Cass. civ., sez. Lavoro 21-03-2006, n. 6260 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – OBBLIGAZIONI – ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA – IGIENE E SANITÀ PUBBLICA- Diminuzione patrimoniale del creditore – Applicabilità ai rapporti di lavoro autonomo ancorché parasubordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso dell’8 agosto 1996 al Pretore di Roma, M. G. C., medico convenzionato con l’Azienda USL Roma D, esponeva di avere assistito un numero di pazienti superiore al massimo consentito dall’accordo collettivo nazionale e, imputando il suo errore sul detto numero ad un disservizio dell’Azienda, chiedeva la condanna di questa e, in solido, della Regione Lazio al pagamento del compenso per il maggior numero di assistiti o, in subordine, un indennizzo per arricchimento della Pa senza giusta causa.

Quest?ultima domanda veniva accolta dal Pretore nei confronti della sola Regione con decisione del 27 marzo 1998, riformata però dal Tribunale, che con sentenza del 22 gennaio 2003 rigettava ogni pretesa della C., escludendo un suo impoverimento, stante il difetto di prova del maggior lavoro svolto o delle maggiori spese sostenute per l’ambulatorio, ed affermando la non imputabilità del superamento del massimale alla disorganizzaione dell’Azienda sanitaria.

Contro questa sentenza ricorre per cassazione la C. mentre la Regione Lazio resiste con contro ricorso e la Ausl, non si è costituita.

Motivi della decisione

In via preliminare deve dichiararsi l’inammissibilità del controricorso della Regione Lazio, la quale ha conferito la procura al difensore non in calce all’atto – come dovuto ai sensi degli articoli 83, comma 2, 365 e 370, comma 2 c.p.c. – bensì in calce alla copia notificata del ricorso, che il difensore chiama ?ricorso passivo?.

Neppure può essere accolta l’eccezione concernente la non ammissibilità dell’atto d’appello per difetto dei poteri del rappresentante della Regione, asseritamente non abilitato a stare in giudizio ai sensi dell’articolo 75, comma 3, c.p.c.. l’eccezione è stata formulata dal difensore della ricorrente soltanto in udienza ossia tardivamente, poiché l’affermato vizio dell’appello, tradottosi in vizio della sentenza, avrebbe dovuto essere denunciato attraverso specifico motivo di ricorso. Il detto difensore afferma la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione, ma tale officiosità deve cooordinarsi con la regola della preclusione da cosa giudicata (cfr. Cassazione 6559/99, 12002/03), la quale consegue alla mancata, tempestiva impugnazione. l’udienza pubblica in cassazione serve poi al difensore per ?svolgere le difese? (articolo 379, comma 2, c.p.c.) e non per formulare nuovi motivi di doglianza, necessariamente contenuti nell’atto di ricorso (articolo 366, n. 3) e suscettibili di essere ulteriormente illustrati ma non aumentati dopo -il deposito di questo (cfr. Cassazione 6567/86, 4005/87).

Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 116 c.p.c. e vizi di motivazione, in realtà invocando l’articolo 48 legge 833/78,34 Dpr 34/1981, Dpr 16 ottobre 1984,41 Dpr 8 giugno 1997,41 Dpr 28 settembre 1990 di approvazione dell’accordo nazionale con i medici di medicina generale. Tesi della ricorrente è che l’esclusione del compenso per i pazienti assistiti dal medico convenzionato oltre il numero massimo riguardava solo alcune voci retributive e perciò non incideva sulla spettanza del compenso complessivo. Avrebbe perciò errato il Tribunale nel negare questo compenso per i pazienti ?ultramassimale?.

Il motivo è privo di fondamento. l’articolo 48, comma 3, n. 5, legge 833/78, istitutiva del servizio sanitario nazionale, stabilisce che gli accordi collettivi nazionali, relativi al trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale, debbono prevedere ?il numero massimo degli assistiti per ciascun medico generico?. La ragione della norma sta nella necessità di garantire un livello minimo di assistenza a ciascun paziente onde il superamento del massimale comporta che le prestazioni rese dal medico ai pazienti in numero superiore sono prive di causa e perciò non remunerabili.

Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 1453 e segg. Cc e vizi di motivazione sostenendo che ai sensi del vigente accordo collettivo l’Unità .(poi Azienda) sanitaria locale avrebbe dovuto comunicarle ufficialmente nome e numero dei pazienti assistibili ed il difetto della comunicazione integrerebbe -un inadempimento contrattuale e darebbe cosi luogo al diritto del medico convenzionato al risarcimento del danno.

Anche questo motivo è privo di fondamento giacché nel caso di specie la ricorrente ha esercitato non già l’azione di risarcimento del danno da inadempimento bensì l’azione di arricchimento senza giusta causa. In tal senso si è espresso nella sentenza qui impugnata il Tribunale, il quale ha interpretato esattamente gli atti processuali, osservando come, ai sensi dell’art. 2042 Cc, quest?azione sia proponibile solo in difetto di altro rimedio riparatorio del pregiudizio sopportato a causa dell’altrui ingiustificato arricchimento. Altrettanto esattamente il collegio di merito ha notato che, in ogni caso, la ricorrente non aveva dato prova del danno asseritamente subito e che, .. in ogni caso, le prestazioni ?ultramassimale? erano estranee alla previsione contrattuale (vedi quanto qui detto a proposito del primo motivo di ricorso).

Col terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli articoli 2041, 2729, 1226, 2126 Cc e vizi di motivazione, sostenendo che le prestazioni lavorative di fatto rese ai pazienti al di fuori del massimale le davano comunque diritto all’indennizzo per arricchimento senza giusta causa oppure ex articolo 2126 cit..

Il motivo è infondato sia perché il Tribunale, ha constatato il difetto di prova tanto dell’impoverimento quanto del riconoscimento dell’utilità acquistata da parte della Pa, ciò che vale con riguardo all’articolo 2041 cit., sia perché l’articolo 2126.Cc è dettato per le prestazioni di lavoro subordinato e non anche per quelle di lavoro parasubordinato, come quelle del medico convenzionato col Servizio sanitario nazionale (Cassazione, Su 1613/89, 3496/95, 5738/01, 5941/04).

Da aggiungere, quanto all’articolo 2041 cit., che la ricorrente invoca erroneamente la sentenza Cassazione 932/84, la quale subordina l’indennizzo al riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte dell’ente beneficiario, riconoscimento nella specie sicuramente mancato; dalla sentenza impugnata, inoltre, non risulta esercitata l’azione ex articolo 2126, né la ricorrente lamenta ora un?omessa pronuncia in proposito.

In ogni caso è necessario osservare che l’arricchimento della Pa non è ravvisabile, quando si tratti non già di beni o di denaro ma di servizi resi alla collettività, – soltanto nel risparmio di una spesa, occorrendo altresì un miglioramento o almeno non il pericolo di un peggioramento del servizio. Escluso l’arricchimento cosi inteso, il soggetto che si dichiari impoverito non può invocare l’articolo 2041; in particolare non può farlo il medico che dichiari di avere assistito pazienti in numero maggiore di quello consentito dall’accordo, nazionale di cui all’articolo 48 legge 833/78. La ratio del massimale sta, infatti e come si è detto, nella garanzia di un livello minimo qualitativo di assistenza per ciascun paziente. In conclusione si deve affermare che l’arricchimento senza giusta causa della Pa, il quale giustifica ai sensi dell’articolo 2041 Cc l’indennizzo a favore del soggetto privato depauperato, deve consistere nell’acquisto di un bene o di una somma di denaro o, se trattisi di pubblico servizio, un miglioramento dello stesso oppure nel mantenimento della sua qualità con spesa minore.

Rigettato il ricorso, sulle spese non si provvede in difetto di rituale attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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