Cass. civ. Sez. II, Sent., 07-03-2012, n. 3595 Decreto ingiuntivo

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Svolgimento del processo

C.P.I. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso il 5-3-1990 dal Presidente del Tribunale di Reggio Emilia, con il quale, sulla base della fattura n. (OMISSIS) e di un preventivo senza data da essa sottoscritto, le veniva intimato il pagamento in favore della s.r.l. Italedil della somma di L. 31.824.884, oltre interessi legali, per lavori di ristrutturazione di un immobile sito in (OMISSIS).

Con sentenza del 9-5-2001 il G.O.A. revocava il decreto opposto;

riconosceva alla s.r.l. Italedil il credito di L. 12.801.700;

compensava le spese di lite. Il giudice, nel disattendere le risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, determinava il predetto importo in base al prezzo dell’intera opera come conteggiato dal tecnico della parte committente, con detrazione della somma di L. 20.000.000 versata a ditte subappaltatrici.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la s.r.l. Italedil e appello incidentale la C.P..

Con sentenza depositata il 18-5-2005 la Corte di Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell’appello principale, elevava la condanna della convenuta alla somma di L. 24.743.600, oltre interessi;

riconosceva alla C.P. il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, oltre interessi e maggior danno;

rigettava per il resto l’appello incidentale; condannava la convenuta al pagamento delle spese di doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la C.P., sulla base di sei motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensive.

La ricorrente ha presentato istanza di trattazione del procedimento ai sensi della L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 115 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, sostiene che la Corte di Appello ha disatteso la consulenza di parte opponente del geom. D., in relazione alle voci 12) (concernente la fornitura dei listelli di legno per il pavimento) e 3) (concernente lo smontaggio degli infissi interni) del preventivo Italedil, in base ad argomenti illogici e contraddittori, e non ha tenuto conto degli elementi di prova forniti dall’appellante.

Con il secondo motivo la C.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 115 c.p.c. e vizi di motivazione, per avere la Corte di Appello, in relazione alla voce 7) (concernente le rubinetterie e i sanitari indicati nel preventivo), valutato il prezzo dei materiali offerti dall’impresa in L. 1.500.000, sulla base della "comune esperienza". Deduce che nella nozione di fatti notori previsti dall’art. 115 c.p.c. non possono essere comprese le nozioni di natura tecnica e, in particolare, i prezzi praticati da artigiani o produttori in un certo periodo.

Con il terzo motivo viene dedotta l’omessa o insufficiente motivazione in relazione alla voce riportata al punto 12), per avere la Corte di Appello aderito alla consulenza di ufficio, ritenendo, in contrasto con quanto risultante dalla fattura n. (OMISSIS) dalla ditta Valli Ermanno, che quanto sostenuto dal tecnico di parte committente riguardo al minor quantitativo di pavimentazione mancasse di dimostrazione.

Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando ancora vizi di motivazione, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha computato sull’importo liquidato in favore dell’impresa l’IVA nella misura del 19%, invece che nella misura agevolata del 4% di cui la committente poteva usufruire.

Con il quinto e il sesto motivo vengono dedotti violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2 e vizi di motivazione, in relazione alla pronuncia di condanna alle spese dei due gradi del giudizio di merito, emessa in ragione della "prevalente soccombenza" dell’opponente, pur avendo quest’ultima agito per ottenere la revoca dell’ingiusto decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti.

2) Il primo e il terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, attraverso la formale prospettazione di violazione di legge e di vizi di motivazione si risolvono, in buona sostanza, in mere censure di merito avverso le valutazioni espresse dalla Corte di Appello circa la portata e consistenza delle opere effettivamente poste in essere dalla s.r.l. Italedil in relazione alle voci indicate ai n. 3) e 12) del preventivo.

L’apprezzamento reso al riguardo dal giudice del gravame si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo espressione di un tipico accertamento in fatto riservato ai giudici di merito ed essendo sorretto da una motivazione che vale a rendere sufficiente conto delle ragioni delle soluzioni adottate. La Corte territoriale, infatti, con riferimento alla voce 12), ha spiegato di aver tenuto conto della misura (mq. 105) dei pavimenti in legno indicata dal fornitore e dal posatore, che vengono a smentire la diversa misura (mq. 90) indicata nella relazione D.; e, in relazione alla voce 3), ha rilevato che la lettera del 20-9-1990 del geom.

