Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato tra il 15 ed il 20 maggio 1996 D. S.B. conveniva in giudizio, dinanzi al Pretore di Asiago, il Comune della predetta città, nonchè P.G., + ALTRI OMESSI per sentire accertare, nei confronti del primo, quale autore di atti materiali ed amministrativi implicanti l’arbitraria occupazione di parte del fondo (contraddistinto con i mappali 215 e 69 del foglio 4, sezione A) di comproprietà dell’attore, al fine dell’ampliamento della strada interponderale di uso pubblico denominata (OMISSIS), degli altri, quali concreti beneficiari dell’ampliamento ovvero quali autori di un’azione di reintegra nel possesso, ritenuta fondata dal Pretore di Asiago con sentenza n. 12 del 3 aprile 1995. il diritto di proprietà dell’attore sull’intero fondo e la libertà dello stesso da ogni servitù, con condanna dei convenuti a cessare qualsiasi attività limitativa del godimento del fondo da parte dell’attore, oltre al risarcimento dei danni conseguenti all’arbitrario godimento del fondo instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, rimasti contumaci i soli P.G., + ALTRI OMESSI e spiegata dal Comune in via subordinata e riconvenzionale domanda per l’accertamento dell’acquisto per accessione invertita delle porzioni di superficie eventualmente incorporate dalla strada (OMISSIS), all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale di Bassano del Grappa (già Pretore di Asiago) adito, disattese le eccezioni riconvenzionali del Comune, accoglieva le domande dell’attore di rivendica e risarcimento dei danni, condannando i convenuti alla restituzione delle porzioni indebitamente occupate del fondo censito ai mappali 69 e 215, ed in solido del Comune di Asiago e di S. L., + ALTRI OMESSI al risarcimento dei danni nella misura di L. 10.000.000.
In virtù di rituale appello interposto da M.G., C.M. e C.S.F., cui aveva aderito il Comune di Asiago – che con appello autonomo aveva, altresì, chiesto il rigetto delle domande proposte dall’appellato – con il quale lamentavano le incertezze in cui era incorso il giudice di prime cure nell’individuazione del confine del mappale 69, nonchè di quello n. 215 non interessato dai pretesi sconfinamenti, con incertezza dell’oggetto del contendere e conseguente nullità della domanda, nonchè dell’esito dell’esperita CTU, anche quanto alla condanna a risarcimento dei danni, la Corte di Appello di Venezia, nella resistenza dell’appellato D.S., respingeva l’appello. A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale – dichiarato nullo l’intervento successivo di D. e M.M., quali successori a titolo particolare di C.M. e M. G. – affermava che la domanda introduttiva di rivendica era puntualmente correlata al recupero del pieno possesso del fondo contraddistinto con i mappali 215 e 69 in relazione agli spossessamenti di cui all’azione spiegata dal Comune di Asiago, analiticamente descritta con richiamo agli atti amministrativi e alle pronunce giudiziarie intervenute nell’arco di tempo compreso tra il 1973 ed il 1995, enunciati dal primo giudice e al giudizio possessorio utilmente azionato dinanzi ai Pretore di Asiago dagli appellanti, per cui a torto ne era stata contestata la determinatezza.
Aggiungeva, inoltre, che l’incongruità dei risultati di confinamento operata dal C.T.U. – supportata da ampia documentazione e da indagini accurate – rimaneva una valutazione degli appellanti, non essendo le doglianze sulla consulenza supportate dall’allegazione di errori di metodi o di calcolo. Per le stesse ragioni, accertato lo spossessamento ai danni dell’appellato, prive di fondamento erano anche le doglianze sulla statuizione circa la condanna al risarcimento dei danni.
Quanto all’autonomo gravame proposto dal Comune di Asiago, con cui lamentava l’accoglimento della domanda attorea nonostante il mancato assolvimento dell’onere probatorio ex art. 948 c.c. il giudice dell’impugnazione evidenziava che il diritto di proprietà risultava accertato dal contesto di ultraventennale rapporto conflittuale tra il medesimo Comune e l’appellato in ordine al possesso della fascia oggetto di rivendica, laddove quest’ultimo veniva incontestabilmente considerato proprietario del fondo di cui ai mappali 215 e 69.
Del pari non veniva accolta dalla Corte territoriale la richiesta formulata dal Comune di Asiago di integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. nei confronti dei soggetti che avevano partecipato al giudizio di primo grado.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Asiago: che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito con controricorso il D.S..
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 331 c.p.c. per nullità dell’ordinanza emessa in data 7 maggio 2002, oltre che della impugnata sentenza, giacchè la dichiarata non necessarietà dell’integrazione dei contraddicono era stata coniugata con un’unica fattispecie, l’azione di rivendica, e non considera la concreta presenza nella fattispecie di pluralità di domande tra loro dipendenti, quali l’azione di rivendica e di rilascio, da una parte, e di risarcimento danno da illegittima occupazione, dall’altro determinante una situazione di litisconsorzio necessario processuale, nell’ambito di cause tra loro dipendenti.
