T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 21-03-2011, n. 259 Concessione per nuove costruzioni contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 10.7.2002, tempestivamente depositato, l’istante ha impugnato l’atto 6.5.2002, n. 15151/P con cui il Dirigente del Comune di Fondi gli ha comunicato l’integrazione degli oneri concessori ai fini del rilascio della concessione edilizia a sanatoria.

Allega di aver presentato in data 31.3.1995, ai sensi e per gli effetti della L. 28.2.1985, n. 47 domanda di condono edilizio per alcune tipologie di abuso, meglio indicate nella documentazione versata in atti; che a titolo di oblazione sarebbe stata versata la relativa somma come comprovato dallo stesso atto impugnato;

Soggiunge la parte ricorrente che, a distanza di oltre quattro anni dalla presentazione della vista domanda di sanatoria, avrebbe ricevuto, con l’atto in questa sede impugnato, comunicazione da parte del Comune mediante la quale veniva richiesto il versamento a titolo di conguaglio di Euro. 2808,91.

A sostegno del presente ricorso l’ interessata svolge i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 35 della L. 28.2.1985, n. 47, poiché essendo decorso il termine di trentasei mesi dalla presentazione della domanda di condono il diritto al conguaglio si sarebbe prescritto; 2) difetto di motivazione.

Il Comune di Fondi non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 24.2.2011 la causa è stata trattenuta a sentenza.
Motivi della decisione

Come emerge da quanto brevemente suesposto in fatto la parte ricorrente lamenta l’illegittimità della nuova comunicazione in questa sede impugnata con specifico riferimento all’intervenuta prescrizione, essendo allegatamente decorso un periodo di tempo superiore a 36 mesi dalla data di presentazione della domanda di sanatoria.

Il ricorso è fondato.

Osserva al riguardo il Collegio, in conformità al consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cons. St., sez. V, 28.4.1999, n. 495; Cons. St., sez. IV, 31.12.1997, n. 1246; Cons. St., sez. V, 11.12.1991, n. 1364) che: "è dal momento della presentazione dell’istanza di concessione in sanatoria che decorre il dies a quo del termine di prescrizione relativo ai conguagli dell’oblazione dovuta; ed, invero, ove si ritenesse che la prescrizione del diritto al conguaglio dell’oblazione decorresse soltanto dall’integrale pagamento della medesima come determinata dall’Amministrazione, l’art. 35 comma 18, l. n. 47 del 1985 sarebbe privo di senso; deve, invece, ritenersi che il decorso di trentasei mesi dalla domanda, ai sensi dell’art. 35 comma 18, l. 28 febbraio 1985 n. 47, e successive modificazioni, è circostanza sufficiente per consentire, in linea di principio, all’interessato di opporre la prescrizione a tardive richieste di conguaglio".

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto – essendo stata presentata la domanda di sanatoria in data 31.3.1995; laddove il provvedimento impugnato è del 6.5.2002 – e, per l’effetto, annullato l’atto con cui il Comune di Fondi ha richiesto definitivamente le somme dovute a titolo di conguaglio su oblazione relativa ad abusi edilizi per i quali la parte ricorrente aveva richiesto la sanatoria.

Appare, peraltro, equa la compensazione tra le parti delle spese di giudizio
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-06-2011, n. 14405 Responsabilità professionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il (OMISSIS), nella clinica Villa Irma era ricoverata di urgenza la partoriente S.M., sottoposta ad intervento chirurgico il successivo (OMISSIS), mediante taglio cesareo, con estrazione del nascituro privo di vita.

2. Con citazione del 21 settembre 1994 i coniugi Ci.

S. e S.M. convenivano dinanzi al Tribunale di Roma i tre medici che avevano operato lo intervento, dottori M. V., Mo.Se. e C.A., nonchè la USL Roma (OMISSIS), la Regione Lazio, il Comune di Roma e ne chiedevano la condanna al risarcimento di tutti i danni conseguenti alla morte del nascituro ed alle relative responsabilità sanitarie a vario titolo ma solidali.

I convenuti costituiti in giudizio hanno contestato i profili di responsabilità loro addebitati ed i medici Mo., poi deceduto, e C. hanno chiamato in causa le rispettive assicurazioni Nuova Tirrena spa e Milano Assicurazioni per esserne garantiti e successivamente la difesa di Mo. citava in giudizio la Compagnia Tirrena in liquidazione, mentre era chiamata in lite anche la Gestione liquidatoria della Usl Roma (OMISSIS).

La causa era istruita documentalmente ed erano espletate consulenze medico legali.

3. Il Tribunale di Roma con la sentenza pubblicata il 20 agosto 2004 accertava la responsabilità dei medici e della struttura sanitaria e condannava in solido le parti convenute e le assicurazioni al risarcimento dei danni chiesti dagli attori, che liquidava in L. 400 milioni in favore della S.M. e in L. 300 milioni in favore del marito, oltre rivalutazione e spese processuali liquidate in favore dello avvocato P., dichiaratosi antistatario.

4.Contro la decisione proponevano appello la Nuova Tirrena spa, il Comune di Roma, i tre medici e la Milano assicurazioni. A tali gravami resistevano i coniugi Ci. e chiedevano ulteriore condanna per la rivalutazione delle somme liquidate dal tribunale con i relativi interessi. In seguito alla morte del dr. Mo. il giudizio era interrotto e poi riassunto con la costituzione delle varie parti che insistevano nelle proprie difese e nella contumacia della Regione Lazio.

6. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 1 novembre 2008, in parziale riforma:

a. rigettava le domande proposte dai coniugi Ci. nei confronti del Comune di Roma, del dr. M. e della Nuova Tirrena spa;

b. rigettava la domanda di garanzia del Mo. e quindi dei suoi eredi verso la Nuova Tirrena assicurazioni spa;

c. condannava la Compagnia Milano a manlevare il dr. C. nei limiti dello importo del massimale;

d. determinava la somma dovuta dai restanti solidali eredi Mo., C. e Regione Lazio verso i coniugi Ci., nella misura di Euro 437.042,65 in favore della S., e di Euro 327.781,90 in favore del marito, oltre interessi e rivalutazione – come in dispositivo;

e. dichiarava integralmente compensate le spese sostenute in entrambi i gradi del giudizio dal Comune di Roma, dal M. e della Nuova Tirrena spa etc. e da Milano assicurazioni;

f. CONFERMAVA NEL RESTO la impugnata sentenza, ponendo le spese del giudizio di primo grado, ivi comprese le spese di consulenza tecnica di ufficio e negli importi liquidati dal primo giudice, a carico del C., della Regione Lazio e degli eredi Mo.;

g. dichiarava integralmente compensate le spese processuali del giudizio di appello.

