Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-03-2011, n. 7485 Estinzione delle servitù

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 8 aprile 1992, C. D. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce R. R. e P.A. e – premesso di avere acquistato da costoro, con atto per notaio Francesco Ciardo del 24 dicembre 1972, un terreno edificatorio, e che, essendo tale fondo intercluso, con detto atto i venditori si erano impegnati a tracciare sul fondo limitrofo di loro proprietà una strada della larghezza minima di m.

9, al fine di collegare la zona venduta con la pubblica via che correva ad est, e a sistemare il fondo della costruenda strada in modo da renderla transitabile – chiedeva darsi atto che, sul fondo di proprietà dei convenuti, era stata costituita una servitù di passaggio a favore del terreno da esso acquistato, e che venisse ordinato agli alienanti di tracciare detta strada e di renderla transitabile.

Nella resistenza del P. e nella contumacia del R.R., il Tribunale adito, con sentenza in data 30 marzo 1998, dichiarava il diritto dell’attore alla servitù di passaggio sul fondo dei convenuti e condannava i medesimi a costruire la strada per la larghezza pattuita e a renderla transitabile.

2. – La Corte d’appello di Lecce, pronunciando sul gravame proposto dal P. nel contraddittorio del R.R. nonchè di R.M. ved. C. e di R., G., F. ed C.A., tutti eredi di C.D., ha rigettato la domanda con la quale quest’ultimo aveva chiesto la condanna dei convenuti a tracciare la strada, mentre ha confermato nel resto l’impugnate pronuncia, dichiarando compensate tra le parti le spese di lite.

2.1. – La Corte d’appello ha qualificato come obbligazione quella di costruire la strada e ritenuto prescritta tale obbligazione; ma ha escluso l’estinzione del diritto di servitù per mancanza di utilità o per l’impossibilità sopravvenuta discendente dal mutamento dello strumento urbanistico, avendo considerato irrilevante, nella logica privatistica dell’art. 1074 cod. civ., l’incompatibilità del contenuto della servitù con la sopravvenuta destinazione urbanistica impressa al fondo servente.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 15 settembre 2006, sulla base di un motivo.

Hanno resistito, con controricorso, R., G. e C. F., mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione

1. – Con l’unico mezzo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1073 e 1074 cod. civ., nonchè omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su un punto decisivo della controversia.

Sostiene il ricorrente che l’art. 1074 cod. civ. prevede un’autonoma fattispecie estintiva della servitù, derivante dal protrarsi dell’impossibilità di usare la servitù. E poichè nella specie l’impossibilità discende dall’approvazione del piano di lottizzazione del 1982, la fattispecie estintiva si era, al momento della pronuncia impugnata, perfezionata da oltre tre anni, senza che ci sia spazio per una interruzione derivante dall’iniziativa giudiziale del titolare del diritto. D’altra parte, la Corte d’appello non avrebbe considerato che nel contratto la servitù era costituita sul presupposto della interclusione del fondo acquistato dal C., e che tale presupposto era venuto meno con il piano di lottizzazione grazie al quale quel fondo, come risulta dalla espletata c.t.u., ha accesso diretto alla pubblica via.

2. – Il motivo coglie un errore nella motivazione in diritto della sentenza impugnata, là dove la Corte del merito, giudicando inapplicabile tout court l’art. 1074 cod. civ., ha ritenuto che l’utilitas, costituente la ragione giustificativa del sorgere della servitù, vivrebbe in una dimensione irrelata, del tutto insensibile rispetto alle destinazioni imposte al fondo servente, a tutela dell’interesse generale, dagli strumenti pubblicistici di piano.

2.1. – Pervero, questa Corte (Sez. 2^, 11 febbraio 1998, n. 1394) ha affermato che la servitù non entra in uno stato di quiescenza prodromico all’estinzione, ai sensi dell’art. 1074 cod. civ., per il solo fatto che il suo contenuto sia incompatibile con la sopravvenuta destinazione urbanistica impressa al fondo.