L’art. 331 c.p.c. dispone che se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio, fissando i termine nel quale la notificazione deve essere eseguita e, se è necessario, l’udienza di comparizione. La giurisprudenza, al fine di evitare contrasto di giudicati e di assicurare la trattazione delle impugnazioni in un unico processo, nel procedimento con pluralità di parti ha ritenuto sussistere litisconsorzio necessario in appello allorchè si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ovvero la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale e non anche quando si versi nella distinta ipotesi di più cause che avrebbero potuto essere trattate separatamente e solo per motivi contingenti e di economia processuale sono state trattate in un solo processo, per le quali, in applicazione del combinato disposto degli artt. 326 e 332 c.p.c., è esclusa la necessità del litisconsorzio (in tal senso v. Cass., Sez. L, n. 1825/2007).
Nella fattispecie in esame si agisce, in via principale, con l’azione di rivendicazione, che di per sè non da luogo ad ipotesi di litisconsorzio necessario, come riconosciuto dallo stesso Comune ricorrente, e la circostanza che nello stesso giudizio siano state formulate ulteriori domande quali quella di rilascio della porzione di fondo occupata e di risarcimento del danno, che sono consequenziali alla domanda principale, è del tutto irrilevante ai fini della dedotta necessità di integrazione del contraddittorio.
Infatti, per quanto attiene alla richiesta restitutoria, trattandosi di azione strettamente collegata alla principale, mutua della stessa i caratteri e quindi la natura di causa scindibile nell’ipotesi in cui siano più gli autori dell’accertato spoglio e per questo obbligati al rilascio.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, cumulativamente proposta nei confronti di più soggetti corresponsabili di uno stesso fatto illecito, pur sorgendo in capo ai coautori un vincolo di solidarietà passiva (a norma dell’art. 2055 c.c.), in sede di impugnazione non ve dubbio che non dia luogo a cause inscindibili non essendo in contestazione, tra più soggetti, l’individuazione di un unico obbligato.
Con il secondo e con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 948 c.c. per violazione di legge oltre che per mancanza e/o contraddittoria motivazione su un punto essenziale della causa, quale l’accertamento del diritto dominicale del resistente sui fondi relativi ai mappali n. 69 e n. 215, da cui peraltro si sarebbe fatto discendere l’accoglimento delle ulteriori domande di restituzione del bene rivendicato e di risarcimento del danno, che in concreto risulterebbero prive dell’indispensabile presupposto del legittimo riconoscimento in capo al rivendicante della proprietà della res. E’ evidente il collegamento fra le due censure che, pertanto, vanno esaminate congiuntamente.
A riguardo va subito richiamato il costante indirizzo di questa Corte secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che i previsti vizi di violazione di legge e di motivazione: quest’ultimo sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, possono legittimamente dirsi sussistenti solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando sussiste insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione dei procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. ex plurimis: Cass. 22 maggio 2001 n. 6975; Cass. 16 novembre 2000 n. 14858: Cass., Sez. Un., 27 dicembre 1997 n. 13045).
Orbene, nella fattispecie in esame il giudice del gravame, nel pervenire sui punti in esame alle sue conclusioni, ha dato un giudizio scaturente da una corretta valutazione di dati fattuali emergenti dalle risultanze istruttorie ed ha supportato dette conclusioni con una motivazione adeguata, priva di salti logici e del tutto corretta su piano giuridico, sicchè le sue statuizioni non sono suscettibili di alcuna censura in questa sede di legittimità.
In particolare la sentenza impugnata ha fatto, contrariamente a quanto assunto da parte ricorrente, puntuale applicazione di ineccepibili principi giuridici laddove ha ritenuto assolto l’onere della prova del diritto di proprietà su detti mappali riconoscendo che la titolarità dei beni rivendicati da parte del D.S. non risulta contestato dalle altre parti, proprio alla luce delle trascrizioni dei registri immobiliari, degli atti amministrativi comunali che hanno dato luogo a "ultraventennali rapporti conflittuali con il Comune di Asiago da cui emerge il pieno riconoscimento della titolarità del diritto di proprietà in capo al D.S." (v pag. 9 della decisione impugnata). Detta risultanza probatoria non può certo ritenersi contraddittoria rispetto alla circostanza di avere le stesse parti esercitato – con esito positivo (v. sentenza del Pretore di Asiago n 12 del 3.4.1995) – azione di spoglio in ordine ai medesimi beni in cui al D.S. era ricollegato il diverso status di "spogliatore". Infatti non sussiste alcun contrasto logico – giuridico fra l’esercizio di azione possessoria e di azione petitoria a parti invertite, in quanto trattasi di posizioni soggettive di assoluta diversità sia quanto ad animus sia quanto a corpus. L’azione di spoglio in quanto tale e per le finalità che le sono proprie può essere positivamente esercitata anche dal detentore.
Per il resto è sottratta alla possibilità di sindacato in sede di legittimità ogni valutazione sulle risultanze processuali.
Dal riconoscimento del pieno diritto di proprietà in capo al D. S. sulla fascia di terreno discendono gli obblighi restitutori, nonchè il diritto ad ottenere il risarcimento del danno sofferto a seguito degli impedimenti frapposti al libero godimento del bene.
Il terzo motivo, in quanto consequenziale, rimane assorbito.
Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.
Al rigetto consegue, come per legge, la condanna di parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione in favore del resistente delle spese dei giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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