7. Contro la decisione hanno proposto:

7.1. ricorso il dr. C., notificato alle controparti il 23 aprile 2009, cui resistono con controricorso incidentale gli eredi del dr. Mo., e con controricorso il Comune di Roma, il dr. M. e la Milano assicurazioni con procura per la difesa orale. Numero di registro sez. 10665 del 2009. 7.2. ricorso autonomo gli eredi Mo., con varie notifiche del 29 aprile 2009 alle controparti, affidato a 6 motivi di censura.

A tale ricorso resiste il comune di Roma deducendone la inammissibilità. Numero di registro sez. 10906 del 2009. 8. La difesa degli eredi Mo. ha prodotto memorie.

9.Nella pubblica udienza di discussione i ricorsi sono stati riuniti per connessione inerendo alla medesima sentenza e alle stesse parti costituite.
Motivi della decisione

10. I ricorsi del dr. C. e degli eredi Mo. non meritano accoglimento, in ordine ai vari motivi dedotti. Per chiarezza espositiva precede la sintesi descrittiva del ricorso C. ed a seguire quella degli eredi del dr. Mo..

Sintesi indicata nei sottoparagrafi 10 a e b. Seguirà la confutazione in punto di diritto, tenendo conto anche delle considerazioni svolte dalle controparti e nella memoria.

SINTESI DESCRITTIVA DEI MOTIVI DEI RICORSI. 10.A. RICORSO DEL DR. C..

Nel PRIMO MOTIVO si deduce la violazione del principio della unità della funzione giurisdizionale in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3. La tesi sviluppata nel quesito a ff 39 è che il giudice civile ha violato il principio della intangibilità della cosa giudicata penale e della unità della giurisdizione avendo il giudice civile statuito in maniera difforme su vari punti della sentenza passata in giudicato, ovvero: a. dichiarando sussistente lo elemento soggettivo escluso da giudice penale; b. omettendo completamente di considerare la responsabilità della struttura sanitaria affermata nella sentenza penale passata in giudicato ed oggetto di indagine archiviata, non nel merito ma per prescrizione; c. disattendendo e confutando elementi probatori acquisiti nel dibattimento ed oggetto di valutazione della sentenza stessa.

Nel corpo del motivo si contesta lo accertamento della colpa del dott. C. ritenuta gravemente carente in relazione al monitoraggio ed alla visita del giorno 16, visita seguita da un esame cardiotografico per verificare la funzionalità cardiaca fetale, come si desume dalla sentenza penale. Si assume inoltre che la parte civile non avrebbe impugnato la sentenza penale con formula perchè il fatto non costituisce reato con lo effetto del passaggio in giudicato anche sulla identità di natura e intensità dello elemento psicologico del reato.

Cita infine come precedente Cass. 3416 del 2005.

Nel SECONDO MOTIVO si deduce la violazione del giudicato interno per essersi i coniugi Ci. costituiti parti civili nel procedimento penale, come error in iudicando ai sensi dello art. 360, n. 3, con quesito a ff 40 dove si afferma che "la sentenza penale di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato ha valore di giudicato interno in ordine allo accertamento dei fatti materiali che furono oggetto del processo penale, nonchè in ordine allo accertamento del nesso causale e di tutte le statuizioni sulla responsabilità civile, qualora il giudizio civile si sia incardinato nel processo penale con la costituzione di parte civile e la partecipazione ad esso delle controparti. Solo tra i coniugi Ci. e le pubbliche amministrazioni il giudice civile era libero di effettuare autonomamente la ricostruzione del fatto storico e delle responsabilità.

Nel TERZO MOTIVO si deduce la contraddittorieta della motivazione su vari fatti controversi, con violazione dello art. 360 c.p.c., n. 5, fatti relativi alle cause della morte del feto, non chiarite in alcuna perizia, alle contraddizioni rilevabili dallo esame delle perizie in relazione alla lettura del tracciato cardiotografico, alla valutazione dello atteggiamento attendistico dettato dalla necessità di acquisire referti di analisi per effettuare lo intervento cesareo, sulla valutazione critica da parte del giudice penale della perizia c., ignorando il giudice civile quanto relazionato in ordine alla condotta prudente del dr. C. nella fase del travaglio e nella scelta successiva del taglio cesareo, scelta decisa dal dr. Mo. dopo aver ricevuto i reperti di laboratorio. Si deduce come illogica la esclusione fatta dalla Corte di appello della responsabilità di tale medico. ALTRI fatti rilevanti attengono alla valutazione del referto cardiotografico, ed alla omessa prescrizione dello esame semiquantitativo della estrioluria, sul rilievo che detto esame venne disposto dal dr. D. al momento della accettazione con raccolta iniziata la mattina successiva,mentre tale dato non potè essere esaminato dal dr. C. se non al momento della comunicazione del referto, avvenuta il 17 mattina.

Nel QUARTO MOTIVO si deduce omessa pronuncia su motivo di gravame e nullità della sentenza come error in procedendo ai sensi dello art. 360 c.p.c., n. 4.

Il quesito attiene alla liquidazione equitativa del danno morale da morte, deducendosi che non sarebbero stati resi evidenti i criteri di liquidazione di tale danno.

Nel QUINTO MOTIVO si deduce la contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia, sempre in punto di liquidazione del danno morale, con mancanza del criterio informatore della personalizzazione e con mero riferimento a inesistenti criteri di equità.

Nel SESTO MOTIVO si deduce ancora omessa motivazione su punto decisivo della controversia, assumendosi che il principio di liquidazione equitativo del danno morale è stato dalla Corte di appello enunciato in modo arbitrario, anche con riferimento allo arresto nomofilattico delle SU 2008 n,26972.

Nel SETTIMO MOTIVO si deduce omessa motivazione su punto decisivo della controversia, sul rilievo che congiuntamente il C. e la sua assicuratrice Milano assicurazioni avevano proposto appello avverso la liquidazione del danno morale, e che tale esame congiunto consentiva di superare la ritenuta genericità della contestazione fatta dal C. in ordine alla quantificazione del danno morale.

