Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
E DIRITTO 1.- All’esito di giudizio ordinario il Tribunale di Trapani sezione di Alcamo con sentenza del 5.10.2007 mandava assolta, con la formula del fatto non costituente reato, V.A. dal delitto di calunnia ascrittole, perchè con denuncia – querela resa ai Carabinieri di Alcamo l’8.7.2003 accusava falsamente C.M. del reato di omissione di soccorso (art. 189 C.d.S.) attuato in occasione di un incidente autoveicolare verificatosi ad (OMISSIS) (veicolo guidato dalla C. tamponante il veicolo condotto dalla madre della V., su cui costei viaggia come passeggera), affermando che la C. (come da imputazione) "si era disinteressata delle sue condizioni di salute e aveva omesso l’assistenza a lei occorrente in seguito alle lesioni patite nel sinistro stradale", laddove – invece – la C. era scesa dalla sua vettura per sincerarsi dell’accaduto ed era stata la V. "ad allontanarsi repentinamente dai luoghi", recandosi al locale pronto soccorso, ove le era diagnosticato un trauma distorsivo al rachide cervicale (trauma riconducibile al classico "colpo di frusta" da tamponamento).
Il Tribunale, premesso che non può dedursi per semplice automatismo la calunniosità di una denuncia-querela dal fatto che la stessa sia stata archiviata, osservava, da un lato, che il procedimento instaurato nei confronti dell’accusata C. per il reato di lesioni colpose era stato archiviato non per infondatezza dell’accusa ma per la sua inidoneità ad essere utilmente sostenuta in giudizio (art. 125 Disp. Att c.p.p.) e, da un altro lato, che il testimone P.V. aveva confermato la dinamica del semplice episodio descritto dalla V., da lui vista scendere dall’auto appena leggermente tamponata, mostrandosi dolorante e fermandosi a discutere con la C. a sua volta scesa dal suo mezzo. Su queste basi il giudicante reputava assorbente la valutazione di carenza probatoria in punto di elemento soggettivo del reato di calunnia, atteso che l’imputata non avrebbe agito con la certezza dell’innocenza dell’incolpata o comunque con la consapevolezza di muoverle accuse non veritiere.
2.- Il Procuratore della Repubblica di Trapani ha appellato la sentenza del Tribunale, denunciandone la carente e illogica motivazione, espressa senza tenere effettivo conto dei contenuti delle dichiarazioni testimoniali rese dal citato P., che con la sua auto seguiva quella della C., e di C. G. passeggera dell’auto Fiat guidata dalla sorella. Vizi derivanti dalla erronea valutazione delle accuse formulate in denuncia dall’imputata e della contestazione mossale, avente per oggetto non già il reato di lesioni colpose (procedimento definito con archiviazione nei confronti della C.), ma soltanto il reato di omissione di soccorso punito dall’art. 189 C.d.S., la cui sussistenza deve considerarsi oggettivamente esclusa alla luce delle testimonianze del P. e di C.G..
3.- Con sentenza in data 11.3.2009 la Corte di Appello di Palermo ha accolto l’impugnazione del pubblico ministero ed ha riconosciuto V.A. colpevole del delitto di calunnia, condannandola – riconosciute le attenuanti generiche – alla pena condizionalmente sospesa di un anno e quattro mesi di reclusione.
Evidenziato che il Tribunale non ha individuato l’esatta natura dell’illecito penale di cui era stata falsamente accusata la C., integrato non solo dalle addotte lesioni colpose ma anche e soprattutto – a tenore della contestazione di calunnia mossale – dal reato di omissione di soccorso, la sentenza di appello si sofferma nel ricostruire i fatti avvenuti il (OMISSIS), che sono all’origine del procedimento, sulla base delle indicazioni testimoniali offerte dal P. e dalla sorella dell’accusata per porre in luce l’inesistenza dell’omissione di soccorso ipotizzata in denuncia dalla V. e, dunque, l’oggettiva e consapevole natura calunniosa di siffatta accusa rivolta alla C..
