Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Il presente ricorso è stato proposto contro l’ordinanza del Tribunale per il Riesame confermativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di persona coinvolta in più fatti di contrabbando doganale.
Per maggior comprensione, si impone un breve inquadramento della vicenda che riguarda il transito in Italia di containers, provenienti dal continente (OMISSIS), attraverso il c.d. sistema della "immissione in libera pratica" (L. n. 427 del 1993, art. 50 bis). In base a tale sistema, il doganalista o spedizioniere, all’arrivo della merce, presenta all’ufficio Dogane, una dichiarazioni di immissione in libera pratica (che consente il pagamento dei soli dazi doganali – esclusa l’IVA – proporzionalmente alla quantità ed al valore delle merci indicate nella dichiarazione). In tal modo, le merci potranno stazionare nel nostro Paese ma non potranno essere messe in commercio se non dopo il pagamento dell’IVA che avviene mediante autofattura rilasciata dall’importatore al doganalista che, a propria volta, la deposita all’Ufficio Dogane.
Nella specie, però, si contesta l’evasione dell’Iva, vale a dire dell’ultimo passaggio, grazie all’artificio di individuare come importatore, vale a dire, come soggetto obbligato al pagamento dell’IVA, una società giuridicamente inesistente ovvero del tutto ignara dell’avvenuto trasporto della merce.
Secondo l’accusa, il risultato avviene attraverso l’esibizione, all’Ufficio delle Dogane, di un corredo di documenti falsi (quali la dichiarazione doganale e l’autofattura) che induce in errore l’Ufficio delle Dogane, sia, circa il soggetto realmente tenuto a versare l’Iva, sia, in ordine all’importo dovuto a tale titolo.
In base alle indagini, l’attività delinquenziale ipotizzata era posta in essere da una decina di soggetti che si muovevano in diversi contesti geografici operanti tra (OMISSIS).
Tra i personaggi emersi, figura, in particolare, S.G., partecipe alla predisposizione dei documenti falsi e, talvolta, effettivo destinatario della merce sottratta all’Iva. Stando alla contestazione mossa, M. agiva, per lo più, in accordo con S. come effettivo destinatario delle merci e, quindi, realmente interessato all’evasione doganale.
Come detto, il Tribunale per il Riesame, avendo ritenuto l’esistenza di una adeguata provvista indiziaria e di esigenze cautelari, confermato la misura custodiate degli arresti domiciliari disposta nei suoi confronti.
Avverso tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso deducendo:
1) nullità dell’ordinanza per vizio di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del delitto di falso. In realtà, si sostiene, la contestazione degli artt. 48 e 479 c.p. non è appropriata al caso di specie perchè la dichiarazione falsa non è contenuta in un atto fidefacente. La falsità, in ordine alla identità del soggetto destinatario della merce è contenuta in una dichiarazione di parte sottoscritta unicamente dal privato e si tratta di mero atto propedeutico all’accertamento da parte dell’ufficio competente. Ogni dichiarazione doganale contiene la sigla "CD" (controllo doganale) a significare che gli effetti si svolgeranno solo all’esito del controllo documentale richiesto dall’agente ricevente;
2) vizio di motivazione in ordine ad una serie di elementi sopravvenuti all’emissione del provvedimento cautelare. Si fa notare che il ricorrente è mero spedizioniere che ricevette mandato da tale S. a rappresentare la ditta Global International e si contesta l’interpretazione data dall’accusa ad una conversazione telefonica intercettata tra S. e M.. Se essa fosse stata interpretata nel senso giusto avrebbe dimostrato l’assoluta inconsapevolezza dell’odierno ricorrente. Si contestano anche la valutazioni in ordine al valore della merce ed alla conseguente evasione IVA sottolineando che l’esame delle fatture permetterebbe di pervenire ad un valore commerciale della merce pari a quello dichiarato. Del resto, si ricorda che – anche per questa S.C. – lo spedizioniere non può essere chiamato a rispondere del mancato pagamento dell’imposta dovuta per l’importazione di merci da lui effettuate in nome e per conto della ditta importatrice. E’, quindi, da escludere un potere di sindacato da parte dello spedizioniere nei confronti del mandante per l’eventuale sovraffatturazione della merce.
