Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
rancesco, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
Con ordinanza in data 2 novembre 2009 il G.I.P. del Tribunale di Messina applicava nei confronti di S.S. la misura cautelare della custodia in carcere in ordine al delitto di associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti, nonchè per plurime ipotesi di detenzione e cessione di sostanza stupefacente.
Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 23 novembre 2009, annullava il provvedimento del G.I.P. non ritenendo che sussistessero gravi indizi che la persona indicata come "(OMISSIS)" nelle conversazioni intercettate si identificasse con S., poichè il riconoscimento vocale effettuato da parte del personale di P.G. incaricato dell’ascolto delle intercettazioni, non era accompagnato da ulteriori elementi a riscontro. A seguito di tale annullamento, il p.m. conferiva incarico di consulenza tecnica ad un perito fonico, il quale affermava che la voce nota dello S. estratta dalla registrazione dell’interrogatorio e la voce registrata nelle conversazioni intercettate presentavano una compatibilità pari al 75% e concludeva sostenendo che "è tecnicamente corretto attribuirle allo stesso parlatore". Il P.M., alla luce dei nuovi elementi acquisiti chiedeva l’emissione di un’ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere, ma il G.I.P., con provvedimento del 10 maggio 2010, rigettava la richiesta.
A seguito di appello del P.M., il Tribunale di Messina, con ordinanza in data 23 giugno 2010, annullava il provvedimento del G.I.P., ritenendo insussistente il giudicato cautelare, e disponeva l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti dello S..
Propone ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, deducendo:
1) mancanza di motivazione, travisamento dei fatti e violazione del ne bis in idem sostanziale. Il ricorrente afferma che gli elementi di riscontro utilizzati dall’accusa per vagliare l’affidabilità del riconoscimento vocale da parte del personale di P.G. erano già stati valutati dal Tribunale del riesame come "privi di reale consistenza" e non potrebbe essere considerato elemento nuovo la consulenza fonica, non potendo questa mutare i termini della questione sulla quale si è formato il giudicato cautelare.
2) violazione dell’art. 273 c.p.p., nonchè omessa motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza con riferimento a tutti i reati contestati.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale si sia riportato integralmente all’originario provvedimento del G.I.P. di applicazione della misura cautelare, già annullato dal Tribunale in sede di riesame, ed afferma che non sussiste alcun indizio di colpevolezza, trattandosi di ipotetici e non provati acquisti di sostanza stupefacente rilevati da insignificanti intercettazioni ambientali; aggiunge che la consulenza tecnica disposta dal P.M. non può offrire certezze identificative, poichè lo stesso consulente ha precisato che l’esito complessivo del confronto fonico non potrà mai essere del 100% di compatibilità. 3) violazione dell’art. 274 c.p.p., nonchè omessa motivazione, in quanto il pericolo di reiterazione criminosa non potrebbe fondarsi sulla apoditticamente ritenuta gravità del fatto e l’ordinanza impugnata non avrebbe tenuto conto che S. è soggetto incensurato che ha regolare famiglia e svolge attività lavorativa e, inoltre, non avrebbe considerato il tempo trascorso dalla data del reato ((OMISSIS)) e la circostanza che l’indagato è stato scarcerato da circa nove mesi.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e devono essere dichiarati inammissibili. Manifestamente infondato è il motivo con il quale si deduce violazione del ne bis in idem sostanziale. La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha già chiarito, in fattispecie identica a quella in esame, che "in tema di cosiddetto giudicato cautelare, la preclusione derivante da una precedente pronuncia del tribunale del riesame può essere superata quando si prospettino nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, per effetto di sopravvenuti sviluppi delle indagini, anche con riguardo a circostanze maturate prima della deliberazione del giudice del gravame. (Fattispecie relativa a nuova adozione di misura cautelare personale, già annullata in sede di riesame, per la sopravvenienza di elementi indiziari gravi consistenti nell’esito di accertamento tecnico di comparazione tra la voce dell’indagato come risultante dalle intercettazioni e quella registrata nel corso dell’interrogatorio di garanzia)" (Sez. 6, 30 novembre 2006 – 1 gennaio 2007, n. 4112, Di Silvestro, rv. 235610). L’ordinanza impugnata precisa che gli esiti della perizia fonica hanno fornito un risultato di elevata compatibilita tra la voce captata nei dialoghi oggetto di intercettazione e quella dello S. registrata nel corso degli interrogatori di garanzia, pari al 75%; aggiunge che "proprio la circostanza che in letteratura non sia possibile accertare con assoluta certezza e dunque con una percentuale del 100% la compatibilità tra le voci, stante le possibili variabili dei descrittori biometrici, consente di ritenere che il raggiungimento di un livello di compatibilità così elevato come quello cui è pervenuto l’esperto nominato dal p.m., sia altamente confortante e consenta di ritenere sussistente un quadro indiziario grave ed univoco".
L’ordinanza del Tribunale fornisce, dunque, un logico e non censurabile, in questa sede di legittimità, apprezzamento dei dati novativi del quadro indiziario nei confronti dello S., scaturenti dall’accertamento tecnico di comparazione fonica e della connessa persuasiva attribuzione alla sua persona di significative conversazioni sottoposte a captazione nel corso delle indagini preliminari.
Per quanto concerne la sussistenza delle esigenze cautelari, il relativo motivo di ricorso è manifestamente infondato, poichè l’ordinanza impugnata, con motivazione ampia e corretta dal punto di vista logico e giuridico, rileva la "costante dedizione" dello S., per un lasso temporale apprezzabile, al commercio degli stupefacenti, tanto da configurarsi "una vera e propria abitudine di vita", con la conseguenza che è altamente probabile che egli, se non vincolato nella libertà personale, perseveri "nella medesima attività, sfruttando i circuiti di rifornimento e di distribuzione ormai collaudati". Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 28 reg. es. c.p.p..
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