T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, Sent., 15-02-2011, n. 972 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con il ricorso n. 10584/2001 R.G. (notificato in data 3 ottobre 2001 e depositato il successivo giorno 31), il signor A.M. ricorreva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale contro il Comune di Napoli avverso la disposizione dirigenziale n. 386 dell’8.6.2001, con la quale era stata disposta (a seguito di rapporto di denuncia degli agenti della Polizia Municipale del 6/12/97 e di ulteriori sopralluoghi del 3/7/2000 e del 21/11/2000) la demolizione delle seguenti opere abusive, realizzate alla via Scipione Capece n. 14/D (in area sottoposta ai vincoli di cui alle leggi 1497/39 e 431/85): "- struttura composta da pilastri e travi in ferro zincato a forma di "L’, ancorata al suolo su platea in c.l.s. con impianto idrico ed elettrico già predisposto, di superficie complessiva mq. 40,00 con altezza metri 3,50 circa; – muro lungo metri 1,20 e alto metri 1,00; – muro confinante con il balcone alto metri 3,00 a forma di "L’".

Il ricorrente rappresentava di avere realizzato nel novembre del 1997 lavori di manutenzione all’interno del giardino/terrazzo annesso all’appartamento di sua proprietà, sito in Napoli alla via Scipione Capece n. 14/D; che tali interventi si erano resi necessari a seguito delle forti piogge che avevano determinato un improvviso dilavamento di acque e terreno; che del tutto erroneamente, la Polizia Municipale di Napoli, in data 5/12/97, ritenendo che le opere in corso di esecuzione fossero sottoposte al regime concessorio, aveva proceduto al sequestro dell’intero giardino/terrazzo; che peraltro il GIP presso la Pretura circondariale di Napoli, in data 9/12/97, non aveva convalidato il disposto sequestro, ritenendo che le opere realizzate fossero di natura manutentiva; che, ciò nonostante, il Comune di Napoli aveva ordinato il ripristino dello stato dei luoghi con l’ordinanza sindacale n. 2301 del 21/1/98; che avverso tale provvedimento egli aveva proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; che successivamente, in data 23/5/2000, egli aveva presentato al Comune di Napoli denuncia di inizio attività ai fini del completamento dei lavori di manutenzione; che, successivamente, in data 15 giugno 2000, l’area era stata di nuovo sequestrata ed era stata quindi emanata la disposizione dirigenziale n. 386 dell’8/6/01.

Tanto premesso, il ricorrente deduceva l’illegittimità della suddetta disposizione dirigenziale con sei distinti motivi di ricorso, incentrati sui vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili (essenzialmente, in quanto l’opera contestata sarebbe ricompresa nella precedente domanda di condono avanzata dall’interessato ai sensi della legge n. 724/94; corrisponderebbe alla DIA del 23 maggio 2000; in ogni caso si tratterebbe di opera di manutenzione straordinaria e non di nuova costruzione, in quanto volta alla sostituzione di un preesistente capanno, nella sua originaria consistenza) e ne chiedeva, previa sospensione, l’annullamento.

Con atto notificato in data 3 dicembre 2001 e depositato il successivo giorno 4, i signori D.F.R., T.M.A., P.A., H.G., M.M., A.S., M.G., M.S., D.G., A.G., I.M.P. e G.A. (nella qualità di proprietari degli appartamenti siti nel condominio di via Scipione Capece n. 14/D) spiegavano intervento ad opponendum, producendo perizia tecnica e chiedendo il rigetto del ricorso.

In data 4 dicembre 2001, si costituiva altresì in giudizio il Comune di Napoli, depositando fascicolo contenente documentazione.

Alla camera di consiglio del 5 dicembre 2001, l’istanza cautelare, su richiesta del ricorrente, veniva rinviata a data da destinare.

