Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto 24 febbraio 1993 M.G. ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Lecce la Sai s.p.a..
Premesso che la notte del 18 aprile 1991 ignoti avevano rubato la autovettura di sua proprietà Lancia Delta Integrale 2000 cc. immatricolata nel 1989, assicurata contro il furto presso la società convenuta e che quest’ultima non aveva inteso adempiere alla propria obbligazione, l’attore ha chiesto la condanna della Sai s.p.a. al pagamento della somma di L. 29.600.000, pari al valore di mercato di detta vettura, oltre rivalutazione e interessi.
Costituitasi in giudizio la Sai s.p.a. ha resistito alla avversa domanda eccependo, da un lato, la nullità del contratto di assicurazione ex art. 1904 c.c., atteso che il M. non era proprietario dell’auto e non aveva, quindi, alcun interesse al risarcimento del danno da furto, dall’altro, che l’auto in questione aveva subito, in precedenza, un altro furto e due gravi incidenti stradali, non denunciati dal M. al momento della stipula del contratto, sì che ha chiesto, in via principale, l’annullamento del contratto ex art. 1892 c.c., o, in subordine, la riduzione della somma dovuta ex art. 1893 c.c., comma 2, da ultimo, l’eccessività della somma reclamata.
Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza non definitiva 25 gennaio 2002 ha rigettato le eccezioni della Sai s.p.a. di nullità del contratto ex art. 1904 e di annullamento di quest’ultimo ex art. 1892 c.c., dichiarando che il M. – ai sensi dell’art. 1893 c.c., comma 2 – aveva diritto a percepire l’indennizzo per il furto in proporzione della differenza tra il premio convenuto e quello che sarebbe stato applicato se si fosse conosciuto il vero stato dell’autovettura, con condanna della Sai al pagamento della relativa somma da determinare attraverso consulenza tecnica d’ufficio.
Successivamente, espletata la consulenza tecnica del caso, con sentenza 9 luglio 2003, il tribunale ha condannato la Sai s.p.a. al pagamento della somma di Euro 3.098,74, oltre interessi legali.
Gravata tali pronunzie dal M., la Corte di appello di Lecce con sentenza 24 ottobre 2005 ha rigettato l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado in favore della Sai s.p.a..
Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 27 gennaio 2006, ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, M. G., con atto 31 marzo 2006.
Resiste, con controricorso la Fondiaria – Sai s.p.a..
Motivi della decisione
1. Ha osservato la Corte del merito, nel rigettare l’appello del M.:
– dalla documentazione agli atti risultano con certezza sia il furto sia i due gravi incidenti riportati dalla autovettura in questione prima della stipulazione del contratto di assicurazione;
– correttamente, pertanto, il ctu, pur partendo dal prezzo dell’autovettura indicato negli appositi mercuriali pubblicati su riviste specializzate, ha precisato che detti valori si riferiscono ad autovetture in stato medio di usura, mentre per l’auto de qua, in conseguenza dei detti "gravissimi sinistri" si era proceduto alla "ricostruzione della scocca" ed alla "sostituzione di gran parte dei lamierati e degli organi meccanici", con ovvia conseguente notevole svalutazione, non potendo la vettura "offrire tutte le caratteristiche di una macchina sana" nè "nascondere le riparazioni sulla stessa apportate";
– a fronte di detta – oggettiva – situazione, assolutamente irrilevanti appaiono le deposizioni di alcuni dei testi escussi che hanno riferito di una solo apparente buon funzionalità dell’autovettura, in contrasto invece con le vicende subite dalla stessa e ampiamente risultanti da tutta la documentazione agli atti.
2. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando, nell’ordine:
da un lato, "violazione e falsa applicazione dell’art. 1893 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3", atteso che nessuna dichiarazione inesatta o reticente aveva potuto rendere esso concludente al momento della conclusione del contratto assicurativo, dal momento che all’epoca era totalmente all’oscuro delle pregresse vicende relative alla vettura (primo motivo);
– dall’altro, "insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", atteso che la sentenza si fonda sulla relazione del consulente tecnico senza addurre alcuna motivazione che dia sufficiente ragione del proprio convincimento, senza tenere presente che la giurisprudenza di questa Corte ricordata in ricorso afferma che il giudice di merito è libero di seguire le conclusioni del consulente tecnico, ovvero di dissentirne, purchè sia motivazione del suo convincimento corrispondente a una diversa valutazione di tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame (secondo motivo);
– da ultimo "omessa motivazione per erronea valutazione delle risultanze istruttorie, circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5", per non avere i giudici a quibus tenuto presente quanto evidenziato dallo stesso consulente e, cioè che è chiaro che si fa preciso riferimento a tali valutazioni in assenza del mezzo da stimare, non potendo osservare l’effettiva efficienza dello stesso, nè eventuali migliorie. Si osserva, infatti, che esso concludente aveva acquistato la vettura un mese prima del furto per il prezzo di 32 milioni, corrisposto – come riferito dal venditore dell’auto, sentito come teste – quanto a 12 milioni circa mediante la cessione di una vettura data in permuta e quanto a circa 20 milioni in contanti (terzo motivo).
3. Tutti i sopra riassunti motivi sono infondati.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
3.1. Premesso, in termini generali, che le dichiarazioni inesatte o reticenti di cui agli artt. 1892 e 1893 c.c., sono le dichiarazioni rese al momento del contratto di assicurazione che impediscono all’assicuratore di valutare le circostanze influenti sul verificarsi dell’evento dannoso assicurato, aumentandone o riducendone l’alea, con conseguente riflesso sul consenso dell’assicuratore o sulle condizioni contrattuali e, in quanto tali, esse non incidono sull’oggetto del rischio assicurato, che rimane tale anche in presenza di dichiarazioni inesatte o reticenti, ma toccano il quadro circostanziale nel quale l’assicuratore ha assunto a suo carico il rischio stesso (Cass. 27 luglio 2001, n. 10292), si osserva:
– mentre presupposto dell’applicazione della norma dell’art. 1892 c.c., è che le inesattezze e le reticenze siano state determinate da dolo o colpa, presupposto per l’applicabilità della norma di cui all’art. 1893 c.c., anche nella parte in cui è regolata la riduzione proporzionale dell’indennità, è che difetti sia il dolo che la colpa grave (Cass. 19 dicembre 2000, n. 15939; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840);
– il relativo accertamento è indagine di fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in cassazione, salvo che per vizi di motivazione (Cass. 19 maggio 1998, n. 4913);
– contemporaneamente, mentre l’onere di provare che le circostanze taciute o inesattamente dichiarate sono state rilevanti nella conclusione del contratto, spetta all’assicuratore, è a carico dell’assicurato la prova che l’assicuratore, pur in presenza di sue dichiarazioni inesatte e reticenti, conoscesse la reale situazione del bene assicurato, l’effettiva entità del rischio cui esso era esposto (Cass. 19 dicembre 2000, n. 15939; Cass. 24 novembre 2003, n. 17840).
3.2. Pacifici, in diritto, i principi sopra esposti è palese che i giudici del merito si sono puntualmente attenuti agli stessi e che – di conseguenza – il primo motivo deve essere dichiarato manifestamente infondato.
Infatti:
– come osservato sopra, presupposto per l’applicabilità della norma di cui all’art. 1893 c.c., anche nella parte in cui è regolata la riduzione proporzionale dell’indennità è che difetti sia il dolo che la colpa grave, dell’assicurato nel rendere dichiarazioni "inesatte e reticenti": è assolutamente irrilevante, pertanto, al fine del decidere, che l’odierno ricorrente fosse per ipotesi totalmente all’oscuro dei sinistri occorsi alla sua vettura al momento in cui ha stipulato il contratto di assicurazione senza menzionare i detti incidenti;
– come insindacabilmente – in questa sede – accertato dai giudici del merito è certo che la società assicuratrice ha accettato di assicurare il veicolo in discussione secondo i prezzi dei "mercuriali" sul presupposto che la vettura stessa non fosse mai stata coinvolta nei gravi "incidenti" di cui, invece, era stata protagonista;
– è rimasto accertato, altresì, che per effetto dei precedenti incidenti si era proceduto alla ricostruzione della scocca e alla sostituzione di gran parte dei lamierati e organi meccanici e che era impossibile nascondere le riparazioni apportata sulla vettura;
– non avendo, come era suo onere, il M., al momento dell’acquisto del veicolo e della sottoscrizione dell’assicurazione per cui è controversia, compiuto alcun – neppur superficiale – accertamento circa la reale condizioni in cui si trovava il veicolo stesso (e il suo valore commerciale) è evidente che ha reso, quantomeno per colpa, dichiarazioni inesatte e reticenti sullo stato della res oggetto di assicurazione e che del tutto correttamente, di conseguenza, i giudici del merito hanno liquidato l’indennizzo spettante all’assicurato secondo il precetto di cui all’art. 1893 c.c., comma 2;
– anche considerato – in termini opposti a quanto suppone la difesa del ricorrente – che giusta i principi generali dell’ordinamento l’assicuratore è tenuto a risarcire il "danno" subito dall’assicurato in conseguenza del sinistro e nella specie la somma liquidata in favore del M. corrispondeva, puntualmente, al valore di mercato dell’auto assicurata, cioè la somma che lo stesso avrebbe potuto ottenere alienando a terzi il veicolo.
