Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
volgimento del processo e motivi della decisione
1.- Con ordinanza in data 10 marzo 2010 il Tribunale di Sorveglianza di Catania, pronunciando nei confronti di S.P.G., revocava la misura alternativa della detenzione domiciliare applicata con provvedimento 10 gennaio 2008 dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1 ter, in luogo del differimento della esecuzione della pena quale previsto dagli artt. 146 e 147 c.p. Rilevava il Tribunale che il magistrato di sorveglianza di Catania il 14 dicembre 2009 aveva disposto, in via provvisoria, la sospensione della detenzione domiciliare in considerazione della violazione commessa dal condannato il 25 novembre precedente quando, ad un controllo delle forze dell’ordine, era stato trovato fuori dalla abitazione. Respinta in via preliminare l’istanza di rinvio presentata dal difensore per adesione all’astensione dalle udienze, riteneva il Tribunale che la detenzione domiciliare andasse revocata in via definitiva, indipendentemente dal riconoscimento nei fatti contestati del reato di evasione peraltro ravvisato dal Tribunale Monocratico di Catania nel provvedimento di convalida di arresto in flagranza in data (OMISSIS), in ragione della "gravità dell’episodio", commesso "da soggetto con plurimi ed infraquinquennali precedenti penali aventi ad oggetto gravissimi reati contro il patrimonio"; osservava, infatti, che era, da riscontrare nei fatti medesimi una gravissima violazione delle prescrizioni, conseguenti alla misura alternativa applicata, posta in essere dopo la reiterata diffida del magistrato di sorveglianza al rispetto del contenuto impositivo della misura.
2. – Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del condannato che motiva il gravame deducendo: a) inosservanza delle norme processuali ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 666 c.p.p., comma 4, e all’art. 178 c.p.p., lett. c) per avere il Tribunale disatteso, qualificandola come fattispecie di legittimo impedimento, la richiesta di rinvio dell’udienza motivata dall’adesione, dello stesso difensore e del collega nominato sostituto processuale, all’astensione proclamata dalle Camere Penali, nonostante l’assistito non avesse manifestato dissenso all’accoglimento della richiesta di rinvio; b) per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, per avere il Tribunale affermato che la misura andava revocata, in via definitiva, indipendentemente dal riconoscimento che i fatti contestati integrassero il delitto di evasione, senza considerare che, in sede di convalida dell’arresto, non era stata imposta misura cautelare nei confronti dello S., sul presupposto che si era trattato di un modesto allontanamento dall’abitazione, e soprattutto per non avere la motivazione dell’ordinanza impugnata assolutamente preso in considerazione il grave stato di salute in cui versa il predetto.
3.- Il Procuratore generale presso questa Corte depositava requisitoria con la quale chiedeva declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. – Il ricorso è parzialmente fondato.
4.1.- Privo di pregio e rilevanza è il primo motivo di doglianza. E’ pacifico per consolidata giurisprudenza, di questa Corte (ex plurimis Cass. S.U., sentenza 8.4.1998, n. 7551; Cass. Sez. 6, sentenza 23.9.2004, n. 40452; Cass. Sez. 2, Sentenza 11.11.2005, n. 44357, Cass. SU., sentenza 27.6.2006, n. 31461; Cass. Sez. 6, sentenza 19.2.2009, n. 14396) che l’assenza del difensore determinata dalla sua adesione all’astensione dalle udienze proclamata dall’ordine di appartenenza, deve essere qualificata come un impedimento a comparire, espressamente previsto quale causa di rinvio, valutabile dal giudice, nella sola ipotesi della sua ricorrenza in dibattimento.