P. e il contratto con la Poliedil dimostrano che i vecchi telai furono rimossi per essere sostituiti dalle nuove finestre.

E’ evidente, pertanto, che la ricorrente, nel sostenere la piena attendibilità dei dati riportati nella consulenza tecnica di parte e nell’affermare che gli stessi risultano sorretti da adeguati elementi probatori, invoca una diversa interpretazione delle risultanze processuali, preclusa in questa sede. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i vizi di motivazione denunciabili con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perchè spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. Sez. 2, 14-10-2010 n. 21224; 5-3-2007 n. 5066; Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass., 20 aprile 2006, n. 9234; Cass, 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322).

Nè sussiste la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., a mente del quale il giudice ha l’obbligo di decidere "iuxta alligata et probata". Nella specie, infatti, ai fini della formazione del proprio convincimento, il giudice di merito ha tenuto conto delle circostanze di fatto dedotte dalle parti e delle prove dalle medesime fornite, delle quali, nell’esercizio dei compiti istituzionali affidatigli dalla legge, ha liberamente valutato la consistenza e rilevanza ai fini della decisione.

3) Anche il secondo motivo deve essere disatteso.

La Corte di Appello, nel ritenere ingiustificata la pretesa della convenuta di detrarre, con riferimento alla voce 7), l’intero costo (L. 3.380.000) del materiale sanitario direttamente acquistato dalla committente, di maggior pregio rispetto a quello indicato nel preventivo, ha ritenuto, in base alla comune esperienza, di quantificare in L. 1.500.000 il prezzo dei materiali offerti dall’impresa (rubinetterie di tipo medio e sanitari di serie come indicati nel preventivo).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la decisione impugnata, in relazione al dato di comune esperienza recepito, non è incorsa nella violazione dell’art. 115 c.p.c..

Come è stato precisato da questa Corte, le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall’osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici, di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all’art. 115 cpv. c.p.c., sia per la valutazione delle prove, che per l’argomentazione di tipo presuntivo (Cass. 28-10-2010 n. 22022). Ne deriva che la quantificazione di una somma dovuta può logicamente ascriversi a regole d’esperienza allorchè abbia ad oggetto una prestazione di carattere usuale e ricorrente, suscettibile di oscillazioni minime da caso a caso, ovvero quando tale determinazione costituisca la risultante concreta di fatti realmente notori (come i prezzi di mercato di beni di frequente utilizzo) e di nozioni di pratica comune (come il corrispettivo orario di semplici attività manuali), che possono essere posti dal giudice a fondamento della decisione (cfr. in tema di corrispettivo d’appalto, Cass. 26-10-1970 n. 2162). Allorquando, invece, siano in gioco importi di particolare rilievo o che derivino dalla valutazione di utilità complesse, la corretta esperienza delle quali richieda per di più un sapere tecnico, la quantificazione del dovuto eccede l’ambito di applicabilità delle nozioni di cui all’art. 115 cpv. c.p.c. (Cass. 4- 10-2011 n. 20313).

Nel caso in esame, pertanto, la Corte di Appello ha legittimato fatto ricorso, ai fini della determinazione della somma inerente alla voce in questione, a nozioni di comune esperienza, trattandosi di prezzi di mercato di beni di frequente utilizzo e che, per il loro ridotto valore, non richiedono specifiche acquisizioni di natura tecnica.

4) Parimenti infondato è il quarto motivo.

La Corte di Appello ha ritenuto che sull’importo liquidato in favore dell’impresa doveva essere aggiunta l’IVA nella misura indicata nella fattura e, quindi, versata dall’attrice, considerando irrilevante che la C.P. fosse in condizione di potersi avvalere di agevolazione (al 4% invece che al 19%), dal momento che la stessa non aveva inviato alla controparte la documentazione necessaria, pur avendo avuto da tempo ricevuto indicazione di quale sarebbe stata la fatturazione. La valutazione espressa al riguardo resiste alle censure mosse dalla ricorrente, apparendo immune da vizi logici ed essendo basata sui fatti allegati e provati dalle parti, in conformità a quanto prescritto dall’art. 115 c.p.c..