3. 3. Da lustri la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è fermissima nel ritenere che il giudice del merito:
– non deve spiegare le ragioni per cui ritiene di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d’ ufficio (Cass. 1 giugno 2010, n. 13433);
– quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, detto e-saurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento e, quindi, non è necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili con le conclusioni tratte (Cass. 7 luglio 2009, n. 15904, Cass. 30 aprile 2009, n. 10123, che evidenziano come in tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5).
In altri termini la consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poichè ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice del merito.
Qualora – peraltro – sia stata disposta e il giudice del merito ne condivida i risultati, il giudice non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3881;
Cass. 20 maggio 2005, n. 10668; Cass. 14 maggio 2003, n. 7485).
3.4. Pacifici i principi che precedono, non controverso che nella specie la sentenza impugnata ha fatte proprie le argomentazioni del consulente tecnico d’ufficio è palese che il lamentato vizio di motivazione, prospettato con il secondo motivo, non sussiste.
In realtà – contrariamente a quanto del tutto apoditticamente invoca la difesa del ricorrente – è censurabile la sentenza che dissente senza adeguata motivazione dalle conclusioni fatte proprie dal consulente tecnico d’ufficio e non quella che fa proprie come verificatosi nella specie tali conclusioni (cfr., in termini, Cass. 28 febbraio 1992, n. 2476; Cass. 5 maggio 1989, n. 2122, nonchè Cass. 20 marzo 1987, n. 2785; Cass. 19 febbraio 1986, n. 991, tutte richiamate in ricorso).
3.5. Manifestamente infondate, da ultimo, appaiono le considerazioni svolte nel terzo motivo, certo essendo:
– da un lato, che era onere dell’odierno ricorrente, invocare e dedurre – nel corso del giudizio di merito, e nel rispetto delle regole del contraddittorio – che erano state apportate alla vettura, poi oggetto di sottrazione da parte di ignoti, migliorie tali da aumentarne il valore di mercato: correttamente, pertanto, in assenza di qualsiasi prova al riguardo i giudici del merito hanno valutato la vettura ritenendo inesistenti tali migliorie;
– dall’altro, che è palesemente irrilevante – al fine del decidere e di pervenire a una diversa conclusione della lite – la circostanza che l’odierno ricorrente che non risulta mai abbia agito nei confronti del proprio alienante facendo valere i gravissimi vizi presenti nella vettura acquistata abbia corrisposto al venditore della vettura stessa un prezzo (in parte mediante la consegna di una vettura usata e, per la gran parte mediante il versamento in contanti, nell’anno 1990, di L. venti milioni) di gran lunga superiore al valore del veicolo acquistato: a prescindere da ogni altra considerazione – come evidenziato sopra – giusta i principi generali dell’ordinamento l’assicuratore è tenuto a risarcire il ®danno- subito dall’assicurato in conseguenza del sinistro e nella specie la somma liquidata in favore del M. corrispondeva, puntualmente, al valore di mercato dell’auto assicurata al momento in cui questa gli è stata sottratta sì che è irrilevante il diverso (maggiore) prezzo dal M. corrisposto all’alienante.
4. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 1.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.
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