Il mattino del (OMISSIS) sul corso principale di (OMISSIS) si forma un ingorgo autoveicolare e in uno dei due sensi di marcia le autovetture procedono in colonna e quasi a passo d’uomo con continue fermate. In una ripartenza l’auto Peugeot guidata dalla madre della V. con a bordo l’odierna imputata è lievemente tamponata dall’auto Fiat guidata da C.M. con a bordo la sorella.
Come chiarisce il teste P., le due conducenti scendono dai rispettivi veicoli per constatare l’accaduto e la sostanziale assenza di danni ai veicoli, tanto che la madre della V. accenna a risalire in auto per riprendere la marcia, ma dalla sua auto discende l’imputata che lamenta dolore al collo. Attribuisce la dolenzia all’occorso tamponamento e si mette a discutere con la guidatrice del veicolo tamponante, che dubita che il modesto urto possa aver prodotto il malore accusato dalla V., che invece insiste per avere le sue generalità e i dati assicurativi della sua auto. Ne nasce un rapido diverbio, all’esito del quale la C. e la V. risalgono sui rispettivi veicoli e la madre della V. riparte, allontanandosi per prima dal posto dell’incidente. L’asserito "disinteressamento" sulle sue reali condizioni di salute lamentato in denuncia dall’imputata è smentito – oltre che dal contegno civile e non, polemico della stessa madre dell’imputata, conducente della vettura tamponata – dal teste P., pienamente credibile perchè estraneo alla vicenda, allorchè ha chiarito che dal fatto non sono sorte esigenze di eventuale "soccorso" sanitario, nessuno essendo rimasto ferito nel sinistro, e che – dopo il breve diverbio tra la C. e la V. – quest’ultima "è risalita in macchina e si è allontanata". Insussistenza di qualsivoglia omissione di soccorso o assistenza ribadita dalla sorella della C., che ha riferito di essere scesa anche lei dalla macchina insieme alla sorella, personalmente sincerandosi dell’eventuale bisogno di soccorso della passeggera della vettura tamponata ed escludendo tale eventualità (sentenza p. 6: "…la signora comunque non ha specificato che volesse andare in ospedale…e lei se ne è andata, non si è fermata quando io l’ho chiamata…").
Deducono i giudici di appello che la V. non necessitava di alcun genere di soccorso e che era ben consapevole, quando ha presentato la denuncia – querela, della falsità di questa sua prospettazione ricostruttiva e accusatoria nei confronti della C.. Con l’ulteriore considerazione di doversi fondatamente dubitare che il trauma cervicale refertato dal pronto soccorso alla donna sia stato frutto del tamponamento ("sicchè la denuncia-querela sporta contro la C. è stata operata quale strumento per ottenere un risarcimento del tutto non spettante").
4.- Contro la sentenza di appello ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, formulando unitaria e articolata censura di erronea applicazione dell’art. 368 c.p., per travisamento delle fonti di prova e di manifesta illogicità della motivazione.
Innanzitutto i giudici di secondo grado hanno valutato in modo incongruo il reale contenuto della denuncia – querela incriminata, nella quale la V. non ha inteso accusare la C. di non averle prestato soccorso, ma soltanto di non essersi "interessata" del suo stato, descrivendo soltanto "un tentativo di allontanamento da parte della C. e non invece una realizzata omissione di soccorso". D’altra parte lo stesso testimone oculare P. ha puntualizzato, dato sfuggito alla Corte territoriale, che la C., dopo lo scambio di battute con la madre dell’imputata sulla comune constatazione di inesistenti danni ai due veicoli, "stava per rimettersi in macchina", quando dalla Peugeot è scesa la V., lamentandosi per l’urto del tamponamento. Ciò che conferma come la V. non abbia mai inteso denunciare un effettivo allontanamento dal luogo della C., il cui "tentativo" in tal senso è avvenuto, se mai, prima che l’imputata scendesse dall’auto accusando dolore al collo.