In particolare, ai fini di provare al inconsapevolezza del ricorrente, si citano alcune conversazioni telefoniche;
3) nullità dell’ordinanza in punto di motivazione sul reato associativo. Si evidenzia, in particolare, che si è in presenza di due soli fatti illeciti commessi a distanza di otto mesi e che sono differenti sia oggettivamente che soggettivamente.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
2. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Gli argomenti svolti a sostegno del primo motivo si fondano, innanzitutto, su un equivoco. Non è, infatti, conferente il richiamo ad atti "fidefacenti" dal momento che, è principio consolidato, risalente nel tempo (su. 10.10.81, Di Carlo, Rv. 151245) che, ai fini penali, la nozione di atto pubblico è certamente più ampia di quella desumibile dagli artt. 2699 e 2700 c.c. ed in essa vi rientrano, pertanto, tutti quegli atti, fidefacenti o non, comunque redatti da un pubblico ufficiale.
Se, quindi, come nella specie, il p.u. ha, per la parte di propria competenza, attestato erroneamente l’identità del soggetto tenuto al versamento dell’IVA ovvero l’ammontare della somma dovuta a tale titolo (perchè a ciò indotto da documentazione mendace fornitagli dal privato), è evidente che egli ha commesso un falso in atto pubblico (ancorchè non fidefacente) del quale è chiamato a rispondere il privato che, artatamente, lo ha indotto in errore con dichiarazioni contrarie al vero destinate a confluire nell’atto pubblico. Decisamente suggestivo ed inconsistente è, quindi, lo sforzo difensivo di invertire i piani della prova arrivando a sostenere che la responsabilità del falso sia del solo pubblico ufficiale per omesso controllo sulla veridicità delle dichiarazioni consegnategli. E’ evidente, infatti – più che mai in un sistema come quello della c.d. "immissione in libera pratica" che si fonda sulla un autofatturazione da parte del privato – che la premessa logica debba essere rappresentata dalla lealtà del comportamento del privato e dalla genuinità dei dati da lui forniti. Diversamente, ne risentirebbe la speditezza dei traffici commerciali e ne conseguirebbe la inutilità anche di un siffatto sistema.
Per il resto, il provvedimento impugnato è chiaro nel sottolineare come la condotta incriminata si sia "sostanzialmente dipanata secondo un clichè abbastanza costante ed invariato nel tempo, caratterizzato dall’esibizione all’Ufficio delle Dogane, per mezzo dello spedizioniere, di una dichiarazione doganale avente un contenuto mendace per quanto concerne l’identificazione dell’importatore ed in taluni casi anche per ciò che attiene ai fattori determinanti il calcolo dell’Iva (qualità e quantità della merce)". Del tutto pertinente, poi, è il richiamo del Tribunale alla giurisprudenza di questa S.C. circa il fatto che la bolletta doganale di importazione sia atto pubblico e costituisca fattispecie documentale a formazione progressiva (n. 4950/06) sì che "ricorre il delitto di cui agli artt. 48, 479 c.p. ogni qualvolta la falsità delle attestazioni compiute dal funzionario dell’amministrazione doganale sia dovuta all’induzione in errore operata dal privato".
Correttamente e coerentemente, quindi, il Tribunale per il Riesame ha ritenuto che delle false dichiarazioni dovesse essere ritenuto gravemente indiziato, non solo, lo S. ma anche il M., quale spedizioniere "atteso che rientra nei compiti di tale figura professionale determinare con esattezza tutti i fattori da cui dipende la determinazione dell’Iva doganale".
Infondato – se non ai limiti dell’inammissibilità – è il secondo motivo di gravame tutto incentrato ad ottenere da questa S.C. una nuova valutazione dei dati fattuali spinta al punto di rivedere anche il valore della merce e l’ammontare dell’Iva dovuta. Si tratta, all’evidenza, di motivi non consentiti in sede di legittimità ove l’unico controllo possibile attiene alla verifica che il giudice di merito abbia tenuto conto di tutti i dati emersi e li abbia apprezzati in modo non palesemente contrario alle regole della logica.
Ciò è quanto, sicuramente, può essere affermato nel caso in esame dal momento che la motivazione qui criticata risulta, anzi, accurata e completa nella ricostruzione delle vicende e nella illustrazione del bagaglio indiziario a sostegno delle accuse mosse al M. ed ai suoi sodali.