Nello OTTAVO MOTIVO si deduce la omessa pronuncia su motivo di gravame e nullità della sentenza di appello ai sensi dello art. 360 c.p.c., n. 4 sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello svolto dalla propria assicurazione in punto di liquidazione del danno morale.

10.B. SINTESI DEL RICORSO E DEL RICORSO INCIDENTALE DI IDENTICO CONTENUTO PROPOSTO DAGLI EREDI DEL DR. MO..

Nel PRIMO MOTIVO si deduce il vizio della motivazione omessa e insufficiente sul fatto decisivo e controverso relativamente alla incolpazione del Mo. in relazione alla prescrizione ed alla esecuzione, avvenuta il (OMISSIS), del tracciato cardiotocografico per lo accertamento della presenza di battito cardiaco fetale, e per avere effettuato il taglio cesareo intorno alle ore 14.

Si assume che la prescrizione e la esecuzione di tale tracciato, avvenuta tra le 12,50 e le 13,10 era doverosa e necessaria ai fini della esecuzione dello intervento.

Nel SECONDO MOTIVO si deduce insufficiente ed omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio relativamente all’orario di esecuzione del parto cesareo, che avvenne verso le ore 14 del (OMISSIS). Si sostiene che prima di tale orario la sala operatoria non era disponibile.

Nel TERZO MOTIVO si deduce la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo e controverso relativamente alla causa di MORTE ENDOEUTERINA DEL FETO sostenendosi che la causa della morte endoeuterina come accertata dalla Corte di appello era invece incerta stante le divergenti conclusioni cui erano pervenuto i consulenti in sede penale e civile, di guisa che doveva escludersi la imputabilità soggettiva del dr. Mo..

Nel QUARTO MOTIVO si deduce omessa e insufficiente motivazione circa fatto controverso del giudizio relativamente alla sussistenza alla data del (OMISSIS) di elementi univoci attestanti una GRAVE SOFFERENZA FETALE. In particolare si fa riferimento ai risultati della amioscopia e del tracciato cardiotografico in relazione alla unico esame della estrioluria.

Nel QUINTO MOTIVO si deduce il vizio della motivazione, omessa contraddittoria e insufficiente su punto decisivo e controverso in relazione alla prescrizione della estrioluria ed alle funzioni di primario del reparto ostetrico della Villa Irma, da individuarsi nel dr. M. e non già nel dr. Mo..

Nel SESTO MOTIVO si denuncia error in procedendo per omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciare su un motivo di impugnazione proposto con riferimento alla valutazione della responsabilità inerente alla condotta medica del dr. Mo.. Il quesito a ff 30 viene proposto in forma assertiva ma priva del momento di sintesi in ordine al motivo di appello che si assume pretermesso.

11. CONFUTAZIONE IN DIRITTO DEI RICORSI C. E EREDI DEL DR. MO..

11.A. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI IN ORDINE AL DEVOLUTUM NEL GIUDIZIO DI CASSAZIONE. Preliminarmente questa Corte ritiene di dover porre alcune premesse di ordine sistematico che attengono alla natura rescindente del giudizio di cassazione come giudizio di legittimità. 1. Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata in quanto delimitato e vincolato dai motivi del ricorso. Il singolo motivo assolve ad una funzione condizionante della impugnazione. Ne consegue che, per espressa volontà delle regole processuali poste dal legislatore sin dalla codificazione del 1940, anteriore alla Costituzione, la elencazione analitica dei motivi del ricorso è tassativa ed i motivi devono essere dotati di rilevanza giurìdica, di autosufficienza, di specificità, secondo la tipologia descritta dalla norma processuale. I motivi del ricorso sono diretti ad individuare gli errori giuridici della sentenza impugnata e si risolvono nella richiesta alla Corte di un diritto rescindente, ossia la cassazione o la cancellazione della sentenza impugnata. La tassatività si rinviene nella norma base dello art. 360 c.p.c., sia nel testo originario codificato sia nel testo novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 240, art. 2 e trova ulteriore conferma nella riforma introdotta con il regime dei quesiti, previsto dallo art. 366 bis c.p.c. ed applicabile ratione temporis alla presente vicenda processuale. Il regime dei quesiti, nelle intenzioni del legislatore riformatore, ha una ratio legis che esalta il ruolo costituzionale e costruttivo della difesa tecnica in cassazione, per consentire alla Corte di conoscere chiaramente sia i vizi del giudizio, noti come errores in iudicando, sia gli errori rilevanti delle attività processuali, tali da determinare la nullità della sentenza o del procedimento, ed infine i vizi della motivazione che richiedono non il quesito ma la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata per omissione, contraddittorieta od insufficienza, rendendola così inidonea a sostenere il deciso.

L’art. 366 bis è stato successivamente abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d che prevede un regime transitorio in relazione al quale persiste nel presente giudizio la regola della formulazione dei quesiti e della puntualizzazione del fatto controverso.

Le riforme procedurali soprarichiamate, sempre secondo le intenzioni dei legislatori, sono dirette a conformare il processo civile alle regole del giusto processo, e tale criterio sovraordinato che si trova nello art. 111 Cost. nel testo novellato dallo art. 1 della Legge Costituzionale 2 novembre 1999, n. 2, a sua volta conforma il modello processuale italiano ai principi del giusto processo della CEDU ed ora anche della Unione europea. Tra i principi del giusto processo si esalta il ruolo del giudice terzo ed imparziale e della giurisdizione, funzionale alla certezza del diritto, anche in sede penale. Esiste dunque una rete logico sistematica di principi che pongono la Corte di Cassazione al vertice del sistema processuale con un compito di garantire e promuovere, anche con la formulazione di principi, oggetto di massimazione e diffusione, che rendano certi i rapporti giuridici civili e le statuizioni sulla innocenza o sulla colpevolezza dei cittadini inquisiti o rinviati a giudizio.

2. La premessa sistematica conduce ad una riflessione di ordine generale sui motivi di ricorso proposti dai due medici C. e Mo. ritenuti responsabili per inadempimento del contratto o rapporto sociale in relazione al fallimento dello obbligo di protezione nei confronti della partoriente e del suo concepito, vitale al momento del ricovero in clinica e deceduto nel corso dello intervento chirurgico eseguito tardivamente. Entrambi i ricorsi, pur nella loro complessità ed autonomia, non contengono una espressa richiesta di estensione dello accertamento della responsabilità e di estensione della solidarietà nei confronti del dr. Mo. che resiste con controricorso chiedendo la conferma della statuizione che lo assolve da responsabilità professionale verso i genitori del nascituro. Nè i genitori del nascituro hanno proposto ricorso avverso tale estromissione.