Il principio di diritto è stato enunciato in un caso di servitù negativa. Nella fattispecie allora esaminata, a favore del fondo dominante era stata costituita una servitù avente ad oggetto il divieto, per il titolare del fondo servente, «di impiantare distributori di carburante e lubrificanti, officine meccaniche, industrie e laboratori d’ogni genere, posteggi, pese pubbliche o private, bar, osterie, esercizi o spacci che potessero disturbare con rumori». Con il sopravvenuto strumento urbanistico, era sorta per il fondo servente la possibilità di essere destinato ad insediamenti industriali ed il titolare di questo aveva stipulato un’apposita convenzione con il Comune.

La pronuncia – nel cassare la sentenza della Corte d’appello che aveva fatto leva sull’inammissibilità dell’esercizio della servitù quando questa ostacoli il soddisfacimento di finalità pubbliche (anche sotto il profilo dell’alterazione dell’aspetto zonale unitario) e contrasti, in tal modo, con l’utilità sociale – si basa su due rationes decidendi: sul rilievo che l’art. 1074 cod. civ., il quale fa riferimento alla impossibilità di fatto di usare della servitù, non sarebbe applicabile con riferimento alle servitù negative; sulla sottolineatura che la sopravvenuta possibilità di utilizzare (dal punto di vista urbanistico) un fondo in modo non conforme ad una servitù sullo stesso gravante, non comporta anche l’obbligo di tale utilizzazione e la conseguente impossibilità di usare della servitù. 2.2. – Il principio espresso dalla citata sentenza, al quale si è adeguata la Corte salentina, non risulta applicabile nella presente controversia, data la diversità della fattispecie.

Il caso attualmente all’esame del Collegio, infatti, riguarda una servitù positiva nella quale la sopravvenuta normativa di piano non si limita, come nella vicenda allora scrutinata, a consentire una utilizzazione urbanistica del fondo servente nuova e diversa rispetto a quella contemplata al momento della costituzione del diritto reale minore, ma prescrive un vincolo che impedisce la realizzazione della strada necessaria per l’esercizio della servitù di passaggio.

Si è, pertanto, di fronte ad un contrasto diretto tra servitù privata e normativa urbanistica di interesse generale. Risulta, invero, per tabulas dagli atti che lo strumento urbanistico (piano di lottizzazione d’ufficio), adottato nel Comune di Marciano di Leuca nel 1982, non consente di costruire sul fondo servente (la particella 103) la strada privata diretta a rendere possibile l’esercizio del diritto di servitù, perchè quel terreno è destinato ad aree per servizi pubblici.

2.3. – In generale, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte del merito, è da escludere che gli strumenti urbanistici non abbiano la capacità di incidere (sul diritto di proprietà o) sui diritti reali limitati.

Le norme che tutelano interessi pubblicistici sono per ciò stesso imperative ed inderogabili non solo nei rapporti tra P.A. e privato ma anche nei rapporti tra privati; pertanto, i vincoli posti dalle disposizioni urbanistiche – come quelle derivanti da piani regolatori, le cui prescrizioni hanno natura normativa – assumono rilievo anche nei rapporti tra privati, incidendo sul contenuto del diritto reale (Cass., Sez. 3^, 7 ottobre 2008, n. 24769).

La disciplina urbanistica, mirando a far prevalere, con la diretta conformazione e definizione dei poteri del proprietario, l’interesse generale ad un uso equilibrato del suolo sull’interesse particolare del singolo, è uno dei modi attraverso i quali si esplica la funzione sociale della proprietà, ai sensi dell’art. 42 Cost., comma 2.

Ed anche al diritto reale minore di servitù è applicabile il limite della funzione sociale. Difatti, la derivazione dei diritti reali minori dalla proprietà consente di affermare l’estensione, ad essi, del limite di cui all’art. 42 Cost., comma 2, stante la sua natura di principio generale all’interno del sistema dei rapporti economici disegnato dalla Carta fondamentale, in una prospettiva di raccordo e di mediazione tra libertà e autonomia del singolo ed interessi connessi alla dimensione sociale.