In secondo luogo e in via sussidiaria la sentenza impugnata trascura di riflettere, quanto all’elemento psicologico del reato di calunnia, che a tutto voler concedere, se davvero l’imputata ha inteso stigmatizzare il "ritardo" con cui la C. si sarebbe sincerata delle sue condizioni e dell’eventuale necessità di un qualche soccorso medico, ciò ha argomentato per effetto di una errata ed incolpevole percezione degli accadimenti, suffragata dalla oggettiva constatazione sanitaria delle lamentate lesioni, da lei collegate in denuncia all’avvenuto tamponamento autoveicolare.
5.- Il ricorso di V.A. è fondato nei termini di cui in motivazione.
Se non è revocabile in dubbio che in effetti la sentenza di primo grado, che pure ha assolto l’imputata per difetto di prova del dolo del reato, ha equivocato -ai fini del rispetto del principio di correlazione tra accusa e decisione ( art. 521 c.p.p.)- l’oggetto dell’imputazione di calunnia contestata alla V., che è stata limitata alla sola falsa accusa di omissione di soccorso e non anche ad una ipotizzata concorrente falsa accusa di lesioni colpose, è altrettanto palese che la sentenza di appello per cui è ricorso si caratterizza per una palese fuorviante interpretazione delle fonti di prova e per una non meno evidente illogicità motivazionale. Rilievi che traggono origine proprio dalla pur puntuale ricostruzione dell’episodio da cui è scaturita l’odierna regiudicanda, l’incidente stradale avvenuto il (OMISSIS) in cui sono rimaste coinvolte l’imputata e l’originaria accusata C., quale sviluppata -con il contributo delle acquisite dichiarazioni testimoniali – dalla stessa sentenza della Corte di Appello di Palermo.
Va subito osservato in limine come affatto improprie, perchè si tratta di profili fattuali totalmente estranei alla contestazione di calunnia ascritta all’imputata, si mostrino le mere congetture della sentenza sulla supposta natura strumentale (risarcitoria) delle lesioni addotte (comunque risultanti da certificazione di struttura sanitaria pubblica) dalla V., siccome provocatele dall’incidente. Si tratta, in vero, di una presunzione induttiva, sterile rispetto al reale thema decidendum e che già il giudice di primo grado ha escluso dal panorama probatorio, quando ha correttamente affermato l’inapplicabilità di un automatismo valutativo della calunniosità di un qualunque atto di denuncia o querela poi attinto da archiviazione (disposta nel caso di specie ai sensi dell’art. 125 Disp. Att. c.p.p., e non per l’insussistenza storica dei fatti denuncianti le patite lesioni).
Tanto chiarito, assume decisiva valenza il soffermarsi sul contenuto letterale della denuncia-querela della V. stimato, dalla pubblica accusa prima e dalla Corte di Appello di Palermo poi, idoneo ad integrare l’inveritiera accusa di omissione di soccorso contestata all’imputata. Contenuto espressamente riprodotto, ai fini del vaglio di questo giudice di legittimità ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nelle due sentenze di merito e nel ricorso dell’imputata, del seguente testuale tenore: "…appurato che i veicoli non presentavano danni di grave entità, la stessa C.M., disinteressandosi delle condizioni di salute mia e di mia madre, tentava di allontanarsi. A quel punto le riferivo che mi ero fatta male e che pertanto mi servivano i dati per denunciare l’accaduto alla mia assicurazione".
Ad avviso del collegio decidente il riportato passaggio della denuncia – querela della V., nel suo univoco valore lessicale e referenziale (correlato all’episodio che la sentenza ricompone con il supporto delle testimonianze dell’automobilista P. e della sorella della C.), non contiene alcuna accusa in ipotesi mendace, diretta o indiretta, del reato di omissione di soccorso rivolta alla querelata C..