Deve allora ritenersi, sulla base del principio della specificità dei motivi dei ricorsi dei medici, e sulla base delle difese svolte nei precedenti gradi, che il devolutum nei confronti del Mo. non implichi una richiesta di condivisione di responsabilità nel caso di accoglimento dei ricorsi stessi.

Esiste dunque un giudicato interno sul punto che delimita gli effetti dei ricorsi stessi.

3. Una terza puntualizzazione deve porsi, sempre in relazione al principio del contraddittorio che attiene alla esatta qualificazione del rapporto giuridico tra il medico ed i genitori del nascituro, che è di protezione verso la madre, ma anche verso il padre del nascituro in relazione allo interesse costituzionalmente protetto della integrità del nuovo nucleo familiare in relazione alla nascita programmata e sperata. La Corte di appello ha qualificato tale rapporto, ha indicato i precedenti giurisprudenziali della Cassazione,anche a sezioni unite, ed ha fondato sullo inadempimento la responsabilità civile dei medici, riconoscendo il danno parentale non patrimoniale, pur valutando il nesso eziologico tra la condotta medica e lo evento di danno, ma sulla base delle regole del contatto sociale come definite dalle SU 26972 del 2008. Tale puntualizzazione esplica i suoi effetti in relazione alla valutazione dei singoli motivi di ricorso che sembrano non tenere nel debito conto la qualificazione giuridica del rapporto, anche in relazione al ed rapporto di pregiudizialità con un giudicato penale che assolve i medici con la formula "il fatto non costituisce reato". Ma su tale punto si rinvia alla confutazione del primo motivo del ricorso del dr. C..

4. Una quarta puntualizzazione riguarda il giudicato interno in ordine alle parti che la Corte di appello estromette dalla solidarietà o dalla garanzia in ordine alle conseguenze della malasanità, confermando la sentenza del tribunale nel resto.

La Corte ha rigettato le domande proposte dai genitori del nascituro nei confronti del Comune di Roma, del dr. M. e della Nuova Tirrena assicurazioni, nonchè le domande degli eredi Mo. nei riguardi della detta assicurazione. I ricorsi in esame non contengono la precisazione di richieste di annullamento o modifica di tali statuizioni e pertanto l’effetto devolutivo è limitato agli aspetti che attengono allo inadempimento ed alle ragioni esposte, nei vari motivi di gravame, per dimostrare le cause di giustificazione o di esonero o di impossibilità di adempimento. Per il resto la pronuncia di estraneità delle parti è cosa giudicata.

Le quattro puntualizzazioni giovano alla comprensione dello esame dei ricorsi ed alla loro confutazione in punto di diritto.

11.B. CONFUTAZIONE DEL RICORSO DEL DR. C..

Il PRIMO MOTIVO del ricorso, formulato come error in iudicando, in relazione allo art. 360 c.p.c., n. 3 deduce la violazione di due principi generali, il primo di rango ordinamentale e costituzionale sulla unità della funzione giurisdizionale, ed il secondo, processuale e pregiudiziale sulla intangibilità del giudicato penale nel caso di costituzione di parte civile e nei rapporti tra i medici assolti con la formula il fatto non costituisce reato e le parti lese.

I profili di inammissibilità, per violazione dei criteri dello art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis sono i seguenti:

quanto al profilo ordinamentale, si osserva che la unità della funzione giurisdizionale, pur sostenuta da antica ed autorevole dottrina, non trova nella sezione 2^ della Costituzione dedicata alle norme sulla giurisdizione, artt. 111 e 113 un preciso riferimento logico sistematico, anche se l’art. 111, comma 1 nel testo novellato da Legge costituzionale prevede che "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge". La diversità delle giurisdizioni e degli ordini dei giudici è propria del diritto italiano vigente,così come degli altri stati di diritto europei, con una diversità rilevante tra gli stati di tradizione anglosassone e quelli continentali che si ispirano alla tradizione napoleonica ed alla distinzione tra diritti e interessi legittimi. Peraltro la teoria unitaria risulta respinta dalle Sezioni Unite civili di questa Corte, nella sentenza 11768 del gennaio 2011 a ff 10 penultimo periodo che conclude "nel senso che a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale,devono ritenersi definitivamente espunti dall’ordinamento i nuovi principi di unitarietà delle giurisdizioni civile e penale, vigendo piuttosto il principio della parità ed originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e della sostanziale autonomia e separazione dei giudizi, ad eccezione di determinati tipi formali di pronuncia, per ipotesi tassativamente prescritte". Essendo la sezione semplice di questa Corte vincolata al dictum delle sezioni unite, tale prima censura risulta inammissibile essendo priva della specifica indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, nè vale la integrazione fatta a chiarimento da questa stessa Corte, che ne rileva la infondatezza.

Il secondo profilo trova un ostacolo di ammissibilità in ordine alla omessa indicazione delle norme processuali o sostanziali da cui desumere la pregiudizialita della re giudicata penale in relazione alla formula assolutoria dei medici ed alla costituzione di parte civile dei giudici. A tale omissione, si aggiunge un difetto di autosufficienza, posto che neppure risulta riprodotta in esteso la sentenza penale passata in giudicato e le sue statuizione in ordine alla parte civile e neppure le motivazioni inerenti alla formula. E poichè il preciso riferimento allo art. 360, n. 3 come error in iudicando impedisce alla Corte di modificare o integrare il ricorso con accesso agli atti, le ragioni di inammissibilità devono essere considerate come preclusive. Un terzo profilo riguarda la mancanza della sintesi descrittiva che non tiene conto della qualificazione giuridica del rapporto medici e partoriente, qualificato in termini di contatto sociale come ribadito dalle Sezioni Unite civili nella sentenza n. 26972 del 11 novembre 2008, che vincola queste sezioni semplici, da cui derivano le conseguenze circa la delimitazione della domanda su cui tutte le parti hanno accettato il contraddittorio sostanziale con relativo onere delle prove. In relazione a tale gualificazione viene a mancare ogni pregiudizialità penale, essendo il tema del decidere un inadempimento per violazione degli art. 1218 c.c. delle norme sulla responsabilità civile, ed essendo la formula assolutoria non preclusiva dello accertamento della esistenza o meno di tale inadempimento e delle sue conseguenze negative sulla salute della partoriente e sul nascituro che dagli accertamenti medici risulta entrato vivo nel reparto di ostetricia e ginecologia ed estratto morto nel corso dello intervento chirurgico.

