Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa il 10 dicembre 2007 a seguito della celebrazione del procedimento nelle forme del rito abbreviato, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, il G.U.P. presso il Tribunale di Palermo, dichiarava A.S., psicologo, responsabile del reato continuato di detenzione di materiale pedopornografico, previsto e punito dagli artt. 81 cpv. e 600 quater c.p., perchè con più azioni esecutive di un unico disegno criminoso, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter, attraverso l’accesso ad internet, anche mediante transazioni effettuate con carta di credito (due il 7.11.2000, una di L. 36.199 e l’altra di L. 60.048), consapevolmente si procurava o comunque disponeva di materiale pornografico, che scaricava su tre p.c. a lui sequestrati in data (OMISSIS), prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di anni diciotto (acc. in (OMISSIS) fino al (OMISSIS)). E per l’effetto condannava l’imputato, ritenuta la contestata continuazione e tenuto conto della riduzione prevista per il rito prescelto, alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
L’imputato veniva inoltre dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e legalmente, nonchè sospeso dall’esercizio della potestà di genitore, durante l’espiazione della pena; veniva, altresì, sospeso dall’esercizio della professione di psicologo per la durata di anni tre e dichiarato interdetto da qualsiasi incarico nelle scuole di ogni genere e grado, nonchè da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori; essendo stato dichiarato socialmente pericoloso, veniva disposta nei suoi confronti la misura di sicurezza della libertà vigilata, per la durata di anni due, da eseguire al cessare dell’esecuzione della pena, con le consequenziali statuizioni in ordine alla confisca e distruzione del materiale in sequestro.
2. La sentenza fondava il giudizio di responsabilità sugli atti acquisiti al fascicolo del P.M., legittimamente utilizzabili in ragione del rito prescelto, nonchè sulle integrazioni probatorie alle quali la difesa aveva subordinato l’ammissione al giudizio abbreviato, ovvero l’esame del consulente di parte ing. F. e l’audizione dell’agente di Polizia P.M., il quale aveva materialmente provveduto all’analisi del contenuto degli hard disk dei computers sequestrati all’imputato, ed infine sulle ulteriori integrazioni probatorie, ritenute necessarie dal G.U.P. al fine della decisione ex art. 441 c.p.p.,, comma 5, ovvero perizia informatica sul materiale in sequestro (dapprima affidata ai Dott.ri A. I. e C.A. e successivamente al Dott. L.B. M., della Polizia Postale di Catania) nonchè perizia psichiatrica sull’imputato (espletata dal dott. B.G., specialista in malattie nervose e mentali, con l’ausilio della psicologa dott.ssa D.F.G.) ed infine sull’esame dello stesso imputato, come richiesto dal suo difensore.
3. Avverso la sentenza proponeva appello l’imputato che in particolare richiedeva la riapertura dell’istruzione dibattimentale, ex art. 603 c.p.p., al fine di acquisire due emails (quella inviata dal dott. F.C.M. all’imputato e quella da quest’ultimo speditagli in risposta), facenti riferimento all’articolo sulla pedopornografia a firma dell’ A., pubblicato il 25 giugno 2005 sul periodico Social News, per corroborare l’assunto difensivo dell’interesse scientifico dell’imputato per detta materia; ha richiesto, altresì, di risentire i dott.ri B., V. e l’ing. F., per ulteriori precisazioni in ordine alla personalità dell’imputato ed alla non volontarietà delle acquisizioni del materiale pedo-pornografico da parte dello stesso.
Quindi, nel merito, proponeva plurimi motivi di censura, con i quali chiedeva innanzi tutto l’assoluzione con la formula "per non avere commesso il fatto o perchè il fatto non costituisce reato".
La difesa dell’appellante sosteneva, in sintesi, a tal fine che il semplice fatto della navigazione attraverso internet in siti pedo- pornografici e la mera acquisizione automatica delle immagini vietate nella memoria del computer non può fare presupporre la specifica volontà di disporre o di procurarsi il materiale pedo-pornografico vietato dalla norma, di cui alla contestazione; in particolare rilevandosi che, la modifica operata dal legislatore nel 2006 dell’art. 600 quater c.p., sostituendo il verbo "disporre" con quello "detenere", avrebbe ulteriormente chiarito che il legislatore non ha voluto punire la semplice consultazione dei siti internet a contenuto pedo-pornografico quando a tale consultazione non sia seguita lo scaricamento volontariamente compiuto dall’agente su un dischetto o su un supporto informatico esterno alla memoria; solo questa condotta integrerebbe l’effettivo procurarsi delle immagini e dunque l’effettivo "disporre" vietato dalla legge.
In linea subordinata la difesa dell’appellante sosteneva che di essersi limitato ad esercitare il diritto alla ricerca scientifica che gli competeva quale psicologo, ai sensi della L. n. 56 del 1989, art. 1, che regolamenta l’ordinamento della professione di psicologo, e proprio a causa della sua professione era entrato in contatto con gruppi di discussione e siti che trattavano argomenti di pedofilia (anche acquistando il diritto di entrare nei relativi siti mediante l’esborso di somme di denaro), al fine di effettuare una ricerca sulle parafilie ed in particolare sulla pedofilia e sulla zoofilia;
In ulteriore subordine la difesa dell’appellante chiedeva limitarsi nel minimo assoluto la pena inflitta limitandola alla sola pena della multa e contenendo l’aumento per continuazione, tenuto conto dello stato di incensuratezza e dei criteri di cui all’art. 133 c.p..
Chiedeva inoltre concedersi le circostanze attenuanti generiche, in considerazione dell’incensuratezza e della positiva personalità dell’imputato; eliminarsi la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione di psicologo, disposta dal primo giudice ai sensi dell’art. 31 c.p., non potendosi configurare alcun abuso o violazione dei doveri inerenti la professione di psicologo da parte dell’appellante; eliminarsi le altre pene accessorie dell’interdizione da incarichi in scuole pubbliche nonchè da uffici, servizi in istituzioni o strutture pubbliche e private frequentate da minori, essendo la disposizione di cui all’art. 600 septies, comma ultimo, applicata dal primo giudice, entrata in vigore successivamente alla commissione del fatto in contestazione e dunque in violazione del disposto di cui all’art. 25 Cost., comma 2, e art. 2 c.p.; eliminarsi, infine, la misura di sicurezza della libertà vigilata, non risultando, in alcun modo, provata la pericolosità sociale dell’imputato.
4. La Corte ha ammesso la produzione documentale di due e-mails, richiesta dalla difesa e, ritenendo necessaria al fine della decisione, ha disposto la rinnovazione parziale dell’istruttoria, con ordinanza del 18.02.2009, al fine di richiedere al perito informatico, dott. L.B.M., ulteriori chiarimenti in ordine al contenuto dei suoi accertamenti.
La Corte, dopo l’esame del predetto perito e le difese delle parti, pronunciava sentenza in data 3 febbraio 2010 e, in parziale riforma della sentenza resa il 10 dicembre 2007 dal G.U.P. del Tribunale di Palermo, appellata dall’imputato A.S., riduceva la pena inflittagli dal primo giudice ad anni tre di reclusione. Sostituiva la sanzione accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Eliminava tutte le altre sanzioni accessorie e la misura di sicurezza. Confermava nel resto l’impugnata sentenza.
5. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con undici motivi.
Motivi della decisione
1. Il ricorso, articolato in undici motivi, è fondato solo limitatamente alla censura relativa alla determinazione della pena;
è invece infondato nel resto.
2. Il primo motivo, con cui si deduce che la semplice visione di immagini pedopornografiche non costituisce reato, è infondato.
L’art. 600 quater, aggiunto dalla L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 4, e successivamente così sostituito dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38, art. 3, sanziona la detenzione di materiale pornografico. Nella specie, considerata l’epoca della condotta contestata all’imputato accertata fino al 15 aprile 2003, occorre tener conto della formulazione del reato quale previsto dalla L. n. 269 del 1998, art. 4.
La condotta penalmente rilevante consiste(va) nel fatto nel fatto di procurarsi consapevolmente o di disporre di materiale pornografico realizzato prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, sempre che la condotta non ricada nelle più gravi ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p. (pornografia minorile).
La L. n. 38 del 2006 ha inasprito tale repressione penale non solo prevedendo un’aggravante (la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità), ma anche riformulando parzialmente la fattispecie.
Soprattutto ha sostituito l’elemento costitutivo della produzione di materiale pornografico mediante lo sfruttamento sessuale di minori – per integrare il quale era necessario, ma anche sufficiente, l’approfittamento della condizione propria del minore (Cass., Sez. Ili, 19 maggio 2010-22 settembre 2010, n. 34201) – con quello, di più ampia portata, della realizzazione dello stesso mediante la mera utilizzazione di minori. Inoltre ha sostituito il fatto di disporre di materiale pornografico con la mera detenzione.