In vero la dinamica sequenziale degli eventi che hanno scandito il breve e semplice episodio, descritta dalla stessa sentenza di appello, rende evidente (teste P.) che il "tentativo di allontanamento" dai luoghi attribuito dall’imputata alla C. non allude in alcun modo ad una ipotesi di omissione di soccorso D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ex art. 189, comma 6, (codice della strada), dal momento che esso segue lo scambio di battute intercorso tra la C. e la madre della V. (alla guida della vettura tamponata), scese entrambe dai mezzi per verificare eventuali danni, e precede l’uscita dal mezzo tamponato della V., dolorante a causa del tamponamento. E’ la stessa denunciante, in definitiva, a dare atto dell’assenza di un omesso soccorso della C. ovvero di un suo proposito di allontanarsi, non potendosi sottacere – per altro – che il reato di cui all’art. 189 C.d.S,. è reato omissivo di pericolo, che mal si concilia con una ipotesi di semplice tentativo.
Dato, quest’ultimo, che induce altresì a rilevare che in ogni caso un semplice "disinteressamento" delle condizioni della persona eventualmente rimasta danneggiata in un incidente stradale da parte di chi avrebbe in teoria provocato l’incidente non sembra sufficiente per dar luogo ad una accusa di omissione di soccorso ex art. 189 C.d.S., reato (solitamente definito, non a caso, di "fuga") la cui materialità attiene essenzialmente alla violazione dell’obbligo di fermarsi in occasione di un incidente stradale potenzialmente idoneo a produrre eventi lesivi alle persone (v. Cass. Sez. 4^, 3.6.2009 n. 34335, Rizzante, rv. 245354; Cass. Sez. 6^, 16.2.2010 n. 21414, Casule, rv. 247369). Ora, come già anticipato, la V. non ha accusato in alcun modo la C. di non essersi fermata o di aver provato ad andarsene, senza aver prima discusso con lei delle addotte conseguenze dell’incidente, che ha sì contestato, ma ciò ha fatto in una situazione di palese assenza di emergenza determinanti – in difetto di ogni indicazione al riguardo nella denuncia della V. (quale richiamata in sentenza) – la necessità di specifiche forme di soccorso o assistenza sanitaria in favore della denunciante.
Rilievi, tutti, in virtù dei quali deve convenirsi sulla genetica infondatezza della accusa di calunnia mossa all’imputata per l’asserita inesistente accusa di un contegno di omissione di soccorso (o di fuga) prospettato dall’imputata nei confronti della C..
Ne alcun valore può riconoscersi, a sostegno del preteso e a maggior ragione inesistente dolo del reato di calunnia, al fatto che la V. sia stata la prima ad allontanarsi dal luogo dell’incidente. Evenienza su cui, con il supporto della testimonianza P., pure indugia la sentenza di condanna di secondo grado.
Per la semplice ragione che si tratta di un dato di fatto di per sè privo di ogni inferenza accusatoria, sol che si presti la dovuta attenzione alle circostanze ambientali dell’episodio rimarcante proprio dal testimone P.V., trasposte in sentenza.
Tutti i veicoli in transito sull’arteria teatro del sinistro, inclusi quello della C. che ha tamponato, quello della madre della V. che e stato tamponato e quello dello steso P. che segue l’auto della C., procedendo a passo d’uomo incolonnati in unica fila a causa dell’intenso traffico autoveicolare. Sicchè e del tutto ovvio che, dopo la rapina discussione tra le parti indotta dal tamponamento e per non bloccare la fila delle auto, accrescendo il disagio di tutti gli automobilisti in transito, il primo veicolo ad allontanarsi dal posto, riprendendo la marcia, dovesse essere necessariamente quello della stessa V. (guidato dalla madre).
Avuto riguardo alle evidenziate lacune in tema di valutazione delle prove da cui e scaturito un contraddittorio e non logico giudizio di colpevolezza di V.A., l’impugnata decisione di appello deve essere annullata senza necessità di rinvio per un nuovo giudizio, rendendo la stessa sentenza palese l’insussistenza, non altrimenti integrabile, di elementi di prova muniti di reale efficacia dimostrativa della configurabilità nella condotta dell’imputata del delitto di calunnia contestatole.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
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