Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
1. Il 6 maggio 2010 la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Como che aveva assolto Z.A. dal delitto previsto dall’art. 434 c.p., perchè non imputabile al momento del fatto per vizio totale di mente, e aveva disposto nei suoi confronti l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo non inferiore a due anni.
Alla Z. era contestato di avere commesso, al fine di suicidarsi, un fatto diretto a cagionare il crollo dello stabile in cui viveva, crollo poi di fatto verificatosi e idoneo a mettere a repentaglio, oltre alla sua stessa vita, anche l’incolumità pubblica.
I giudici d’appello ritenevano corretta la qualificazione giuridica del fatto sulla base degli esiti della consulenza tecnica che aveva evidenziato, quale causa della fuoriuscita del gas metano da cui era scaturita la violentissima esplosione, la lacerazione rinvenuta lungo la tubazione flessibile di collegamento tra piano cottura e impianto fisso. La superficie di rottura si presentava tranciata in senso ortogonale alla tubazione, così da rendere probabile che la stessa fosse stata effettuata con l’uso di un attrezzo da lavoro e fosse, quindi, riconducibile ad una condotta volontaria e non ad un difetto dell’impianto. Per tranciare la tubazione si era reso necessario l’utilizzo di uno strumento idoneo e l’esercizio di una forza notevole, trattandosi di una tubazione di una certa consistenza.
Dal complesso di questi elementi i giudici di merito inferivano che la donna si era procurata un arnese apposito e non particolarmente agevole da maneggiare allo scopo di tranciare la tubazione. Il comportamento posto in essere appariva, almeno con riguardo al mezzo utilizzato, significativo di una sicura determinazione, finalizzata alla realizzazione di un rilevante evento, quale il crollo della propria abitazione.
Peraltro, gli accertamenti psichiatrici svolti avevano evidenziato la sussistenza, al momento del fatto, di una grave forma patologica (schizofrenia, caratterizzata da fenomeni allucinatoti e deliranti del tutto fuori controllo), tale da escludere la capacità di intendere e di volere.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’imputata, la quale lamenta:
a) violazione ed erronea applicazione dell’art. 434 c.p. per difetto dell’elemento soggettivo, atteso che la condotta realizzata era finalizzata esclusivamente al suicidio e non al crollo dell’edificio;
b) manifesta illogicità della motivazione con riguardo alle considerazioni fattuali su cui si è fondata l’affermazione di penale responsabilità.
Motivi della decisione
Il ricorso non è fondato.
1. Con il delitto punito dall’art. 434 cod. pen. è tutelato il bene giuridico della pubblica incolumità, espressamente menzionato dalla norma, esposto a pericolo dagli attentati alla sicurezza delle costruzioni o da altre cause dolose non specificamente previste dalla legge. Si tratta di un delitto di attentato, trattandosi di un tentativo, qualunque sia l’atto o il fatto costitutivo dell’azione.
Le due fattispecie (crollo e disastro innominato), previste dal primo comma dell’art. 434 cod. pen, sono a consumazione anticipata ed implicano la necessaria messa in pericolo del bene protetto della pubblica incolumità; il verificarsi del fatto lesivo, verso cui l’azione, causalmente orientata, deve dirigersi, sono autonomamente presi in considerazione dal secondo comma della disposizione in esame, con aggravamento di pena.
A differenza degli attentati disciplinati dall’art. 432 c.p., commi 1 e 2, art. 433 c.p., commi 1 e 2, che prescindono dallo scopo dell’azione e in cui la volontà dell’agente non trascende l’evento di pericolo realizzato, la fattispecie prevista nell’art. 434 c.p., comma 1, presuppone un’offesa in fieri, colta in anticipo rispetto al suo compiuto realizzarsi e sorretta dal coefficiente doloso.
La nozione di crollo implica la disintegrazione delle strutture essenziali della costruzione, che faccia venire meno la forza di coesione tra gli elementi costruttivi, e deve assumere la fisionomia di un disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, dal momento che il pericolo da esso cagionato deve essere caratterizzato dalla potenzialità di diffondersi ampiamente nello spazio circostante la zona interessata dall’evento (Sez. 1^, 25 giugno 2003, n. 30216).
L’idoneità dell’azione, valida per integrare tali fattispecie criminose, deve essere considerata sotto il profilo potenziale, indipendentemente da ogni altro evento esterno o sopravvenuto; mentre la inidoneità, onde configurare un reato impossibile, deve essere assoluta in virtù di una valutazione astratta della inefficienza strutturale e strumentale del mezzo che non deve consentire neppure una attuazione eccezionale del proposito criminoso.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, occorre la coscienza e la volontà di compiere l’azione o l’omissione idonea a cagionare il disastro. L’intenzione di cagionare il disastro non costituisce dolo specifico, restando irrilevante, ai fini della sussistenza del fatto, il conseguimento dello scopo che dunque, semplicemente, traduce in concreto la volontà dell’agente, diretta proprio alla produzione dell’evento che costituisce l’offesa del bene tutelato dalla norma.
In altri termini, il dolo è intenzionale rispetto all’evento di disastro ed è eventuale con riguardo al pericolo per la pubblica incolumità. 2. Tanto premesso, la sentenza impugnata è esenta dai vizi denunciati, avendo evidenziato, sulla base degli elementi probatori acquisiti (consulenza tecnica, rilievi tecnici effettuati nell’immediatezza del fatto, accertamenti medico – legali) – in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, ove sorretti, come nel caso di specie, da un compiuto e logico iter argomentativo – che la peculiare lacerazione in senso ortogonale della tubazione flessibile di collegamento tra piano cottura e impianto fisso era stata provocata dall’uso di un attrezzo da lavoro che aveva reso necessario il ricorso ad uno strumento idoneo a all’utilizzo di una forza notevole, tenuto conto delle caratteristiche tecniche della tubazione, e era, quindi, riconducibile ad una condotta volontaria e non ad un difetto dell’impianto.
Correttamente, pertanto, i giudici di merito hanno desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato dalle complessive caratteristiche della condotta, dal tipo e dalle modalità della lacerazione prodotta e dal mezzo utilizzato, univocamente indicativi di una sicura determinazione finalizzata alla realizzazione di un evento distruttivo di ampia portata.
Inconferente, nella prospettiva in precedenza delineata, è il richiamo ad un precedente di questa Sezione (Sez. 1^, 7 ottobre 2009, n. 41306), concernente una fattispecie del tutto diversa, caratterizzata da connotazioni peculiari, che la distinguono nettamente da quella oggi sottoposta all’esame del Collegio.
Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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