Orbene, nella condotta di "procurarsi" e/o di "disporre", da considerarsi unitariamente (Cass., Sez. 3^ 9 ottobre 2008 – 19 novembre 2008, n. 43189) rientra anche la "visione" di immagini pedopornografiche scaricate al computer perchè, per un tempo anche limitato alla sola visione, le immagini sono nella disponibilità dell’agente. Cfr. Cass., Sez. 3^, 20 settembre 2007 – 12 novembre 2007, n. 41570, che ha affermato che integra il reato previsto dall’art. 600 quater c.p. la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico "scaricato" (mediante operazione di "downloading") da un sito Internet a pagamento, in quanto il comportamento di chi accede al sito e versa gli importi richiesti per procurarsi il materiale pedopornografico offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce.
In punto di fatto poi, come risulta dall’accertamento tecnico di cui da atto la sentenza impugnata, un elevato numero di tali immagini erano negli hardisks dei computers dell’ A. in modalità "non allocata"; ossia erano file avviati al cestino e quindi "cancellati".
Ma erano pur sempre disponibili mediante semplice riattivazione dell’accesso al file. Quindi in realtà erano "detenuti" e pertanto "disponibili".
Solo per i file definitivamente cancellati si può dire che fosse cessata la "disponibilità".
Del resto la sentenza impugnata, che ricostruisce dettagliatamente la condotta contestata all’imputato, da atto che quest’ultimo ha ammesso di avere non solo consapevolmente scaricato da internet tali immagini, ma anche di averne preso visione, prima di procedere alle operazioni di cancellazione, escludendo così l’involontario scaricamento di tale tipo di materiale dai siti pedopornografici.
3. Inammissibili o comunque infondati sono gli altri motivi di ricorso, salvi l’ottavo ed il nono per i quali v. infra.
Inammissibile è innanzi tutto la doglianza del ricorrente che deduce che la detenzione della foto della bambina S., non scaricata da Internet, non sia stata specificamente contestata. Si tratta infatti di una deduzione nuova e comunque il fatto costituisce pur sempre detenzione di materiale pedopornografico e quindi rientra nella condotta contestata all’imputato.
Ininfluente è la deduzione in ordine all’inammissibilità della perizia psichiatrica sull’imputato, non essendo stata effettuata alcuna perizia – in violazione dell’art. 220 c.p.p., comma 2, – per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
Nè è invocabile, come scriminante, l’art. 51 c.p., ossia l’esercizio di un diritto – quello alla ricerca scientifica – neppure in forma putativa, scriminante invocata in ragione della professione di psicologo dell’imputato.
Si tratta di una inammissibile censura in fatto, giacchè l’impugnata sentenza contiene una valutazione di merito, sufficientemente e non contraddittoriamente motivata, della Corte territoriale, che in proposito ha osservato che l’imputato non è stato in grado di fornire alcuna seria prova dell’effettivo compimento, nel periodo in contestazione, di ricerche aventi ad oggetto patologie riguardanti anche la pedofilia, tali da giustificare la tipologia e la quantità di navigazione dallo stesso effettuata su Internet (nessuna coeva pubblicazione di articoli scientifici aventi tale oggetto, nè tanto meno casistica clinica esaminata nel corso della propria esperienza professionale).
Motivata è anche la valutazione fatta dalla Corte d’appello in ordine alla non meritevolezza delle attenuanti generiche e quindi inammissibile è la relativa censura dell’imputato. Cfr. Cass., Sez. 1^, 20 ottobre 1994 – 26 gennaio 1995, n. 866, che ha puntualizzato – e qui si ribadisce – che l’art. 62 bis cod. pen., che prevede le attenuanti generiche, attribuisce al giudice il potere di prendere in considerazione altre circostanze diverse da quelle indicate nell’art. 62 del citato codice, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena; e quindi il giudice di merito non è tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate o prospettabili dalla difesa, ma è sufficiente che indichi i motivi per i quali non ritiene di esercitare il potere discrezionale attribuitogli dall’art. 62 bis cod. pen..
4. E’ invece fondata la doglianza del ricorrente in ordine alla determinazione della pena (ottavo e nono motivo).
L’art. 600 quater prevedeva – prima della legge n. 38 del 2006 cit. – la pena la reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a L. tre milioni. La pena detentiva era quindi alternativa a quella pecuniaria e solo per effetto dell’inasprimento voluto dal legislatore nel 2006 il vigente art. 600 quater prevede la pena congiunta.
Quindi, dovendo applicarsi ratione temporis l’art. 600 quater nella formulazione della L. 3 agosto 1998, n. 269, art. 4, l’escursione tra il minimo ed il massimo della pena in concreto irrogabile dal giudice di merito era ampia in termini qualitativi e quantitativi.