2.4. – Poichè, dunque, anche al diritto servitù è applicabile il limite della funzione sociale, il quale preclude all’utilitas privatistica di realizzarsi in modi collidenti con l’interesse generale, è da ritenere che la mancanza sopravvenuta dell’utilità, che importa la quiescenza della servitù ai sensi dell’art. 1074 cod. civ., possa dipendere anche dal contrasto della servitù con la normativa urbanistica di piano, allorchè questa faccia venir meno la giustificazione e la rilevanza funzionale del contenuto del diritto reale minore, come nel caso di servitù di passaggio attraverso una realizzanda strada di certe dimensioni, quando la disciplina dettata ai fini del governo del territorio non consenta la costruzione di detta strada, prevedendo per il fondo servente destinazioni di uso pubblico, incompatibili con il compimento dell’opera necessaria per l’esercizio della servitù. 2.5. – Sennonchè, corretta la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con l’enunciazione del principio di diritto sub 2.4, occorre riconoscere che il dispositivo della sentenza impugnata è, comunque, conforme al diritto.

Invero, venuta a cessare, ai sensi dell’art. 1074 cod. civ., l’utilità della servitù, il vincolo reale rimane allo stato di quiescenza e si estingue soltanto con il decorso del termine previsto dall’art. 1073 cod. civ., se, cioè, la paralisi del diritto e delle facoltà del suo esercizio perduri per venti anni (Cass., Sez. 2^, 30 gennaio 2006, n. 1854). Ne deriva che il contrasto della servitù con la disciplina pubblicistica degli strumenti urbanistici comporta l’estinzione del diritto reale minore se l’impossibilità, da essa discendente, di realizzare l’opera necessaria per il relativo esercizio permanga per tutto il periodo di prescrizione considerato dal codice.

In altri termini, occorre che al sopravvenuto venir meno dell’utilità si accompagni l’opera dissolvitrice del tempo, perchè soltanto dopo venti anni di attesa l’ordinamento considera che non possano più essere coltivate le speranze nei confronti di un cambiamento della situazione oggettiva che ha fatto venir meno l’utilitas.

Ma nella specie la situazione di inutilità della servitù non si è protratta per il periodo di venti anni.

L’ostacolo alla realizzazione della strada privata sul fondo servente deriva(va) da un piano di lottizzazione d’ufficio, approvato in via definitiva nel 1982, che – come si desume dallo stesso ricorso per cassazione e dalla consulenza tecnica alla quale l’atto di impugnazione puntualmente rinvia nel rispetto del principio di autosufficienza – destina(va) il fondo servente "in parte a parcheggio pubblico, in parte a sede stradale, in parte ad area per la realizzazione di un mercato ed in parte a verde pubblico".

Ora, l’efficacia dei piani di lottizzazione, pur se non statuita esplicitamente dalla legge, va desunta dalla disposizione di cui alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 16, comma 5, (Legge urbanistica) – relativo ai piani particolareggiati, ma applicabile, per analogia delle situazioni, anche ai piani di lottizzazione -, che la stabilisce in dieci anni (Cons. Stato, Sez. 5^, 12 ottobre 2004, n. 6527; Cons. Stato, Sez. 6^, 20 gennaio 2003, n. 200): un termine, questo, destinato sicuramente ad operare là dove, come nella specie, le previsioni della lottizzazione abbiano carattere espropriativo (Cons. Stato, Sez. 4^, 2 giugno 2000, n. 3172).

E poichè nella vicenda il piano di lottizzazione non è stato realizzato (essendo il fondo servente rimasto nella primitiva situazione), è corretta, in diritto, la statuizione della Corte d’appello, di rigetto dell’eccezione di estinzione della servitù ai sensi dell’art. 1074 cod. civ., appunto perchè la sopraggiunta inutilità non si è protratta per un tempo coincidente con il periodo prescrizionale.

3. – Il ricorso è, dunque, rigettato, previa correzione della motivazione della sentenza impugnata.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di lite sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

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