Cass. pen., sez. V 14-12-2005 (21-09-2005), n. 45313 REATI CONTRO LA FEDE PUBBLICA – DELITTI – FALSITA’ IN ATTI – IN ATTI PUBBLICI – Alterazione di dati archiviati in computer senza manipolare il corrispondente supporto cartaceo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D. M. L., agente della Polizia municipale del comune di Udine, era chiamato a rispondere, innanzi al tribunale di quella stessa città, del reato di cui agli artt. 476, comma 1, 490, 491 bis c.p.. In particolare, gli si contestava di avere ? nella sua qualità di addetto al servizio di inserimento dati nel sistema di verbalizzazione informatica ? distrutto ovvero soppresso e, comunque, occultato documenti informatici pubblici relativi alla predisposizione di quindici verbali di accertamento di violazione delle norme del codice della strada. Più precisamente, era accusato di aver cancellato i documenti informatici relativi a detti atti ? destinati alla stampa ed alla conseguente notifica agli interessati ? provvedendo a sovrapporvi dati diversi, relativi ad altri verbali di accertamento, con l’effetto di rendere impossibile, in dieci casi, l’emissione di nuovi avvisi di accertamento e di rendere necessaria, per i rimanenti cinque, l’emissione di provvedimenti sostitutivi.

Con sentenza del 17 maggio 2000, il tribunale, pronunciando con le forme del rito abbreviato, dichiarava il D. M. colpevole del reato ascrittogli e, con la concessione delle attenuanti generiche e con la diminuente di rito, lo condannava alla pena ? condizionalmente sospesa ? di mesi dieci di reclusione, oltre consequenziali statuizioni. Lo condannava, altresì, al risarcimento del danno in favore del Comune di Udine, costituitosi parte civile, liquidandolo nella somma di lire dieci milioni.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore dell’imputato, la Corte d’appello di Trieste, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava l’impugnata pronuncia, con ulteriori consequenziali statuizioni.

Avverso l’anzidetta pronuncia, lo stesso difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 606 per manifesta illogicità di motivazione ed erronea applicazione della legge penale. Lamenta, in particolare, che la Corte distrettuale abbia confermato il giudiziose di penale responsabilità dell’imputato, nonostante il compendio probatorio in atti non fosse idoneo e sufficiente. Sostine, in proposto, l’insussistenza del ritenuto falso in atto pubblico, posto che i verbali, che avevano sostituito i precedenti, non recavano falsità; né esisteva soppressione di atto pubblico, posto che il supporto cartaceo si trovava, regolarmente, custodito nell’archivio del Comando.

Nessuna manomissione od alterazione della sequenza dei dati nel sistema informatico sarebbe stata, del resto, possibile sia per l’immediata rilevabilità sia perché esisteva pur sempre copia degli atti ? asseritamene mancanti nell’elaboratore elettronico ? presso l’archivio cartaceo. Contesta l’assunto dei giudici di marito, secondo cui sarebbe stata necessaria una particolare procedura per forzare il sistema, e cioè per la modifica dei dati ivi inseriti, attraverso successive operazioni richieste dal relativo programma, non potendo, invece, escludersi la possibilità di un errore accidentale tale da comportare la non voluta cancellazione di quanto inserito in computer con il conseguente inserimento dei verbali che andavano a coprire i precedenti erroneamente cancellati. Né avrebbe potuto escludersi che altri colleghi, profittando dell’accensione del computer (che, come di consueto, aveva luogo ad inizio giornata mediante l’utilizzo di parola chiave), avesse effettuato, in assenza di esso istante, le operazioni contestate.

Ad ogni buon conto, parte ricorrente sostiene l’insussistenza del reato di cui all’art. 491 bis c.p., sul riflesso che la relativa configurazione dovrebbe essere limitata ai soli casi in cui il sistema informatico sia sostitutivo del supporto cartaceo, senza possibilità di estensione all’ipotesi in cui quel sistema coesista con quello cartaceo. La presenza della documentazione cartacea, costituente atto pubblico a tutti gli effetti, porta, infatti, a considerare il sistema informatico quale mero strumento di video scrittura, privo della benché minima valenza di atto pubblico.

Se così è. Esso istante avrebbe potuto essere chiamato a rispondere del solo reato di cui all’art. 485 c.p. ovvero del reato di frode informatico ai sensi e per gli effetti della L. n. 547/1993 con applicazione, quindi, di una pena di gran lunga inferiore.