5) Prive di pregio, infine, si palesano le censure mosse con gli ultimi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi.

Giova premettere che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. 6-10-2011 n. 20457; Cass. 31-3-2006 n. 17457; Cass. 16-3-2006 n. 5828; Cass. 2/8/2002 n. 11537; Cass. 14-11-2002 n. 16012; Cass. 1-10-2002 n. 14095); mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale della parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (Cass. 23-6-2000 n. 8532; Cass. 3-3-1994 n. 2124).

Deve altresì rammentarsi che, nel procedimento per ingiunzione, la fase monitoria e quella di cognizione che si apre con l’opposizione fanno parte di un unico processo, nel quale l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio di opposizione ed alla complessiva valutazione dello svolgimento di esso e della soccombenza (Cass. 3-9-2009 n. 19120; Cass. 1-2-2007 n. 2217; Cass. 8-8-1997 n. 7354).

Nella specie, pertanto, poichè l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla C.P. (conclusasi, nonostante la revoca del provvedimento monitorio, con la condanna dell’opponente al pagamento di una somma, sia pure inferiore rispetto a quella richiesta dalla creditrice) non ha avuto un esito interamente vittorioso per l’odierna ricorrente, quest’ultima non può dolersi della pronuncia di condanna alle spese dei due giudizi di merito emessa nei suoi confronti dalla Corte di Appello; condanna che risulta correttamente motivata, sul piano logico e giuridico, in ragione della "prevalente soccombenza" dell’opponente, la quale, come è stato spiegato dalla Corte di Appello, oltre al rigetto della domanda sulla base della risoluzione del contratto per inadempimento, pretendeva un risarcimento danni.

6) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Poichè la società intimata non ha svolto attività difensive, non va adottata alcuna pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-11-2011, n. 1597 Procedimento

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto:

– che, come dichiarato nella memoria depositata il 5 ottobre 2011 dalla difesa dei ricorrenti, la materia del contendere è cessata a spese compensate;

– che quindi si deve decidere come da dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara cessata la materia del contendere. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 15-12-2011, n. 6620 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo

Con l’appello in esame, la società I. impugna la sentenza 27 maggio 2006 n. 177, con la quale il TRGA del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, in accoglimento del ricorso proposto dal sig. A. R., ha annullato la concessione edilizia in sanatoria 22 novembre 2004 n. 3146/2004, rilasciata dal Segretario Comunale di Dimaro ed avente ad oggetto "lavori di variante ai lavori per la ristrutturazione edificio nel centro storico di Dimaro".

Avverso tale decisione ha proposto appello la soc. I., deducendo illegittimità, erroneità in fatto ed in diritto, irragionevolezza e contraddittorietà della sentenza impugnata; error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 121, 122 e 129 l. prov. n. 22/1991 e degli artt. 8 e 9 NTA PGIS 1992.

Il Comune di Dimaro non si è costituito in giudizio.

Si è, invece, costituito in giudizio il sig. A. R., che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’udienza del 22 novembre 2011, la soc. I. ha depositato un atto (non notificato al Comune di Dimaro), con il quale "dichiara di rinunciare ex art. 84 Cpa al ricorso n. 8133/2006" (cioè al ricorso in appello) e chiede che questo Consiglio di Stato voglia "dichiarare l’estinzione del giudizio, con conseguente annullamento della sentenza impugnata".

L’atto ora citato è sottoscritto, in calce, anche dal difensore dell’appellato "per accettazione della rinuncia a spese compensate e per confermare l’avvenuta rinuncia dell’attore agli effetti" della sentenza oggetto di appello.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

Il Collegio, alla luce dell’atto depositato il 22 novembre 2011, deve dichiarare, ai sensi dell’art. 84, co. 4, Cpa, l’improcedibilità dell’appello per difetto di interesse alla decisione, desumibile dalla dichiarazione di rinuncia resa dall’appellante.