Per tali ragioni il motivo è inammissibile.

Resta assorbito il secondo motivo, in cui si deduce la esistenza di un giudicato interno, per le considerazioni appena esposte sopra.

Infondato e privo di decisività e specificità risulta il terzo motivo, che deduce la contraddittorietà della motivazione su fatti controversi, ma con una concezione impropria di tale nozione quale si desume dalla chiara motivazione espressa dalla Corte di appello in relazione allo accertamento della morte del feto ancora vivo al tempo del ricovero e deceduto per una ipossia sopravvenuta dopo la rottura delle acque per il protrarsi della situazione di gravissimo pericolo in assenza di travaglio e di provvedimenti medici salvifici.

Gli elementi di censura introdotti nel motivo in realtà non attengono al fatto storico controverso che inerisce alla fattispecie del contatto sociale che si perfeziona sin dal momento della accettazione nel reparto clinico e prosegue sino alle dimissioni della partoriente, ma attengono a momenti ed a situazioni rispetto alle quali il dr. C. non deduce una serie di cause di esonero della propria responsabilità contrattuale, sostenendo che lo inadempimento non è per colpa omissiva ma per circostanze esterne al suo operare in una struttura non organizzata, in relazione alla tardività delle trasmissioni dei dati di analisi, al mancato monitoraggio delle condizioni del nascituro, alla non disponibilità della sala di chirurgia e quant’altro.

Anche a poter temperare il rigore formale in ordine alla configurazione di tanti fatti controversi quante sono le circostanze che hanno condotto al tardivo intervento, il tema decidendi, considerato dalla Corte di appello, non riguarda semplicemente il non fare o il fare male e tardivamente, ma attiene all’onere della prova che il dr. C. non ha saputo dare in ordine alle ragioni che lo esoneravano per non avere eseguito adeguatamente la prestazione dovuta o ritardata, non avendo provato che lo inadempimento non è stato determinato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Allorchè la Corte di appello accerta che sussiste il nesso di causalità tra la condotta inadempiente del medico e l’evento morte del nascituro e la consequenzialità dei pregiudizi non patrimoniali per danno parentale, compie un esame accurato e completo dei vari elementi probatori e un esame critico delle consulenze medico legali, che in relazione alla condotta medica evidenziano come lo inadempimento, dato dallo insieme delle circostanze come esistente, è stato eziologicamente rilevante come fattore umano produttivo di un evento non salvifico ma mortale per il nascituro. In conclusione il vizio della motivazione appare inammissibile vuoi perchè travisa il fatto che ritiene controverso, ma che prudentemente non descrive, vuoi perchè non riproduce i punti della chiara ratio decidendi che interpreta le prove alla luce della qualificazione giuridica del rapporto, onde le singole censure per i vari elementi non risultano decisive rispetto al ribaltamento dell’onere delle prove.

Il motivo risulta pertanto inammissibile prima ancora che infondato.

IL QUARTO IL QUINTO ED IL SESTO MOTIVO vengono in unitaria considerazione per la intima connessione logico giuridica, riguardando il danno parentale,la sua esistenza ed i criteri di liquidazione, senza tenere nel debito conto i dieta delle sezioni unite civili n. 26972 del 2008 nel preambolo sistematico.

Sostiene il ricorrente nel quarto motivo una omessa pronuncia e nel motivo successivo un vizio della motivazione sui criteri di liquidazione e nel successivo ancora una scelta arbitraria e non motivata della liquidazione equitativa.

I tre motivi risultano inammissibili, il quarto per la ragione che nessuna omessa pronuncia risulta verificata, ma la conferma della correttezza della considerazione del danno parentale e della congruità dei criteri, il quinto ed il sesto sono inammissibili in relazione alla non chiara rappresentazione del fatto controverso in relazione alla sintetica ma congrua motivazione che verte su una equità circostanziata e considera il danno parentale proprio sulla base del precedente di questa Corte, 12 luglio 2006 n. 15760 che trova espressa conferma nella pronuncia delle sezioni unite civili sopraccitata, allorchè al punto 4.9 del preambolo considera il complesso pregiudizio del danno da perdita parentale che deve considerare la sofferenza patita dai genitori sia nel momento della perdita, sia successivamente, per la perdita della integrità della comunione familiare fondata sulla procreazione consapevole e desiderata.

Si aggiunge che la liquidazione equitativa considera alla evidenza la gravità della offesa e la serietà del pregiudizio dei genitori per danni alle loro persone ed allo status genitoriale, di natura non patrimoniale e conseguenti alla lesione di diritti e di interessi della persona costituzionalmente rilevanti, come si desume dalla attenta lettura degli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione con riferimento ai diritti della famiglia come società naturale che si espande con la nascita dei figli.

Improponibile ed inammissibile risulta il settimo motivo dove la difesa del medico intende recuperare e di integrare gli effetti dello appello del proprio assicuratore per superare la giusta statuizione di inammissibilità del proprio gravame per genericità. Non senza rilevare che anche il gravame della Milano è stato respinto sul punto e che lo assicuratore non ha proposto alcun ricorso.

Inammissibile anche l’ottavo motivo che denuncia una inesistente omessa pronuncia sullo appello dello assicuratore,neppure riprodotto e circostanziato, così difettando anche di autosufficienza e specificità. In conclusione il ricorso C. deve essere rigettato.

11.C. CONFUTAZIONE IN DIRITTO DEL RICORSO MO. – eredi.