Successivamente, il Comune di Napoli depositava ulteriore documentazione e memoria difensiva, rappresentando che, nelle more del giudizio, erano stati emanati ulteriori provvedimenti: in primo luogo, il provvedimento n. 370 del 29/11/02, con il quale era stata respinta l’istanza di concessione edilizia in sanatoria presentata dal ricorrente ai sensi della legge n. 724/94 in relazione ad opere edilizie realizzate nell’appartamento di sua proprietà, tra le quali anche il manufatto ubicato nel giardino/terrazzo di pertinenza dell’appartamento medesimo; in secondo luogo, il provvedimento di demolizione, n. 338 del 6/4/09, con il quale, in sostituzione dell’impugnata ordinanza n. 386 dell’8/6/01, era stata disposta di nuovo la demolizione di ufficio delle medesime opere abusive, in quanto eseguite in area vincolata. Il Comune rappresentava inoltre che il procedimento penale originato dall’esecuzione di tali opere abusive era sfociato in una sentenza definitiva di condanna del ricorrente a 6 mesi di reclusione ed al ripristino dello stato dei luoghi. Quanto al merito del ricorso, rappresentava che il manufatto di 40 mq. contestato con l’impugnata disposizione dirigenziale non sarebbe affatto preesistente, ma sarebbe stato realizzato ex novo, come dimostrato dalle risultanze del verbale di sopralluogo, dall’attività istruttoria compiuta dai competenti servizi del Comune, dalla perizia prodotta dagli intervenienti, dall’accertamento compiuto dal giudice penale ed infine dall’originaria licenza edilizia del 30 novembre 1966 relativa al fabbricato in questione.

2. Con il ricorso n. 2473/2003 R.G. (notificato in data 4 febbraio 2003 e depositato il successivo giorno 5), il signor A.M. ricorreva innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale contro il Comune di Napoli avverso la disposizione dirigenziale n. 370 prot. 4161 del 29.11.2002, con la quale era stata respinta l’istanza di concessione edilizia in sanatoria ex L. n. 724/94 dal medesimo presentata in data 28/2/95 in relazione ad alcuni manufatti eseguiti nel giardino/terrazzo relativo all’appartamento di sua proprietà, sito in Napoli alla via Scipione Capece n. 14/D, consistenti precisamente in una piccola veranda realizzata in ampliamento all’appartamento, nonché in un "capanno" di circa 40 mq. e in un "deposito" di circa 20 mq, realizzati a ridosso del muraglione di tufo posto alle spalle dell’edificio.

Il ricorrente, nel rappresentare che, nelle more del procedimento di condono, la veranda ed il capanno avevano formato oggetto di un intervento di manutenzione, a causa dei danni arrecati dalle forti piogge nel novembre del 1997 (e nel ribadire, per il resto, le medesime circostanze di fatto di cui al ricorso n. 10584/2001), deduceva l’illegittimità dell’impugnata disposizione dirigenziale con quattro distinti motivi di ricorso, incentrati sui vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto vari profili (il manufatto definibile "capanno" sarebbe preesistente al 1993, come sarebbe dimostrato da planimetria catastale del 1970; gli interventi eseguiti nel 1997 sarebbero di manutenzione straordinaria; la veranda non sarebbe stata rimossa ma sarebbe stata semplicemente smontata in occasione e nell’ambito dei predetti interventi di manutenzione; per quanto riguarda il "deposito", non sarebbe stato considerato che si tratta di struttura collocata alle spalle dell’edificio, in area del tutto priva di rilevanza paesaggistica).

Con atto contenente motivi aggiunti notificato in data 12/6/09 e depositato in data 1/7/09, il ricorrente impugnava la disposizione dirigenziale n. 338 della 6/4/09, con la quale era stata revocata la precedente disposizione dirigenziale n. 386/01 e (considerato che l’area in cui ricade l’intervento è vincolata ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e che la stessa rientra nel Piano Paesistico Posillipo) gli era stata nuovamente ordinata la demolizione delle medesime opere, peraltro eseguita a distanza di pochi giorni.

Con atto contenente motivi aggiunti notificato in data 12 novembre 2009 e depositato il successivo giorno 18, il ricorrente impugnava la disposizione dirigenziale n. 511 del 22 luglio 2009 con cui gli era stato ordinato il versamento di euro 4.749,10 per il recupero di somme anticipate per i lavori di demolizione di cui alla suddetta ordinanza n. 338 del 6 aprile 2009.

Infine, con atto contenente motivi aggiunti notificato in data 16 luglio 2010 e depositato il successivo giorno 22, il ricorrente impugnava la cartella di pagamento n. 07120100100791136, con cui gli era stato ordinato il versamento della predetta somma di euro 4.749,10, deducendone l’illegittimità esclusivamente in via derivata, per gli stessi vizi già dedotti avverso la presupposta disposizione dirigenziale n. 511 del 22 luglio 2009.

Il Comune di Napoli si costituiva in giudizio depositando memoria difensiva e documenti, chiedendo la reiezione del ricorso e dei relativi motivi aggiunti.