Allo stesso tempo, stante la dichiarazione resa dall’appellato R. "di rinuncia agli effetti della sentenza", il Collegio deve, in riforma della sentenza appellata, dichiarare l’improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di I grado, per sopravvenuto difetto di interesse.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da I. s.r.l. (n. 8133/2006 r.g.):

a) dichiara l’improcedibilità dell’appello;

b) in riforma della sentenza appellata, dichiara l’improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di I grado;

c) compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-06-2012, n. 9662

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Svolgimento del processo

1. Con la sentenza qui impugnata la Corte d’appello di Palermo confermava la decisione di primo grado, emessa dal Tribunale di Agrigento, giudice del lavoro, che aveva respinto la domanda di B.A. intesa ad ottenere la condanna dell’INPS e del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla corresponsione dell’assegno di invalidità. In particolare, la Corte di merito rilevava che il requisito sanitario, ritenuto insussistente dal primo giudice, era invece stato accertato in appello, in esito a c.t.u., ma, tuttavia, la domanda non poteva essere accolta in mancanza di alcuna prova in ordine al requisito socio-economico, specificamente contestato dall’Istituto in sede di costituzione in secondo grado.

2. Di questa decisione la B. domanda la cassazione con due motivi.

L’INPS resiste con controricorso, mentre non si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che già aveva partecipato alla fase di merito.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce che in ordine alla sussistenza del requisito socio-economico si era formato il giudicato interno in difetto di alcuna contestazione da parte del Ministero, unico legittimato al riguardo.

2. Con il secondo motivo si sostiene, in subordine, che la ricorrente, avendo depositato in giudizio la dichiarazione dello stato di disoccupazione e di non possidenza di redditi, aveva con ciò provato il requisito, non essendo invece tenuta ad iscriversi alle liste di collocamento; comunque, non vi era stata in primo grado alcuna contestazione riguardo al predetto requisito, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., sì che in appello era preclusa ogni deduzione su tale pacifica circostanza.

3. L’esame congiunto delle censure ne rivela la infondatezza in base alla seguente motivazione, redatta in forma semplificata come disposto dal Collegio.

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie in tema di pensioni di inabilità o assegni di invalidità in favore degli invalidi civili, qualora il giudice abbia rigettato la domanda sulla base della ritenuta assenza del requisito sanitario senza alcuna pronuncia su quello economico, la carenza degli ulteriori requisiti è deducibile per la prima volta in appello ed è rilevabile d’ufficio dal giudice di secondo grado (cfr. Cass. n. 14035 del 2002; n. 7716 del 2001, e altre conformi).

3.2. Tale situazione processuale risulta verificata nella specie, poichè il giudice di primo grado ha respinto la domanda in base alla accertata insussistenza del requisito sanitario e senza alcuna valutazione in ordine al requisito economico, che pure costituisce fatto costitutivo della pretesa azionata.

Il giudice d’appello, correttamente, una volta accertata, in base a c.t.u., la ricorrenza del requisito sanitario, ha proceduto ad accertare l’ulteriore fatto costitutivo della pretesa, in ordine al quale ha rilevato l’assenza di prova ai sensi dell’ari. 2697 c.c..

3.3. La dichiarazione dedotta in ordine alla situazione reddituale non ha valore probatorio in giudizio (cfr. Cass. n. 12131 del 2009) e, d’altra parte, ai fini del diritto all’assegno di invalidità civile, l’integrazione del requisito dello stato di incollocazione al lavoro presuppone che l’interessato si sia iscritto nelle liste speciali del collocamento obbligatorio o, quanto meno, abbia presentato la relativa domanda all’ufficio competente, senza che possa attribuirsi valenza esonerativa al mancato riconoscimento, da parte delle commissioni sanitarie di cui alla L. n. 118 del 1971, di un grado di invalidità sufficiente ai fini del collocamento agevolato (Cass. n. 6297 del 2012, ord.).

4. Il ricorso è dunque respinto. Nulla per le spese ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 326 del 2003).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012
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