indicato anche il pericolo di inquinamento probatorio in ragione della influenzabilità della vittima.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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