In particolare, quanto al M., è stato evidenziato, tra l’altro, che egli "non solo esibiva all’Ufficio delle Dogane la falsa dichiarazione doganale (OMISSIS) con contenuto mendace relativamente all’indicazione dell’importatore, ma presentava, altresì, all’Ufficio delle Dogane di (OMISSIS) le false dichiarazioni (OMISSIS), in particolare, per quest’ultima dichiarazione, relativa al container (OMISSIS), il valore riportato era pari ad Euro 15315,26, a fronte del valore accertato dalle Dogane par ad Euro 68880,00".
Queste ed altre sono le risultanze, che dettagliatamente il Tribunale elenca a carico del M. evidenziando – anche con il richiamo ad intercettazioni telefoniche – il ruolo consapevole dell’indagato nei suoi rapporti con il dominus S. e con riferimento a terzi soggetti, sui quali non è qui il caso di soffermarsi. Peraltro, non deve neppure dimenticarsi che, in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, e si sottrae al sindacato di legittimità se – come è nella specie – tale valutazione è motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza.
(Sez. 6^, 8.1.08, Gionta, Rv. 239724; Sez. 6^, 11.12.07, Sitzia, Rv.
239636; Sez. 6^, 10.6.05, Patti, Rv. 232576; Sez. 4^, 28.10.05, Rv.
232626).
Così come già fatto dinanzi al collegio del riesame, la difesa del M. ha qui cercato nuovamente di sostenere l’assenza di consapevolezza da parte del proprio assistito. Questa Corte, però, non può che constatare che, sul punto, il Tribunale ha replicato in modo congruo e logico richiamando tutto quanto detto in merito alle dichiarazioni IMA (f. 5) "atteso che il doganalista ha il dovere di accertare l’esattezza di quanto dichiara in quanto la rappresentazione dei dati da lui fornita è la base conoscitiva sulla scorta della quale si determina la formazione della volontà di pubblici poteri" e sottolineando, altresì, che, dalle intercettazioni, è emerso che M. aveva "cercato di precostituirsi prove documentali ad hoc temendo di dover rendere conto del suo operato alla Guardia di Finanza".
Come è evidente anche da questa poche citazioni, si è al cospetto di una motivazione attenta, con puntuali richiami agli atti, cui questa S.C. non può certo sovrapporsi se non al rischio inevitabile di invadere l’area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (ex multis Sez. 1^, 27.9.07, Formis, Rv. 237863; Sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 235716).
Per ragioni sostanzialmente analoghe, deve pervenirsi ad una sicura reiezione anche del terzo motivo di ricorso che punta ad una rivalutazione dei dati fattuali per concludere con la esclusione del reato associativo. Nuovamente, infatti, deve riscontrarsi che l’ampia motivazione qui impugnata si sottrae a critiche anche su tale aspetto visto che, a parte ogni altra considerazione, proprio in punto di gravi indizi per il reato associativo, il provvedimento si richiama alla ordinanza cautelare. La qual cosa è pienamente legittima essendo stato affermato che "l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide la richiesta di riesame sono tra loto strettamente collegate e complementari sicchè la motivazione del Tribunale del Riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del primo Giudice e viceversa" (su., 17.4.96, Moni, Rv. 205257).
Ad ogni buon conto, deve ricordarsi la puntualità dei richiami sul bagaglio indiziario sviluppata in tutto il provvedimento ed, in particolare, la sottolineatura degli stretti rapporti che legavano tra loro gli indagati a partire dallo S.: "una fitta rete di contatti con diversi spedizionieri, in varie piazze doganali, essendo emersi contati non solo con il M. ma anche con G. ed altri sodali (es. C.), disposti a coadiuvario nella sistematica attività fraudolenta ai danni delle Dogane". In particolare, il Tribunale ricorda come, dalle intercettazioni telefoniche, sia emersa dimostrazione tra gli indagati di "un dialogo improntato ad una ben collaudata confidenza mista ad un ottimo feeling". A tale stregua, il Tribunale correttamente minimizza il fatto obiettivo che, quanto a M., siano emersi solo rapporti con lo S. posto che la cosa, in sè non preclude la configurabilità del delitto associativo e, comunque, le stesse dichiarazioni documentali presentate da M. testimoniano la consapevolezza, da parte sua della esistenza di diversi importatori fittizi (Eurocom Prime import) a dimostrazione della esistenza di un vasto programma comune.
Nel respingere il ricorso, seguono, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Visto l’art. 615 c.p.p. e segg. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente pagamento delle spese processuali.
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