Preliminarmente la Corte rileva che risultano prodotti e notificati alle controparti due identici ricorsi uno incidentale rispetto al ricorso Coppola ed inserito nel fascicolo sezionale n. 10665 del 2009 ed altro classificato come autonomo ed inserito nel fascicolo sez. 10906 del 2009. In relazione a detti ricorsi, notificati in tempi diversi alle controparti, il previo provvedimento di riunione di tutti i ricorsi ne ha determinato la trattazione dibattimentale nel contraddittorio delle parti. Resta così superata la questione della consumazione della impugnazione successiva a quella cronologicamente anteriore e le censure dei ricorrenti Mo. sono state oggetto di replica e considerazione da parte degli altri contraddittori, Vedi sul punto per un caso simile la Cass. 1998 n. 1637. Il ricorso, di cui si è data una sintesi descrittiva, si articola in sei motivi. I primi cinque prospettano, come vizi della motivazione su punti decisivi relativi rispettivamente:

a. alla valutazione del tracciato cardiotocografico del 17 settembre 1986 – primo motivo;

b. all’orario di esecuzione del parto cesareo-secondo motivo; calla causa della morte endoeuterina del feto-terzo motivo;

d. alla valutazione il giorno 17 settembre 1986 di elementi attestanti la grave sofferenza fetale-quarto motivo;

c. alla prescrizione della estriologia ed alle funzioni di primario ostetrico ginecologico del Policlinico Villa Irma – quinto motivo – In relazione ai suddetti motivi deve osservarsi l’errore di prospettiva circa la indicazione del fatto controverso. In vero la motivazione della Corte di appello è logicamente congegnata attorno alla responsabilità del dr. Mo. per la propria attività medica svolta nella clinica in favore della partoriente e del suo feto, e tale attività è stata oggetto di un prudente apprezzamento delle prove in ordine allo inadempimento dello obbligo di protezione, anche in relazione alla verifica della eziologia tra condotte di intervento tardivo in una situazione di grave sofferenza fetale di chiara evidenza patologica, come si evince dalla chiara ratio decidendi espressa a ff 13 e 14 della parte motiva, ma pur sempre in relazione alla qualificazione del rapporto tra sanitario e paziente in termini di contatto sociale e di consenso informato – anche se su tale punto i medici mantengono un prudente silenzio. PERTANTO il fatto controverso che doveva era rappresentato doveva individuarsi con assoluta precisione nel fatto dello adempimento dello obbligo di protezione e nella descrizione delle esatte modalità, con la indicazione precisa delle condizioni della partoriente e del feto, dal ricovero alle dimissioni, incluso il tragico e prevedibile evento della morte del nascituro. L’avere frammentato il fatto storico in singoli episodi per eliminarli dalla rilevanza degli accadimenti nefasti, costituisce solo un espediente inammissibile, perchè prescinde dalla significanza del complesso probatorio ricostruito diligentemente dai giudici del merito anche con la lettura critica dei documenti delle consulenze medico legali. La Corte in sede di legittimità e di regime speciale per quesiti e per vizi della motivazione deve dunque attestarsi allo spirito della legge, rilevando tuttavia che proprio le Sezioni Unite civili, nella molte volte citata sentenza del 2008 n. 26972, che i motivi del ricorso evitano di considerare, configura la responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, confermando lo incipit dei Cass. 1999 n. 589 in relazione al principio della responsabilità da contatto sociale e che tale responsabilità si riverbera sullo onere probatorio che risulta pienamente assolto dalle parti lese in ordine alla eziologia dello evento ed allo stato di pericolo per la vita del feto non rilevato e compromesso dalla tardività dello intervento, mentre non sono state dedotte cause di giustificazione in relazione alla impossibilità della prestazione od alla sopravvenienza di complicanze non prevedibili o prevenibili.

RESTA dunque evidente sia la inammissibilità che la infondatezza dei motivi, che prospettano sostanzialmente come vizio della motivazione un error in iudicando che attiene alla imputazione a titolo di inadempienza del contatto sociale.

Inammissibile il sesto motivo, che denuncia come error in procedendo una omessa pronuncia su un motivo di appello che il quesito di diritto non sintetizza, pur deducendo una non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. NON compete a questa Corte alcun potere di integrare un quesito carente, posto che resta fermo il principio devolutivo della specificità della censura che si propone. Vedi tra le significative Cass. SU 2007 n. 20360 e Su 2007 n. 4972 ord. Anche il ricorso in esame non merita accoglimento.

11. D. Nulla aggiungono alle considerazioni qui svolte la memoria difensiva dei Mo., il controricorso del Comune di Roma e del dr. M..

12. REGOLAMENTO DELLE SPESE DEL GIUDIZIO DI CASSAZIONE. Ritiene questa Corte in relazione alla complessità e difficoltà delle questioni esaminate, anche in relazione alle varie consulenze medico legali, che sussistano giusti motivi di compensazione di questo giudizio di cassazione tra le parti costituite.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta e compensa le spese del giudizio di cassazione tra le parti costituite.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 26-04-2011, n. 690 Enti gestiti dal comune Enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il presente gravame il ricorrente – nominato, con determinazione sindacale 21.6.2007, Presidente del Consiglio di amministrazione dell’Istituzione "Malcesine Più" costituita con delibera consiliare n. 145/94 per l’esercizio di servizi pubblici rivolti a realizzare fini sociali e a promuovere, in particolare, lo sviluppo economico e l’attività turistica in ambito comunale – contesta, siccome asseritamente illegittimi per violazione di legge e per eccesso di potere sotto diversi profili, i provvedimenti 23.7.2010 n. 10542 e 2.8.2010 n. 10951 con cui il Sindaco ha motivatamente revocato, in ragione di una serie di inadempienze e di comportamenti pregiudizievoli del rapporto fiduciario, la sua nomina a Presidente della predetta Istituzione e, rispettivamente, ha nominato il nuovo Presidente della stessa.

Resiste in giudizio il Comune di Malcesine rilevando l’infondatezza del ricorso, del quale conseguentemente chiede la reiezione.

La causa è passata in decisione all’udienza del 30 marzo 2011.
Motivi della decisione

1.- Con i primi tre motivi – che possono essere trattati congiuntamente atteso il loro comune riferimento alla violazione, sotto profili diversi ma comunque connessi, dell’art. 50 del DLgs n. 267/00 – il ricorrente lamenta che la revoca sarebbe stata disposta "in assenza di valide ragioni per giustificarla", in quanto essa si fonderebbe sul rifiuto manifestato dall’interessato di eseguire direttive sostanzialmente illegittime e altresì lesive dell’autonomia dell’Istituzione e, inoltre, in quanto avrebbe demandato ad un successivo atto (la relazione del revisore incaricato) l’accertamento delle violazioni e delle irregolarità nella gestione dell’Istituzione poste a giustificazione della revoca stessa.