Ed in effetti nella specie il primo giudice ha ritenuto inizialmente di irrogare all’imputato una pena pecuniaria con decreto penale, poi da quest’ultimo opposto. Successivamente però all’esito del giudizio abbreviato, il g.u.p., nel confermare la ritenuta responsabilità dell’imputato, ha invece valutato in termini molto più gravi la condotta contestata all’imputato irrogandogli non solo una pena detentiva, invece che pecuniaria, ma partendo anche da una pena base vicina al massimo che la Corte d’appello, pur modificando parzialmente il regime sanzionatorio, ha fissato in anni due e mesi sei di reclusione (pena poi incrementata di ulteriori anni due di reclusione ex art. 81 cpv. c.p. e diminuita di un terzo per la scelta del rito).
E’ vero che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen..
Ma – come puntualizzato da questa Corte (Cass., sez. 4^, 20 settembre 2004 – 26 ottobre 2004, n. 41702) – non è necessaria una specifica motivazione solo se la scelta del giudice risulti contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale.
Invece, qualora il giudice reputi di irrogare una pena in misura molto elevata e prossima al massimo edittale, deve indicare esplicitamente e dettagliatamente i motivi della sua decisione, con specifico riferimento alle modalità del fatto, della gravità del danno o del pericolo e ad ogni altra circostanza relativa alla capacità a delinquere del reo (Cass., sez. 3^, 13 marzo 1989 – 27 aprile 1989, n. 62759). Ciò che la Corte d’appello ha fatto in modo inadeguato, anche valorizzando – in termini negativi – le dichiarazioni difensive dell’imputato che ha giustificato la sua condotta sostenendo che le immagini pedopornografiche gli servivano per una ricerca sulla pedofilia in ragione della sua professione di psicologo. La Corte d’appello – come già rilevato – ha disatteso, con sufficiente e non contraddittoria motivazione, questa prospettazione difensiva anche sub specie di esercizio putativo di un diritto (alla ricerca scientifica); ma poi, nella determinazione della pena, oltre a negare le attenuanti generiche (per le quali si può rilevare anche il comportamento processuale dell’imputato:
Cass., sez. 2^, 27 febbraio 1997 – 27 marzo 1997, n. 2889), ha in sostanza – ed inammissibilmente – penalizzato l’imputato per come si era difeso ponendo in rilievo – proprio "al fine di valutare la graduazione della pena" – che "l’imputato ha tentato, sia pure a fini difensivi, di sfruttare l’esercizio della propria professione di psicologo, per occultare la propria personale propensione a procacciarsi immagini pedo-pornografiche". Deve invece affermarsi che dal principio "nemo tenetur se detegere" più volte affermato da questa Corte (ex plurimis Cass., sez. 5^, 14 febbraio 2006 – 6 aprile 2006, n. 12182) e dalla giurisprudenza costituzionale (C. cost., n. 381 del 2006; n. 294 del 2000), discende anche che la ritenuta inattendibilità della tesi difensiva dell’imputato, il quale può anche tacere a fronte della contestazione mossagli, non costituisce elemento rilevante ai sensi dell’art. 133 c.p. al fine di valutare la gravità del reato commesso.
In questa parte la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla stessa Corte d’appello perchè proceda alla rideterminazione del regime sanzionatorio.
5. Quanto alle ulteriori censure contenute nel ricorso, il decimo motivo, relativo alla durata dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, è assorbito dipendendo essa dalla pena base (senza l’aumento per la continuazione: Cass., sez. 1^, 26 giugno 2007 – 12 luglio 2007, n. 27700) che la Corte d’appello è chiamata a rideterminare in sede di giudizio di rinvio.
L’undicesimo motivo, relativo alla prescrizione del reato, è infondato avendo questa Corte (Cass., sez. 3^, 24 giugno 2010-28 luglio 2010, n. 29721) già chiarito che il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (art. 600 quater cod. pen.) ha natura di reato permanente, la cui consumazione inizia nel momento in cui il reo si procura il materiale e cessa nel momento in cui quest’ultimo ne perde la disponibilità, sicchè il momento di cessazione della permanenza può essere fissato in quello in cui venne eseguito il sequestro del materiale. Marginalmente può poi ricordarsi che Cass., sez. 4^, 27 gennaio 2010 – 1 luglio 2010, n. 24732, ha affermato che il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità penale impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento.
6. In conclusione il ricorso va accolto limitatamente alla determinazione della pena con rinvio alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo limitatamente alla determinazione della pena; rigetta nel resto.
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