Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Genova, con sentenza in data 12/3/2008, dichiarava M.L. e T.A. responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti di truffa, (per avere ottenuto, con artifizi e raggiri, dalla Fiat Sava s.p.a. due finanziamenti, rimasti in tutto o in parte insoluti, con i quali acquistavano altrettanti auto) e falso (per avere il M. utilizzato una carta d’identità falsa e entrambi un falso modello unico 2005) e condannati, escluso il concorso di persone, con la continuazione e la riduzione per il rito, alla pena, il M., di anni uno di reclusione e Euro 400 di multa e il T. alla pena di mesi 10 di reclusione e Euro 400 di multa.
La Corte di appello di Genova, con sentenza in data 25/11/2009, in parziale riforma della sentenza, appellata degli imputati, assolveva entrambi dal reato di falso relativo al modello unico dei redditi, determinando la pena per il M. in mesi 11, giorni 10 reclusione e Euro 300 di multa e per il T. in mesi otto, giorni 20 di reclusione e Euro 300 di multa.
Proponevano ricorso per Cassazione M.L. e il difensore di T.A..
Il M. deduceva la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 544, 545 e 546 c.p.p. per omessa motivazione sul motivo di gravame relativo alla dedotta consumazione del reato di truffa a carico del ricorrente in data 16 novembre 2005, che consente l’applicazione dell’indulto e non, invece, nell’agosto 2006, così come deciso dal giudice di prime cure.
Il T. deduceva i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione alla qualificazione del reato di truffa per illogicità della motivazione per difetto del presupposto costitutivo del reato, ritenendo insussistenti gli artifizi e raggiri necessari ai fini della commissione del reato di truffa, non essendo il modello CUD essenziale per la concessione del finanziamento, avendo provveduto personalmente al pagamento delle prime rate del mutuo non apparendo rilevante, a tal fine il riferimento, nella motivazione della sentenza, ad una falsa denuncia di smarrimento del documento di identità;
b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), non essendo ascrivibile al ricorrente alcun tipo di dolo, essendo, tutt’al più, la condotta riconducibile a un illecito di natura civilistica;
c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per erronea applicazione della legge penale, non avendo la Corte contenuto la pena nel minimo edittale e non avendo concesso all’imputato le attenuanti generiche.
Motivi della decisione
Entrambi i ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili.
1) Con riferimento al ricorso del M. la Corte di appello ha individuato, nel 16 novembre 2005 l’epoca di consumazione del reato di truffa, anche se non ne ha fatto menzione nel dispositivo.
Peraltro l’epoca del commesso reato non risulta nel capo di imputazione e la specificazione della Corte è sufficiente al fine della valutazione della eventuale concedibilità dell’indulto in sede esecutiva. Va, quindi, rilevata la carenza di interesse alla proposizione del ricorso.
2) Anche il ricorso del T. è manifestamente infondato.
La Corte ha escluso il reato di falso contestato per il CUD esibito alla società finanziaria non per la veridicità dei dati in esso contenuti, trattandosi di dati inesistenti, ma per le caratteristiche del documento, prodotto in copia, in mancanza di qualunque attestazione pubblicistica sulla conformità all’originale che ne escludono la natura di certificazione amministrativa, confermando tuttavia la falsità dei dati contenuti che hanno indotto in errore la società finanziaria ai fini della concessione del finanziamento richiesto. Le modalità della condotta, caratterizzate dalla falsa documentazione relativa ai redditi percepiti e dalla falsa denuncia di smarrimento del documento d’identità per impedire e rendere maggiormente difficoltosa la identificazione del ricorrente, costituiscono, a giudizio della Corte territoriale, con motivazione coerente e logica, la prova del dolo del reato di truffa, avendo i giudici di merito ben specificato che, se il ricorrente avessi avuto l’effettiva volontà di pagare il debito, non si comprenderebbe la ragione della falsa denuncia di smarrimento del documento d’identità utilizzato per la stipula del contratto, evidentemente preordinata a far credere che altri avesse utilizzato tale documento.
Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di Cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.
Anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato.
Correttamente la Corte ha ritenuto valida la motivazione del giudice di primo grado in relazione alla determinazione della pena, anche se superiore al minimo applicabile, considerato i gravi e numerosi precedenti specifici del ricorrente che dimostrano la sua persistente propensione a delinquere, ragioni per le quali non sono state concesse le attenuanti generiche. Quanto sopra è in perfetta linea con la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema che ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 -Rv. 230691). Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte – condivisi dal Collegio ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative, ritenute di preponderante rilievo. (Si veda Sez. 1, Sentenza n. 3772 del 11/01/1994 Ud. -dep. 31/03/1994 – Rv. 196880). Infatti la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè, come nel caso di specie, congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato. (Sez. 6, Sentenza n. 7707 del 04/12/2003 Ud. – dep. 23/02/2004 – Rv. 229768).
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.
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