Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza non definitiva del 20.10.2003 il Tribunale di Perugia dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra G.E. e la società consortile 3A – Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria a r.l. per il periodo dal 2.12.1991 al 21.7.1994 (successivamente al quale era stata assunta dalla stessa società con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato), con mansioni corrispondenti a quelle di impiegato di livello C secondo il c.c.n.l. per i dipendenti dalle aziende chimiche. Con la stessa sentenza il Tribunale dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato alla ricorrente per giustificato motivo oggettivo il 31.10.1997 e condannava la convenuta al pagamento delle differenze retributive spettanti alla ricorrente per il periodo sopra indicato, oltre retribuzione per ferie, mensilità aggiuntive, trattamento di fine rapporto e altri istituti previsti dal c.c.n.l., nonchè alla riassunzione della lavoratrice nel termine di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 o, in difetto, al pagamento in suo favore di un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Respingeva, infine, la domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la condanna della ricorrente alla restituzione della somma di L. 28.934.000 a titolo di rimborso della quota contributiva a carico del datore di lavoro.
Con la successiva sentenza definitiva del 1.7.2004 il Tribunale quantificava le somme spettanti alla G. per differenze retributive, trattamento di fine rapporto e indennità risarcitoria L. n. 604 del 1966, ex art. 8 e poneva le spese di lite a carico della convenuta.
Avverso detta sentenza ha proposto appello la società 3A PTA chiedendo il rigetto di tutte le domande proposte dalla G.; in subordine, la riduzione dell’indennità risarcitoria all’importo minimo di 2,5 mensilità e la condanna della ricorrente alla restituzione della somma di Euro 14.943,16, con declaratoria che nessuna differenza retributiva era ad essa dovuta per il periodo antecedente al luglio 1994.
La G. ha proposto appello incidentale, con il quale ha chiesto dichiararsi la nullità del licenziamento (asseritamele intimato per motivi discriminatori), con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, al risarcimento del danno ed alla regolarizzazione contributiva.
Con sentenza del 2.11.2006 (depositata il 3.3.2007) la Corte d’Appello di Perugia ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, dichiarando non dovute le differenze retributive per il periodo in contestazione e condannando la lavoratrice, in accoglimento della domanda riconvenzionale, alla restituzione della somma di Euro 14.943,16, oltre interessi, a titolo di differenza tra le somme percepite dalla G. nel corso del rapporto qualificato dalle parti come autonomo e quelle che avrebbe avuto diritto di ricevere, nello stesso periodo, quale lavoratrice dipendente. Ha compensato, infine, le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.E. affidandosi a quattro motivi cui resiste con controricorso la società consortile 3A – Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria, proponendo anche ricorso incidentale fondato su due motivi.
La G. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., nonchè osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero, ex art. 379 c.p.c..
Motivi della decisione
1.- Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c..
2.- Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., art. 36 Cost., artt. 1372, 2033 e 2077 c.c., e comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale, una volta riconosciuta l’esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato, condannato la stessa ricorrente alla restituzione della somma corrispondente alla differenza fra il trattamento economico previsto dal contratto collettivo per il periodo in contestazione e quello percepito in concreto dalla lavoratrice nello stesso periodo, stabilendo così un principio di ripetibilità delle somme corrisposte in eccedenza rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo, che non troverebbe fondamento in alcuna norma di legge o principio enunciato in giurisprudenza.
3.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione delle stesse disposizioni di legge sopra indicate, nonchè degli artt. 2109 e 2120 c.c., e comunque omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, sull’assunto che, pur in presenza della corresponsione di un trattamento economico superiore a quello previsto dal contratto collettivo, avrebbero dovuto essere riconosciute in favore della lavoratrice le mensilità aggiuntive, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute e il trattamento di fine rapporto.
4.- Con il terzo motivo di gravame si denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 100, 323, 333, 334 e 436 c.p.c., e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente all’affermazione, fatta dal giudice d’appello, che non era stato interposto appello incidentale avverso l’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado secondo cui delle eventuali maggiori somme corrisposte alla G. nel corso del rapporto definito di consulenza si sarebbe dovuto tener conto nel corso dell’accertamento peritale.
5.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto, relativamente alla statuizione con la quale la Corte di merito ha disposto la compensazione integrale delle spese del giudizio.
6.- Con il primo motivo del ricorso incidentale la società resistente denuncia omessa e/o insufficiente motivazione del capo della sentenza relativo alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per mancanza di giustificato motivo. In particolare, il giudice d’appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla circostanza che, una volta esaurita l’attività relativa alla costruzione e all’allestimento della sede del Parco 3A, nonchè dei laboratori delle varie società che in esso operavano, erano esaurite anche le mansioni assegnate alla G., nonchè in ordine alla circostanza che, dopo il licenziamento, non era stato assunto alcun altro dipendente con la stessa qualifica della lavoratrice licenziata.
7.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia omessa e/o insufficiente motivazione del capo della sentenza relativo alla liquidazione dell’indennità risarcitoria, della L. n. 604 del 1966, ex art. 8, sostenendo che, nel determinare tale indennità nella misura massima prevista dalla legge, sia il Tribunale che la Corte di Appello non avrebbero tenuto conto della circostanza che alla lavoratrice era stata offerta la possibilità di continuare a lavorare presso altra società del gruppo, pur se con una consistente riduzione dello stipendio fino ad allora percepito.
8.- I primi due motivi del ricorso principale attengono a questioni connesse tra loro e possono essere esaminati congiuntamente. Sostiene la ricorrente che la condanna della lavoratrice alla restituzione di quanto ricevuto in eccedenza rispetto a quanto previsto dalla normativa collettiva non trova fondamento in alcuna norma di legge e che la Corte di merito avrebbe dovuto, al più, applicare il principio dell’assorbimento, individuando il trattamento più favorevole tra quello percepito e quello previsto dal contratto collettivo, e riconoscere lo stesso come spettante al dipendente, fatta salva l’applicazione di alcuni istituti, come quello del trattamento di fine rapporto, ai quali non può comunque applicarsi tale principio dell’assorbimento.
La censura è fondata e va accolta entro i seguenti limiti. In tema di determinazione del trattamento retributivo spettante al lavoratore subordinato, è stato più volte condivisibilmente affermato da questa Corte – cfr. Cass. 23646/2006, Cass. 1261/2006, Cass. 10824/97, nonchè Cass. 359/89 – che, una volta che sia accertata in giudizio l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in contrasto con la qualificazione del rapporto come autonomo operata dalle parti, ai fini della determinazione del trattamento economico dovuto si deve considerare nel suo complesso quanto in concreto sia stato già corrisposto al lavoratore e porlo a raffronto con il trattamento minimo dipendente dalla corretta qualificazione del rapporto, con la conseguenza che, ove quest’ultimo sia stato già integralmente corrisposto, non possono essere liquidate mensilità aggiuntive commisurate ai compensi periodicamente erogati. Questo principio dell’assorbimento non può, tuttavia, trovare applicazione per le indennità di fine rapporto che, prima e dopo l’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, maturano al momento della cessazione del rapporto.
9.- La retribuzione spettante al lavoratore subordinato deve essere stabilita, dunque, sulla base del criterio dell’assorbimento, e non di quello del cumulo dei compensi pattuiti e dei minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva. Il principio non comporta, però, che, ove si accerti che il compenso pattuito dalle parti era superiore a quello minimo previsto dal contratto collettivo, il lavoratore debba necessariamente restituire tale eccedenza, ove ciò sia richiesto dal datore di lavoro, giacchè, secondo principi costantemente affermati da questa Corte, le retribuzioni fissate dai contratti collettivi costituiscono le retribuzioni minime spettanti ai lavoratori di una determinata categoria, senza che sia impedito al datore di lavoro erogare ai propri dipendenti paghe superiori, siano esse determinate a seguito di contrattazione tra le parti o semplicemente da lui offerte al lavoratore, con la conseguenza che, ove il datore richieda la restituzione delle somme erogate in eccesso rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo, non può limitarsi a provare che il suddetto contratto prevede, per le prestazioni svolte, retribuzioni inferiori, ma deve dimostrare che la maggiore retribuzione erogata è stata frutto di un errore essenziale e riconoscibile dell’altro contraente, ossia di un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c. (Cass. 4942/2000, Cass. 4499/87). E tale principio vale anche nella particolare ipotesi in cui venga accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro in luogo di quella autonoma formalmente prescelta dalle parti, poichè anche la diversa qualificazione del rapporto operata dalle parti, e risultata poi non esatta, può essere bensì frutto di un mero errore delle parti stesse, ma può derivare anche dalla loro volontà di usufruire di una normativa specifica, oppure di eluderla (cfr. Cass. 17455/2009, nonchè Cass. 20669/2004).
10.- Applicando i suddetti principi al caso in esame, deve osservarsi anzitutto che non è controverso, e costituisce anzi il presupposto di entrambi i due primi motivi del ricorso principale, il fatto che la G. abbia percepito nel periodo compreso tra il mese di dicembre 1991 e il mese di luglio 1994, oggetto dell’esame, un trattamento economico complessivamente superiore a quello previsto dal contratto collettivo applicabile alla fattispecie. Come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, deve pertanto ritenersi che non possano essere liquidati in favore della lavoratrice emolumenti aggiuntivi rispetto a quelli periodicamente erogati dal datore di lavoro. Il giudice d’appello ha dichiarato poi che "nulla è dovuto a G.E. a titolo di differenze retributive dal 2.12.91 al 21.7.94" e, dunque, essendo rimasta ferma la statuizione contenuta nella sentenza di primo grado di condanna al pagamento della somma dovuta a titolo di trattamento di fine rapporto – statuizione che era distinta da quella concernente la somma liquidata a titolo di differenze retributive – la ricorrente non ha interesse ad una pronuncia di accertamento del diritto alla corresponsione, in aggiunta a quanto già ricevuto, anche del trattamento di fine rapporto, trattandosi di un punto rispetto al quale essa è risultata completamente vittoriosa nelle precedenti fasi del giudizio. Quanto alle somme erogate in eccesso rispetto al trattamento minimo previsto dal contratto collettivo, non è stato neppure dedotto che tale corresponsione sia avvenuta per un errore che presenti i requisiti di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c., sicchè, sulla base dei principi sopra indicati sub 9, il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto, restando assorbito il secondo motivo.
11.- La cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto comporta la decisione nel merito della causa ( art. 384 c.p.c., comma 2) non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con la pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale proposta dalla società 3A Parco Tecnologico Agroalimentare dell’Umbria.
12.- Il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile trattandosi di una affermazione contenuta ad abundantiam nella motivazione della sentenza di appello, che resta priva, come riconosce anche la ricorrente, di una effettiva incidenza sulla decisione della causa.
13.- Il quarto motivo, attinente alla statuizione emessa dal giudice d’appello in ordine alle spese di lite, resta assorbito nella diversa regolazione delle spese conseguente alla cassazione della sentenza impugnata in relazione all’accoglimento del primo motivo.
14.- Sia il primo che il secondo motivo del ricorso incidentale devono ritenersi infondati. Le censure proposte con tali motivi di impugnazione – pur prescindendo dalle evidenti carenze dell’esposizione dei fatti di causa, che deve essere contenuta anche nel controricorso quando questo racchiuda un ricorso incidentale, e della specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il ricorso – si risolvono tutte, infatti, in critiche sulla valutazione degli elementi di fatto acquisiti, involgendo così un sindacato di merito non consentito in sede di legittimità; dovendo rimarcarsi, al riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).
15.- Il ricorso incidentale va quindi rigettato.
16,- Quanto alla regolazione delle spese processuali, valutando l’esito complessivo del giudizio, e tenuto anche conto del fatto che ancora nel giudizio di appello è stata reiterata e respinta la domanda della G. tendente ad ottenere la declaratoria di nullità del licenziamento (con la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro), si ritiene conforme a giustizia confermare la statuizione del Tribunale sulle spese di lite, compensare tra le parti le spese relative al grado d’appello e condannare la società al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo di quello principale, assorbito il secondo e il quarto, inammissibile il terzo;
rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda riconvenzionale proposta dalla società; quanto alle spese, conferma la decisione di primo grado, compensa per il secondo grado e condanna la società alle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 69,00, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
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