I motivi sono infondati per la semplice ragione che il comportamento tenuto dal ricorrente – comportamento non solo elusivo, ma addirittura contestatario delle direttive dell’Amministrazione – ha pregiudicato in radice e insanabilmente il rapporto fiduciario che lo legava all’Amministrazione comunale e che aveva costituito il presupposto imprescindibile della nomina.

Ritiene al riguardo il Collegio, in adesione al prevalente orientamento della giurisprudenza, che le nomine e le designazioni, da parte del Consiglio comunale e del Sindaco, dei rappresentanti dell’ente locale presso enti pubblici strumentali, da disporsi nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 50 del DLgs n. 267 del 2000, debbono considerarsi sicuramente di carattere fiduciario, nel senso che riflettono un giudizio di affidabilità espresso attraverso la nomina sulle qualità e le capacità professionali del nominato di rappresentare gli indirizzi di politica amministrativa e gestionale di chi l’ha designato, orientando l’azione dell’organismo nel quale si trova ad operare in senso quanto più conforme agli interessi di chi gli ha conferito l’incarico (cfr., ex pluribus, CdS, V, 28 gennaio 2005 n. 178).

Pertanto, trovando la nomina del ricorrente giustificazione in un rapporto fiduciario basato non soltanto sull’affidamento circa le capacità tecniche e professionali del nominato, ma anche sulla sua riposta fiducia politica e, quindi, sulla sua ritenuta idoneità a garantire, nell’esercizio dell’incarico amministrativo presso l’ente di destinazione, una gestione coerente con gli indirizzi di politica amministrativa del Comune di cui il designato costituisce espressione, ne consegue che, nel caso in cui nel corso del mandato viene meno tale rapporto fiduciario, il Sindaco può senza dubbio procedere alla revoca della nomina con provvedimento motivato.

Ciò premesso, relativamente alla vicenda di cui è causa non può essere revocato in dubbio, alla stregua della documentazione depositata in giudizio, che il Presidente di "Malcesine Più" aveva assunto un atteggiamento di palese contrarietà rispetto agli indirizzi impartiti dagli organi comunali in ordine alla gestione dell’Istituzione (relativamente ai quali si rinvia all’ampia ed articolata motivazione contenuta nello stesso provvedimento di revoca), come risulta evidente, in particolare, sia dalla diffusione del volantino dd. 25.5.2010 intitolato "e adesso basta", ove il ricorrente contestava platealmente e al di fuori delle sedi istituzionali le censure al proprio operato avanzate dall’assessore delegato al bilancio e fatte proprie dalla maggioranza che lo aveva designato, sia dalla successiva convocazione del consiglio di amministrazione di "Malcesine Più" ove egli, nella deliberazione 7.6.2010 n. 15, faceva approvare (con il solo voto del consigliere di minoranza: il che è eloquente della frattura creatasi nei confronti della maggioranza) la proposta di non dare attuazione alle direttive impartite dall’Amministrazione comunale.

A fronte di tale atteggiamento di contrarietà e resistenza dimostrato dal rappresentante dell’ente strumentale, indubbiamente lesivo del rapporto fiduciario esistente con gli organi che avevano provveduto alla sua designazione, non v’era, nella impossibilità di superare e ricomporre il contrasto tra le parti, altra soluzione che la revoca del mandato amministrativo.

Da ciò, quindi, la ritenuta infondatezza dei primi tre profili di censura dedotti con il ricorso, atteso che nella specie il potere di revoca previsto dall’art. 50 del DLgs n. 267/00 si è motivatamente fondato su un comportamento palesemente contrastante con gli indirizzi amministrativi dell’ente di riferimento, che ha ampiamente giustificato l’esercizio di detto potere.

Né le "direttive" ripetutamente inviate dal Sindaco all’Istituzione appaiono illegittime per incompetenza e/o per lesione dell’autonomia dell’Istituzione stessa, in quanto esse, lungi dal costituire atti di indirizzo generale, traggono giustificazione e fondamento nel regolamento dell’Istituzione e nello Statuto del Comune e si configurano come mere prescrizioni operative adottate dal Sindaco nell’ambito del suo potere di vigilanza.

Così come non ha pregio la dedotta contraddittorietà per essere, le inadempienze asseritamente poste a giustificazione dell’adottata revoca, oggetto di un accertamento demandato ad un successivo atto (e cioè ad una specifica relazione del revisore): le inadempienze che hanno contribuito a scalfire (recte: demolire) il rapporto di fiducia con il ricorrente e che giustificano la revoca sono chiaramente e puntualmente indicate nell’impugnato provvedimento, la verifica al revisore essendo stata richiesta al fine di accertare ulteriori situazioni emerse successivamente e relative a debiti assunti fuori bilancio (che, comunque, essendo fatti postumi rispetto alla revoca, non ne costituiscono certamente giustificazione).

Conclusivamente, dunque, i provvedimenti impugnati, al contrario di quanto sostenuto da parte ricorrente, risultano supportati da un’adeguata motivazione, poiché gli stessi rendono palesi le ragioni che li hanno giustificati e che consistono nell’insanabile atteggiamento di contrarietà dimostrato dal ricorrente ad assecondare gli indirizzi amministrativi indicati dal Comune che lo aveva designato e nominato a tale carica.

2.- Infondata è anche l’ulteriore doglianza con cui il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 10 della legge n. 241/90 per mancata, adeguata motivazione sulle controdeduzioni presentate successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento revocatorio: a prescindere, invero, dalla considerazione che in materia di revoca dei rappresentanti nominati dal Comune presso enti pubblici per esser venuto meno il rapporto fiduciario è sufficiente che il Sindaco spieghi soltanto "succintamente le ragioni per le quali non ha ritenuto condivisibili le argomentazioni dei ricorrenti" (cfr. TAR Veneto, III, 29.9.2009 n. 2455), nel provvedimento impugnato si dà espressamente atto che le osservazioni del ricorrente non giustificano i "rilievi mossi verso le irregolarità amministrative dell’Istituzione" e, tanto meno, indicano le ragioni per le quali l’ente "non intende seguire le direttive sindacali".

Nelle controdeduzioni, infatti, il ricorrente ribadiva sostanzialmente la propria volontà di non ottemperare alle prescrizioni dettate dagli organi comunali per un corretto assetto gestionale dell’Istituzione, sicchè anche da ciò il Collegio non può che rilevare che nella vicenda oggetto di giudizio si era effettivamente determinato un insanabile contrasto tra le linee di politica amministrativa espresse dal Comune e l’atteggiamento assunto dall’odierno ricorrente nominato in rappresentanza della maggioranza.