2. ? La censura è infondata, a parte i pur vistosi profili di inammissibilità che la connotano, specie nella parte in cui appare intesa a porre in discussione, in questa sede, la sussistenza del fatto materiale o, quantomeno, la sua riconducibilità allo stesso ricorrente. Ed infatti, con insindacabile apprezzamento di merito, tale in quanto correttamente ed esaurientemente motivato, la Corte distrettuale ? nel rispondere ad identiche questioni di fatto sollevate in sede in gravame ? ha efficacemente indicato le ragione per le quali era da escludere qualsivoglia accidentalità nel trattamento dei dati informatici o la mera eventualità che altri, all’infuori del D., avesse potuto accedere al computer per porre in essere, a sua insaputa, l’interferenza manipolatoria.

Piuttosto, merita di essere considerato il profilo giuridico afferente alla riconducibilità della fattispecie al paradigma normativo dell’art. 491 bis c.p., relativo ai c.d. documenti informatici. La tesi difensiva, riproposta in questa sede, si fonda sull’assunto che l’alterazione dei dati archiviati in computer, senza corrispondente manipolazione del supporto cartaceo, sarebbe inidonea alla configurazione del falso materiale in contestazione, posto che la fattispecie delittuosa, emergente dal combinato disposto degli artt. 476 e 491 bis, si attaglierebbe soltanto ai casi in cui il sistema informatico sia privo di riscontro cartaceo, e dunque sostitutivo dello stesso, e non già alle ipotesi in cui all’archiviazione informatica farebbe riscontro la conservazione degli atti originali.

Il rilievo difensivo non è condivisibile in chiave squisitamente teorico, a parte le smentite che ha trovato in punto di fatto. Cominciando da queste ultime, va detto che la Corte distrettuale ha, innanzitutto, rilevato che, almeno per una decina di casi, non erano stati rinvenuti i supporti cartacei, di guisa che, almeno relativamente ad essi, la costruzione difensiva era avulsa dalla realtà fattuale. In secondo luogo, ha escluso che gli atti cartacei di supporto, ovverosia i preavvisi di contravvenzione, avessero autonoma valenza di atto pubblico, posto che l’elemento cartaceo serviva solo come base informativa da inserire nel sistema. Soltanto dopo la memorizzazione del dato e l’assegnazione ad esso di un numero progressivo, era possibile attribuire al preavviso un progetto di valenza probatoria, che sarebbe stata, però, definitivamente acquisita solo con la successiva stampa dei verbali di contravvenzione, completi di tutte le informazioni necessarie.

Tale rilievo, riguardante la dinamica di acquisizione dell’efficacia probatoria dell’atto, non infirma certamente la valenza giuridica della costruzione ritenuta in sentenza, posto che la seconda parte dell’art. 491 bis c.p. prevede due articolazioni dell’unitaria nozione di documento informatico, precisando che per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria (prima configurazione) o programmi specificamente destinati ad elaborarli (seconda configurazione).

La fattispecie oggetto di giudizio era riconducibile proprio a tale seconda ipotesi, posto che l’alterazione riguarda una programmazione di dati propedeutica alla formazione di un atto dotato di piena valenza probatoria.

Per quanto concerne, pi, il profilo teorico della configurazione giuridica, in rapporto alla presenza o meno del supporto cartaceo, questa Suprema Corte ha già avuto modo di precisare che l’archivio informatico di una pubblica amministrazione deve essere considerato alla stregua di un registro (costituito da materiale non cartaceo) tenuto da un soggetto pubblico, con la conseguenza che la condotta del pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni e facendo uso dei supporti tecnici di pertinenza della P.A., confezioni un falso atto informatico destinato a rimanere nella memoria dell’elaboratore, integra una falsità in atto pubblico, a secondo dei casi, materiale o ideologica (artt. 476 e 479 c.p.), ininfluente peraltro restando la circostanza che non sia stato stampato alcun documento cartaceo (cfr. Cass., sez. V, 18 giugno 2001, n. 32812, Rv. 219945; cfr., pure, id., sez. V, 27 gennaio 2005, n. 11930, Rv. 231706).

Alla stregua di quanto precede, può allora affermarsi il principio di diritto secondo cui la previsione dell’art. 491 bis c.p. riguarda tanto l’ipotesi in cui il sistema informatico sia supportato da riscontro cartaceo quanto quella in cui sia del tutto sostitutivo dello stesso, ricomprendendo, in entrambi i casi, le due distinte articolazioni della fattispecie penale: l’ipotesi che la falsità riguardi direttamente i dati o le informazioni dotati, già in sé, di rilevanza probatoria e l’ipotesi che riguardi, invece, contesti programmatici specificamente destinati ad elaborare dati ed informazioni, come prescritto dall’ultima parte della stessa norma sostanziale.

2. ? Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo. ?.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *