Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-03-2011, n. 5712 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 19 aprile 2006, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da S.V. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, intercorso con C.D. e B.C.A., e di condanna al pagamento delle differenze retributive, oltre alla declaratoria di inefficacia/illegittimità del licenziamento verbale intimatole, con condanna dei convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno.

2. La Corte territoriale riteneva non fornita la prova in ordine all’evocata natura subordinata del rapporto di lavoro, tenuto conto:

– del mancato rispetto dell’orario di lavoro;

– dell’accertata molteplicità dei beneficiari delle prestazioni di pulizia che mal si accordava con la tendenziale esclusività della prestazione di lavoro subordinato;

– dell’acclarata fungibilità della prestazione lavorativa per la possibilità di farsi aiutare o sostituire;

– dell’uso di strumenti di lavoro propri, con il rilievo che la stessa corresponsione di un compenso comprensivo del costo dei prodotti di consumo materialmente sostenuto dalla ricorrente, ben poteva ritenersi compatibile con un lavoro di tipo autonomo;

– dell’assenza di una formale regolamentazione del rapporto, la continuità e la durata di esso, nonchè la corresponsione, a cadenza mensile, del compenso, con esclusione della 13^ mensilità, elementi sopravanzati da elementi di segno contrario quale lo svolgimento della prestazioni di lavoro, senza rispettare e osservare l’orario di lavoro indicato in ricorso, nè un orario diverso, con riferimento tanto alla durata di esso che alla distribuzione giornaliera;

– della disponibilità di una minima organizzazione imprenditoriale, con riguardo alla personale dotazione delle attrezzature strumentali, non rimborsata;

– della sostituzione denotante un effettivo potere di autorganizzazione della lavoratrice, con pagamento del compenso da parte della lavoratrice richiedente la sostituzione, con ciò venendo meno il requisito della personalità della prestazione e ricadendo il rischio di impresa sulla lavoratrice.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, S. V. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo di ricorso, illustrato anche con memoria ex art. 378 c.p.c.. Gli intimati non si sono costituiti.
Motivi della decisione

4. Con unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), formulando, a conclusione dell’articolato motivo, un unico quesito con il quale si chiede la cassazione della sentenza impugnata per aver la sentenza impugnata escluso l’esistenza di un rapporto subordinato sulla base di accertamenti non emersi nella prova testimoniale e comunque indicando criteri, come la parzialità della prestazione lavorativa, l’esistenza di possibilità di sostituzione in caso di assenza ma concordate, che di per stessi non escludono la subordinazione, e non valutando, invece, l’inserimento organico nella prestazione lavorativa e la mancanza di rischio imprenditoriale che, per la più recente giurisprudenza, caratterizzano l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

5. Il ricorso non merita accoglimento. Il Collegio ritiene di confermare il principio consolidato (ex multis, Cass. 2728/2010) secondo cui costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative. L’esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, incensurabile in tale sede – se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale. La sentenza impugnata, che a questi principi si è conformata, non può essere quindi annullata per violazione dell’art. 2094 c.c. 6. Quanto ai dedotti difetti di motivazione, in ricorso non si deduce l’esistenza di elementi non valutati e che, se lo fossero stati, avrebbero condotto con ragionevole certezza ad un diverso esito della causa, non sono state cioè allegate circostanze decisive atte a ribaltare la decisione, anche perchè tutte le risultanze istruttorie (le dichiarazioni della stessa S., in particolare, che hanno contraddetto il ricorso introduttivo in più punti, quali l’orario, l’oggetto della prestazione lavorativa, l’esclusività del rapporto e le deposizioni dei testimoni indotti dalla lavoratrice) risultano valutate in sentenza. Nè la ricorrente ha dedotto l’illogicità della ricostruzione operata dai Giudici d’appello.

Va quindi ancora confermato l’orientamento consolidato di questa Corte (tra le tante Cass. 2272/2007) per cui il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

8. Il ricorso va quindi rigettato. Non avendo gli intimati svolto in questa sede alcuna attività difensiva, non si deve provvedere al regolamento delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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