3.- Analogamente priva di pregio è l’ultima censura con cui il ricorrente contesta il provvedimento sotto il profilo che le inadempienze ascritte all’Istituzione erano imputabili all’intero consiglio di amministrazione, che, conseguentemente, avrebbe dovuto essere revocato al completo.

Al fine di confutare la censura è sufficiente osservare che soltanto il Presidente – responsabile della conduzione operativa dell’Istituzione sotto il profilo politico – ha reiteratamente manifestato la volontà di disattendere gli indirizzi espressi dall’Amministrazione comunale: la stessa delibera n. 15 del 2010 del Consiglio di amministrazione di "Malcesine Più", con cui si conferma l’opposizione alle direttive comunali, risulta adottata su proposta del Presidente e votata dal medesimo e dal consigliere espressione della minoranza consiliare (al quale, per ciò stesso, non può essere imputata alcuna incoerenza).

Gli evidenziati comportamenti finalizzati a contrastare apertamente gli obiettivi perseguiti dal Comune costituiscono, dunque, valido motivo di revoca dell’incarico amministrativo conferito al ricorrente.

4.- Per le considerazioni che precedono, pertanto, il ricorso è infondato e va respinto.

Le spese possono essere compensate in relazione alla particolarità della controversia.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese e le competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 11-05-2011, n. 18512 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 2 febbraio del 2010, confermava quella resa dal tribunale della medesima città in data 26 giugno del 2008, con cui F.O. e L.R.M. erano stati condannati alla pena di giorni trenta di arresto ed Euro 16.000 di ammenda, quali responsabili di abusi edilizi ed ambientali, per avere, in una zona sottoposta a vincolo sismico e paesaggistico, realizzato una nuova costruzione in conglomerato cementizio in ampliamento di un preesistente edificio, senza il permesso di costruire, senza il nulla osta paesaggistico, senza la preventiva denuncia dei lavori al Genio civile,senza la presentazione di progetti e senza la direzione dei lavori da parte di tecnico qualificato. Fatti Commessi in (OMISSIS).

Ricorrono per cassazione i due imputati per mezzo del difensore deducendo:

1) violazione di legge per avere i giudici del merito rigettato l’istanza di sospensione del processo a seguito di presentazione della domanda di sanatoria nonostante il parere favorevole della Commissione Edilizia: nella fattispecie l’opera era sanabile trattandosi di ampliamento e non di nuova costruzione con sfruttamento dell’area presente sotto il tetto dell’immobile; il recupero edilizio è previsto dalla L.R. 16 aprile del 2003, n. 4.
Motivi della decisione

Il ricorso va respinto perchè infondato.

Secondo gli accertamenti compiuti dai giudici del merito l’opera edilizia consiste nell’ampliamento di un locale sottotetto della superficie di mq 110, con aumento del volume fuori terra e con modificazione dei prospetti mediante aperture al fine di ricavare sette ambienti completi di impianto idrico ed elettrico. L’immobile è stato realizzato in una zona vincolata.

Il prevenuto,come risulta dalla sentenza impugnata,avendo presentato domanda di condono in base alla L. n. 326 del 2003, art. 32 ha chiesto la sospensione del procedimento della L. n. 47 del 1985, ex art. 44.

L’istanza è stata respinta perchè nelle zone vincolate è possibile ottenere la sanatoria solo per gli interventi minori di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’allegato n. 1, ossia restauro,risanamento conservativo e manutenzione straordinaria.

L’assunto dei giudici del merito va condiviso perchè quello in esame non rientra tra gli interventi per i quali è possibile il condono nelle zone vincolate. In materia edilizia il giudice, prima di sospendere il processo a norma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 44 ha il potere – dovere di controllare la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità del condono , in quanto si tratta di un potere di controllo strettamente connesso all’esercizio della giurisdizione, il cui mancato esercizio determina inevitabilmente ed inutilmente la dilatazione dei tempi del processo. Se l’interessato non può usufruire del condono o comunque della sanatoria è inutile sospendere il processo.

Il semplice rilascio di un parere favorevole da parte della Commissione edilizia , quando non si tratta di intervento minore, non legittima la sospensione del processo.

Nella fattispecie era inutile sospendere il processo perchè i prevenuti non potevano usufruire del condono di cui alla L. n. 306 del 2003, art. 32, comma 25 non solo per il vincolo paesaggistico, per il quale sono sanabili solo gli interventi minori, ma anche perchè i lavori non risultano ultimati entro il 31 marzo del 2003,come risulta dalla stessa contestazione.

Invero secondo il consolidato orientamento di questa Corte(cfr per tutte Cass. n 24647 del 2009) le opere realizzate in area vincolata sono insuscettibili di condono edilizio nel caso in cui l’area sia sottoposta a vincolo di inedificabilità tanto assoluta quanto relativa. Siffatta interpretazione risulta sia pure implicitamente avallata dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte cost. n 54 del 2009 e n. 150 del 2009 nonchè Sentenza n 290 del 2009) Nella decisione da ultimo citata la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo unico della L.R. Marche n 11 del 2008, il quale, tramite un’asserita interpretazione autentica della L.R. n. 23 del 2004, art. 2, comma 1, lett. a) aveva stabilito che i vincoli previsti dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 27, lett. d) convertito nella L. n 326 del 2003 impedivano il condono solo se comportavano inedificabiltà assoluta.

Il ricorrente assume infine, in modo estremamente generico,che l’intervento in questione sarebbe sanabile in base alla L.R. 16 aprile del 2003, n. 4 senza indicare la norma specifica che prevederebbe la sanatoria.

L’assunto è infondato. La legge dianzi citata prevede all’art. 18 la possibilità di recuperare ai fini abitativi i sottotetti, le pertinenze, i locali accessori ed i seminterrati degli edifici già esistenti e regolarmente realizzati alla data di approvazione della legge, al fine di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento di consumi energetici. E’ pertanto palese che la norma non si riferisce all’intervento in questione, il quale è stato realizzato senza alcun titolo abilitativo dopo l’approvazione della citata legge e non consiste nel recupero di spazi esistenti,ma di nuovo intervento. D’altra parte il recupero è consentito previo rilascio della concessione edilizia o denuncia di inizio attività.

La regione Sicilia in materia di condono ha adottato una disciplina conforme a quella statale.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p.; RIGETTA il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.