Il disposto dell’art. 420 ter c.p.p., comma 5, in forza del quale il legittimo impedimento del difensore può costituire causa di rinvio dell’udienza preliminare, non si applica, infatti, agli altri procedimenti camerali, compreso quello di sorveglianza, normato dagli artt. 127, 666 e 678 c.p.p. secondo una diversa disciplina, rispetto al giudizio di cognizione ed all’udienza preliminare, delineata in base ad un assetto logico-sistematico dell’esercizio del diritto di difesa, modulato in ragione delle varie fasi e tipologie dei processi, che regge al vaglio di compatibilità con quanto previsto dalla Costituzione e con i principi affermati dalla CEDI) (Cass. S.U., sentenza 27.6.2006, n. 31461 citata; Corte Cost. Sent. n. 175/1996 e Sent. n. 321/2004).
4.2.- Merita, invece, accoglimento il secondo motivo di ricorso.
La detenzione domiciliare prevista dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1 ter, concedibile senza limiti di pena – per un periodo di tempo determinato trascorso il quale può, se del caso, essere prorogata – per i casi in cui sarebbe concedibile il differimento dell’esecuzione ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p., è stata introdotta, con la L. 27 maggio 1998, n. 165, art. 4, comma 1, lett. a), allo scopo di garantire per l’ipotesi di incompatibilità delle condizioni personali con la carcerazione, una forma di contenzione del condannato non lesiva del suo prevalente diritto alla salute.
La finalità della norma è, quindi, quella di consentire, qualora nel caso concreto l’esecuzione della pena contrasti con i principi costituzionali che la governano potendo assumere, nei confronti di persona gravemente inferma, un carattere smodatamente afflittivo e contrario al senso di umanità, una alternativa rispetto alla liberazione senza vincolo alcuno, che deriverebbe dall’applicazione del differimento dell’esecuzione ex artt. 146 e 147 c.p., di condannati per reati di specifica gravità e di notevole allarme sociale, in capo ai quali residui, nonostante la severità delle condizioni di salute, una apprezzabile pericolosità soggettiva (Cass. Sez. 1, sentenza 26.5.1999, n.3894; Cass. Sez. 1, sentenza 22.12.1999, n. 7315; Cass. Sez. 1, sentenza 28.1.2000, n. 665; Cass. Sez. fer., sentenza 21.8.2008, n. 34286).
La finalità dell’istituto della detenzione domiciliare c.d. umanitaria comporta che il tribunale di sorveglianza, come nel concederla è tenuto procedere ad una duplice valutazione, cioè deve prima verificare la sussistenza delle condizioni per il differimento e, poi, disporla, in alternativa, in presenza di ragioni di opportunità particolari, anche nel revocarla è tenuto vagliare: da un lato le condotte incompatibili con la prosecuzione poste in essere dal detenuto domiciliare, dall’altro se le sue condizioni di salute, nell’attualità, siano ancora particolarmente gravi e tali da giustificare la impraticabilità dell’espiazione in regime carcerario. Solo in esito al puntuale e logico raffronto tra le condotte addebitate e le condizioni sanitarie del soggetto, il cui diritto alla salute può essere compresso solo in presenza di comportamenti particolarmente gravi, assolutamente incompatibili con una situazione diversa dalla detenzione in carcere, il giudice può pervenire alla decisione di revocare la detenzione domiciliare umanitaria.
Ne consegue che in sede di revoca della detenzione domiciliare concessa in luogo del differimento, facoltativo o obbligatorio, della pena per ragioni di salute, è imprescindibile la valutazione comparativa, nel caso di specie mancata ed a cui si dovrà provvedere in sede di rinvio, delle esigenze di tutela della collettività con quelle di rispetto del principio di umanità della pena (cfr. Cass. Sez. ter., sentenza 21.8.200, n. 34286 cit). Il Tribunale di Sorveglianza di Catania nel caso in esame ha ricondotto le ragioni della disposta revoca esclusivamente alla, ritenuta, "gravità dell’episodio" ascritto, in termini di assoluta gravità della violazione delle prescrizioni imposte, senza neppure prendere in considerazione le condizioni di salute dello S.. Si impone, pertanto, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q.M.
La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Catania.
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