3. Alla pubblica udienza del 2 febbraio 2011, entrambi i ricorsi venivano introitati in decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, occorre procedere alla riunione dei due ricorsi in esame, per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva.

2. Ciò posto, il ricorso n. 10584/2001 R.G. (avente ad oggetto il provvedimento di demolizione n. 386 dell’8.6.2001) è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Come è infatti noto, l’interesse al ricorso, in quanto condizione dell’azione, deve sussistere sia al momento della proposizione del gravame, che al momento della decisione, con conseguente attribuzione al giudice amministrativo del potere di verificare la persistenza della predetta condizione in relazione a ciascuno di tali momenti (cfr. C.d.S., Sez. V, 14 novembre 2006, n. 6689).

Nel caso di specie, l’interesse fatto valere dal ricorrente con il ricorso in esame è venuto meno per l’intervenuta emanazione, in corso di causa, della disposizione dirigenziale n. 338 del 6/4/09, con la quale è stato annullato il suddetto provvedimento di demolizione n. 386 dell’8.6.2001 ed è stato disposto, in relazione al medesimo intervento edilizio, nuovo ordine di demolizione (adottato ai sensi dell’articolo 27, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001, in quanto realizzato in area vincolata ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e rientrante nel piano paesistico AgnanoCamaldoli e Posillipo, in zona RUA – D.M. del 14/12/95).

Nella fattispecie in esame, il provvedimento originariamente impugnato con il gravame introduttivo è stato quindi definitivamente superato e sostituito dalla riferita disposizione dirigenziale n. 338 del 6/4/09, adottata sulla base di una rinnovata istruttoria procedimentale.

L’interesse all’annullamento del provvedimento di demolizione impugnato con il ricorso introduttivo è, pertanto, inesorabilmente venuto meno (cfr. C.d.S., sez. IV, 27 giugno 2008, n. 3255).

Il presente gravame è conseguentemente divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (non residuando più alcun interesse alla definizione del ricorso).

3. Il ricorso n. 2473/2003 R.G. ed i relativi motivi aggiunti sono invece infondati e devono essere respinti.

4. Oggetto di impugnativa del ricorso introduttivo è la disposizione dirigenziale n. 370 del 29/11/02, con la quale è stata respinta l’istanza di sanatoria presentata dal signor M. in data 28/2/95, ai sensi della legge n. 724/94, in ordine alle seguenti opere realizzate nell’appartamento di sua proprietà alla via Scipione Capece n. 14/D, scala B, piano terra, int. 10: 1) manufatto ubicato nel giardinoterrazzo di pertinenza dell’appartamento; 2) veranda annessa al predetto appartamento; 3) piccolo deposito di mq. 21,50 e mc. 7,00.

L’impugnata disposizione dirigenziale, nel rappresentare preliminarmente che l’area di realizzazione degli abusi edilizi in questione è sottoposta a vincolo paesistico ambientale, fonda il diniego di sanatoria sulla relazione istruttoria del 28/8/01 eseguita dal Responsabile del procedimento e sul parere contrario della Commissione Edilizia Integrata espresso nella seduta del 7/3/02.

In base alla relazione istruttoria, il manufatto di cui al punto 1), eseguito in data successiva al 1993 ("post 1993"), non può essere oggetto di sanatoria "in quanto, così come dichiarato dalla parte, la configurazione attuale è frutto di una demolizione e ricostruzione di pregressa incerta consistenza tra l’altro non riportata sulla cartografia della S.T.R."; la veranda di cui al punto 2), come segnalato dal tecnico estensore della relazione descrittiva, "è stata rimossa e pertanto anche quest’ultima non può formare oggetto di concessione a sanatoria".

Conseguentemente, l’istanza relativa a tali due opere è stata respinta con la seguente motivazione: "il manufatto…risulta realizzato successivamente al 31/12/93, termine ultimo previsto dalla legge n. 724/94" e "la veranda… risulta allo stato inesistente".

L’unica opera condonabile, secondo la relazione istruttoria, era costituita da quella indicata al punto 3), vale a dire il deposito, rispetto al quale, tuttavia, la Commissione Edilizia Integrata ha espresso parere contrario,

"in quanto realizzato con materiali precari quali profilati in ferro, onduline e plastica di elevato impatto e pertanto in contrasto con l’ambiente circostante" (parere integralmente recepito nella motivazione dell’impugnata disposizione di diniego di condono).

Con i primi due motivi di ricorso (che possono essere esaminati congiuntamente, attenendo alla medesima questione), il ricorrente deduce che sia la relazione istruttoria del 28/8/01, quanto il parere della CEI del 7/3/02 si fonderebbero su presupposti errati e su di una istruttoria carente.

Per quanto riguarda il manufatto sub 1), definito "capanno", infatti, non potrebbe sussistere alcun dubbio sulla sua preesistenza al 31/12/93 nella sua attuale consistenza di superficie, volumetria e configurazione.

Tale circostanza sarebbe dimostrata dalla planimetria catastale allegata alla scheda prot. n. 70 del 20/1/19 70 (richiamata nell’atto di vendita per Notaio Linares del 23/1/1970), nella quale sarebbe riportato con assoluta chiarezza il suddetto "capanno" e dalla quale sarebbero evincibili la superficie (di circa 40 mq.) e le altezze medie (m. 2,60/2,70), nonchè dalla successiva denuncia di variazione n. 542 del 12/4/85 (per frazionamento dell’intero immobile), nella quale tale manufatto risulta classato in vani 2,5 per 45 mq. e risulterebbe assolutamente identico a quello rappresentato nell’originaria planimetria del 1970. Inoltre, sempre secondo il ricorrente, sarebbe del tutto irrilevante la mancata indicazione del capanno nei rilievi aerofotogrammetrici, in quanto lo stesso non avrebbe potuto essere ripreso dall’alto, essendo posto alla base di un muraglione di tufo di oltre 20 metri di altezza, del tutto oscurato dai rami degli alberi di alto fusto del giardino e della sovrastante via Orazio. In realtà, contrariamente a quanto asserito dal Comune, egli non avrebbe mai demolito e ricostruito il capanno con diversa configurazione, ma si sarebbe limitato ad avviare nel 1997 (ed a riprendere nel 2000) un intervento di mera manutenzione, senza alcuna variazione di superficie, volume e configurazione.

Le due censure non possono essere condivise.

Dagli atti di causa emerge infatti l’esatto contrario di quanto asserito dal ricorrente.

Il manufatto in questione (definito " capanno" dal ricorrente) è stato eseguito in epoca successiva al 1993.

A tale riguardo, occorre infatti in primo luogo richiamare i verbali di sopralluogo e sequestro operati dagli agenti della Polizia Municipale e dai Carabinieri il 5 dicembre 1997, il 15 giugno 2000 e 21 novembre 2000.

Da tali verbali (aventi efficacia probatoria privilegiata quanto ai fatti accertati: cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. VI, 11 aprile 2006, n. 3529) risulta che il ricorrente faceva dapprima realizzare su un’area a giardino di circa mq. 25 una platea in cemento armato che "si configura come camera d’aria ai fini della futura realizzazione di un vano locale" (verbale del 5/12/97) e, successivamente, una "struttura costituita da travi in ferro zincato che contestualmente stavano iniziando a essere coperte da doghe in legno ciò per costruire un manufatto da adibire a futura destinazione abitativa,… occupante una superficie complessiva di mq. 40, secondo una forma geometrica irregolare ad L, con altezza media di metri 3,50,…, in luogo di analoga ma non identica struttura in materiale ferroso ricoperta da pannelli in legno che occupava invece una superficie complessiva di mq. 27 circa…" (verbale del 15/6/2000).

Nel verbale del 21/11/2000 (redatto dalla Polizia Giudiziaria della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli), sono riportate inoltre le dichiarazioni del tecnico dell’ufficio S.A.E., geometra Alfonso Amato (secondo il quale "dalla disamina del foglio S.T.R. n. 188 levata 1987 non si assume preesistenza del manufatto oggetto del reato"), e della signora D.F.R., proprietaria e residente nell’appartamento posto al secondo piano dello stabile in questione (secondo la quale "al posto dell’attuale struttura abusivamente realizzata dal M.A. non esisteva alcun manufatto, ma solo alberi e piante").

Occorre, inoltre, in secondo luogo, richiamare la sentenza del Tribunale di Napoli, VII sezione penale, 11 giugno 2003, n. 4066/03, divenuta irrevocabile in data 19 aprile 2006, con la quale l’odierno ricorrente è stato dichiarato colpevole dei reati di cui agli articoli 20 L. n. 47/85, 1 e ss. L. n. 64/74, 163 D. Lgs. n. 409/99 "per avere, senza concessione edilizia, in zona sismica, sottoposta a vincolo, eseguito, previa predisposizione di impianti elettrici ed idrici, un’opera di profilati metallici in ferro zincato finalizzata alla realizzazione di una struttura prefabbricata a forma di L della superficie di mq. 40 e con altezza variabile tra m. 3,50 e m. 2,90", ed è stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre che alla demolizione del manufatto abusivo.

Il giudice penale ha infatti inequivocabilmente accertato, sulla base degli accertamenti compiuti dai Carabinieri della stazione di NapoliPosillipo ed all’esito dell’istruttoria dibattimentale, che "l’intervento edilizio sull’area si è sostanzialmente sviluppato nel corso degli anni che vanno dal 1997 al 2000".

Occorre, in terzo luogo, richiamare la perizia tecnica a firma del geometra A. e le allegate aereofotogrammetrie prodotte nel primo ricorso dagli interventori ad opponendum, da cui si rileva che la struttura in questione è di nuova realizzazione e che l’area di insediamento era precedentemente occupata da essenze arboree.

Infine, non può essere attribuita alcuna rilevanza alla documentazione catastale prodotta dal ricorrente, in quanto, in generale, a tali atti non può essere riconosciuta efficacia probatoria nei confronti dei terzi (trattandosi di atti provenienti dalle stesse parti interessate) ed in quanto, in ogni caso, come evidenziato dal giudice penale, nella specie, la planimetria in questione risulta contraddetta dagli accertamenti della Polizia Giudiziaria e dalle deposizioni dei testi escussi in quella sede, "che hanno riferito di fatti dei quali hanno avuto diretta percezione" (sentenza n. 4066/03).

In conclusione, alla luce di quanto precede, si deve ritenere che non sia stata posta in essere un’attività di manutenzione di una struttura preesistente, ma che il manufatto in questione sia stato realizzato "ex novo" successivamente al 31 dicembre 1993 e quindi, come giustamente ritenuto dal Comune con l’impugnata disposizione dirigenziale, non sia suscettibile di condono ai sensi della legge n. 724/94, in quanto eseguito oltre il termine massimo a tal fine previsto dall’articolo 39, comma primo, della citata legge.

Deve essere disattesa anche la terza censura.

Con tale doglianza, il ricorrente contesta il diniego di sanatoria in relazione alla veranda che, contrariamente a quanto dedotto dal Comune, non sarebbe stata "rimossa", ma "temporaneamente "smontata" solo in occasione e nell’ambito del predetto intervento di manutenzione".

È evidente che la stessa impostazione difensiva del ricorrente finisce per ammettere la circostanza dedotta dal Comune: il fatto che la veranda sia stata "smontata" (anche se soltanto "temporaneamente"), equivale in sostanza a riconoscere che sia stata "rimossa" (anche perché non è stata fornita la prova che essa sia stata successivamente rimontata).

Infine, deve essere disattesa anche la quarta ed ultima censura, concernente il deposito.

A tale riguardo, la valutazione di incompatibilità paesaggistica compiuta dalla Commissione Edilizia Integrata appare ragionevole e congrua, in considerazione della obiettiva modestia dei materiali utilizzati a dispetto dell’elevato valore paesaggistico dell’ambiente circostante (cfr. C.d.S., sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3542, secondo cui "il parere della commissione edilizia integrata in ordine alla sanatoria di costruzioni abusivamente realizzate non implica una diffusa motivazione, dovendo esso ritenersi sufficientemente motivato dall’indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di compatibilità dell’intervento edilizio con le esigenze di tutela paesistica poste a base del relativo vincolo. Anche una motivazione scarna e sintetica, laddove rilevi gli estremi logici dell’apprezzamento negativo, è, quindi, da ritenersi sufficiente").

Il ricorso introduttivo è dunque infondato e deve essere respinto.

5. Con il primo atto di motivi aggiunti, notificato in data 12 giugno 2009 e depositato il 1° luglio 2009, il ricorrente impugna la disposizione dirigenziale n. 338 del 6 aprile 2009 (recante nuovo ordine di demolizione in relazione al medesimo intervento edilizio già sanzionato con l’ordinanza n. 386 dell’8/6/01), deducendone l’illegittimità in via autonoma (con tre distinti motivi di ricorso) ed in via derivata (per gli stessi vizi già dedotti con il ricorso introduttivo avverso la disposizione dirigenziale n. 370 del 29/11/02).

Anche tale impugnativa è tuttavia destituita di fondamento.

Con il primo motivo, il ricorrente censura la violazione dell’articolo 27, comma 2°, D.P.R. n. 380/2001, in quanto l’amministrazione avrebbe omesso di considerare che le opere sanzionate, non essendo visibili dall’esterno, non sarebbero soggette ad autorizzazione paesaggistica.

La censura non può essere condivisa.

Nella specie, è pacifico (e non contestato dal ricorrente), che l’area in questione è sottoposta a vincolo paesaggistico e che rientra nel Piano Paesistico AgnanoCalmaldoli e Posillipo.

Inoltre, come si è appena visto sub 4), si tratta di opere che, ancorchè eseguite all’interno di un giardino privato, hanno comportato una rilevante modifica dello stato dei luoghi, in quanto hanno determinato la creazione di un nuovo organismo edilizio di circa mq. 40.

Ne consegue che, indipendentemente dalla loro ubicazione e dalla loro visibilità, le opere in questione avrebbero dovuto essere sottoposte alla preventiva autorizzazione della competente Autorità tutoria, ai sensi degli artt. 146, 149 e 167 D.Lgs. n. 42/2004.

In mancanza, nella specie, di qualsiasi titolo autorizzatorio, correttamente l’amministrazione comunale ha pertanto applicato la disposizione normativa in esame, la quale stabilisce che in tutti i casi di inizio o di esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate a tutela paesaggistica, il dirigente provvede, senza alcun margine di opinabilità, alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010, n. 17240, secondo cui "Lo specifico presupposto che differenzia il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 31, t.u. dell’edilizia rispetto a quello di cui all’art. 27 del medesimo testo normativo va rinvenuto nella localizzazione delle opere abusive su aree assoggettate a vincolo di in edificabilità e, quindi, nella necessità di reintegrare con immediatezza il bene protetto, pregiudicato dall’abusivo intervento edilizio. Ne consegue che, in tal caso, l’ordine di demolizione deve seguire automaticamente all’accertamento dell’illecito, senza la necessità di una preventiva notifica della diffida a demolire e senza alcun margine per valutazioni discrezionali, al fine di impedire che il trascorrere del tempo determini il consolidarsi di situazioni soggettive che potrebbero impedire l’applicazione della sanzione ripristinatoria" cfr., altresì, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 08 maggio 2008, n. 3646, secondo cui "in zona vincolata l’acquisizione del titolo abilitativo per opere che comportano aumento di volumetria deve essere preceduta, ai sensi dell’art. 147, l. n. 42 del 2004, dall’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, cosicché non è possibile acquisire tale atto di assenso dopo la realizzazione dell’opera, stante il divieto di rilascio di autorizzazioni paesistiche in sanatoria").

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere, in quanto l’amministrazione si sarebbe pronunciata a distanza di più di nove anni dal primo ordine di demolizione e senza attendere la definizione del giudizio avverso il diniego di condono, omettendo peraltro qualsiasi motivazione sul pubblico interesse alla demolizione.

Anche tale censura non coglie nel segno.

Nel sistema normativo delineato dalla legge n. 47/85 (e ripreso dall’articolo 39 della legge n. 724/94), il diniego di sanatoria comporta l’applicazione delle sanzioni previste per l’opera abusiva eseguita (cfr. art. 40 L. n. 47/85, nonché art. 39, comma 4°, L. n. 724/94).

Nella fattispecie in esame, trattandosi di opera eseguita senza permesso di costruire in area sottoposta a vincolo paesaggistico, la sanzione applicabile è quella demolitoria.

La legge non pone alcun onere a carico del Comune di attendere l’esito dell’eventuale giudizio proposto dall’interessato avverso il diniego di sanatoria.

Né d’altra parte è configurabile uno specifico onere motivazionale sul pubblico interesse, sia perché si tratta di area vincolata (per la quale l’interesse pubblico è in re ipsa), sia perché la nuova demolizione disposta con l’impugnato provvedimento non ha comportato alcuna forma di autotutela rispetto al precedente provvedimento n. 386 dell’8/6/01, con il quale era pur sempre stato disposto un ordine dal medesimo contenuto (demolitorio).

Con la terza censura, il ricorrente deduce il vizio di mancata applicazione dell’articolo 22 D.P.R. n. 380/01, in quanto le opere sanzionate coinciderebbero con quelle indicate nella denuncia di inizio attività presentata il 23 maggio 2000, con la conseguenza che l’amministrazione avrebbe dovuto previamente provvedere in via di autotutela a rimuovere il provvedimento tacito di assenso formatosi sulla suddetta denuncia.

Anche tale censura non può essere condivisa.

La doglianza è in primo luogo inammissibile, in quanto presuppone il perfezionamento della denuncia di inizio attività, che invece, nella specie, è da escludere.

Ai sensi del sesto comma dell’invocata disposizione normativa, infatti, ai dedotti fini, per interventi edilizi di eseguire sugli immobili sottoposti a tutela paesaggistica, è necessario il preventivo rilascio del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (parere che, nella specie, non risulta essere stato affatto reso).

La doglianza è comunque infondata, stante la totale diversità dei lavori denunciati dall’interessato (revisione dell’impianto fognario, sollevamento di 2 cm. della soglia di accesso alla veranda, sostituzione di pannelli in legno di un capanno prefabbricato), rispetto a quelli realmente eseguiti (consistenti, per quanto sopra, nella costruzione di un manufatto di 40 mq.).

L’amministrazione, anche sotto tale profilo, ha correttamente applicato la norma in esame (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 17 giugno 2009, n. 4066, secondo cui "il decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della denunzia di inizio attività comporta, ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, la decadenza dell’amministrazione comunale dal potere di inibire i lavori; tuttavia, qualora l’attività edilizia sia illegittima in quanto non rispondente alle norme di legge o di regolamento, ovvero alle prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico, residua in capo all’amministrazione comunale il generale potere repressivo degli abusi edilizi, di cui dall’art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001").

Per quanto riguarda le censure dedotte in via derivata, le stesse si appalesano infondate, alla luce delle considerazioni più sopra svolte nel punto 4) che precede.

6. Con il secondo atto contenente motivi aggiunti (notificato in data 12 novembre 2009 e depositato il successivo giorno 18), il ricorrente impugna la disposizione dirigenziale n. 511 del 22 luglio 2009, con cui gli è stato ordinato il versamento di euro 4.749,10 per il recupero delle somme anticipate per i lavori di demolizione eseguiti in esecuzione dell’ordinanza n. 338 del 6 aprile 2009, deducendone l’illegittimità in via autonoma (con un unico motivo di ricorso) ed in via derivata (per gli stessi vizi già dedotti con il primo atto di motivi aggiunti depositato il 1° luglio 2009, avverso la disposizione dirigenziale n. 338 del 6/4/09).

Anche tale impugnativa è tuttavia destituita di fondamento.

Con il primo ed unico motivo svolto in via autonoma, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 41, comma primo, del D.P.R. n. 380/2001, in quanto sarebbe stato omesso, nella specie, un indefettibile passaggio procedimentale, costituito dall’approvazione, da parte della giunta comunale, del computo posto a base dell’ordinanza di recupero.

La censura è priva di fondamento.

L’art. 32, comma 49 ter, D.L. n. 269/03 (conv. L. n. 326/03), ha infatti sostituito integralmente il testo della norma richiamata dal ricorrente, eliminando ogni riferimento ad atti di approvazione della giunta comunale.

Le censure dedotte in via derivata sono infondate per le ragioni più sopra esposte nei punti 4) e 5) che precedono.

7. Infine, deve essere respinto anche l’atto contenente motivi aggiunti notificato in data 16 luglio 2010 e depositato il successivo giorno 22 (avente ad oggetto la cartella di pagamento n. 07120100100791136, con cui gli è stato ordinato il versamento della predetta somma di euro 4.749,10), in quanto il ricorrente ne deduce l’illegittimità esclusivamente in via derivata (per gli stessi vizi già dedotti avverso la presupposta disposizione dirigenziale n. 511 del 22 luglio 2009), per cui, al riguardo, non può che richiamarsi quanto già considerato nei punti 4), 5) e 6) che precedono.

8. le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), preliminarmente riuniti i ricorsi in epigrafe, così provvede:

1) dichiara improcedibile il ricorso n. 10584/2001 R.G.;

2) respinge il ricorso n. 2473/2003 R.G. ed i relativi motivi aggiunti.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Napoli della somma di euro 2.000,00 (duemila) e degli interventori ad opponendum della somma di euro 1.000,00 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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