T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-02-2011, n. 1588

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espongono i ricorrenti M.A., S.L., E.P. e A.P. di essere, rispettivamente, consigliere regionale della Regione Abruzzo, consigliere comunale di Bussi sul Tirino, consigliere comunale dell’Aquila e soggetto residente nel comune di L’Aquila.

In dette qualità, espongono i ricorrenti di essere titolari di legittimazione ad agire e di interesse ad agire avverso l’ ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2009, n. 3833, di cui domandano l’annullamento in parte qua.

Lamentano al riguardo gli esponenti che l’ordinanza, che ha fatto seguito al decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, emanato per far fronte all’emergenza determinatasi nella regione Abruzzo per effetto degli eventi sismici dell’aprile 2009, poi convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, nelle parti oggetto di impugnativa, è intervenuta anche su ambiti ultronei rispetto alla gestione dell’emergenza sismica, ed, in particolare, sulle funzioni di pianificazione del territorio, che sono state illegittimamente attribuite ad organi monocratici straordinari (Presidente della Regione, Sindaco di L’Aquila, sindaci dei comuni ricompresi nel cratere sismico), così realizzando un nuovo disegno degli assetti istituzionali della Regione, che esautora le comunità locali e le relative assemblee elettive, in dispregio all’ordinario regime delle competenze vigente nell’ordinamento e alle stesse disposizioni della decretazione d’urgenza.

In particolare, avverso l’art. 2, comma 5 dell’ o.p.c.m. 3833/09, che ha previsto che i sindaci dei comuni ricompresi nel c.d. cratere sismico assicurano "d’intesa con il Commissario delegatoPresidente della regione Abruzzo, sentito il Presidente della Provincia, e d’intesa con quest’ultimo nelle materie di sua competenza, la ripianificazione del territorio comunale", i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 12bis del d.l. 39/09, convertito dalla l. 77/09, che, in armonia alla tradizionale attribuzione delle competenze nella materia, ha, invece, attribuito il compito della ripianificazione urbanistica ai comuni (primo motivo).

La stessa doglianza è ribadita dai ricorrenti avverso l’art. 2, comma 2 dell’ o.p.c.m. 3833/09, che ha previsto che "il Sindaco del Comune di L’Aquila, avvalendosi anche della Struttura di missione di cui all’art. 4, predispone, d’intesa con il Presidente della Regione AbruzzoCommissario delegato…sentito il Presidente della Provincia, e d’intesa con quest’ultimo nelle materie di sua competenza, la ripianificazione del territorio comunale…" (secondo motivo).

I ricorrenti lamentano poi la violazione degli artt. 5 e 2 della l. 24 febbraio 1992, n. 225 e l’eccesso di potere per difetto dei presupposti. In particolare, i ricorrenti sostengono che la l. 225/92 circoscrive il potere di emanazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di protezione civile, conseguenti a dichiarazioni di stato di emergenza, agli interventi di prima necessità, ovvero a quelli finalizzati a rimuovere gli ostacoli per la ripresa delle normali condizioni di vita. Di talchè, secondo i ricorrenti, tale potere, com’è consono alla materia delle ordinanze contingibili ed urgenti, astrette dai limiti oggettivi e temporali ben noti alla giurisprudenza, e com’è manifesto alla luce dell’art. 5, comma 2 della l. 225/92, che, nel regolare l’esercizio a mezzo di ordinanze del potere di deroga, salvaguarda espressamente non solo i principi generali dell’ordinamento giuridico, ma anche, con il rimando agli artt. da 12 a 16 della legge stessa, le competenze regionali, provinciali, prefettizie e comunali per le operazioni di protezione civile, giammai potrebbe essere utilizzato – anche considerando che la l. 77/09 ha già compiutamente disciplinato l’attività di ricostruzione post sisma – per stabilire, per giunta senza porre alcun limite temporale, le modalità di ripianificazione del territorio, ossia per assumere provvedimenti complessi destinati a produrre effetti permanenti nella vita delle comunità aquilane (terzo motivo).

I ricorrenti espongono inoltre che le impugnate disposizioni contrastano:

– con l’art. 117 della Costituzione, che affida alle regioni la materia del governo del territorio, e la relativa potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservati alla legislazione dello Stato, nonchè con la legge regionale 189 del 1993, che ha disciplinato per la Regione Abruzzo le procedure di pianificazione, attribuendone la competenza ai consigli comunali. Quest’ultima, si sostiene da parte ricorrente, non potrebbe mai essere derogata da un provvedimento amministrativo, quale l’ordinanza impugnata, che è fonte normativa di rango inferiore (quarto motivo);

– con l’art. 42, comma 2, lett. b) del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (tuel), che attribuisce ai consigli comunali il compito di redigere i piani territoriali ed urbanistici (quinto motivo).

Parte ricorrente ritiene ancora illegittimo l’art. 1, comma 1 dell’ordinanza impugnata, che attribuisce al Presidente della regione Abruzzo le funzioni di Commissario delegato per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma. Al riguardo, rilevato che l’ordinanza non indica espressamente i compiti affidati al Commissario, ma che gli stessi sono comunque ricostruibili sulla base dei compiti affidati alla Struttura di missione di cui il Commissario è stato autorizzato ad avvalersi dalla stessa ordinanza, i ricorrenti osservano che il Commissario è stato sostanzialmente chiamato a svolgere funzioni di stazione appaltante unica per gli interventi pubblici nell’area del cratere, di cui cura gli aspetti finanziari, pianificatori e di istruttoria, e deducono eccesso di potere per difetto dei presupposti, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, l. 225/92, che prevede che pel caso di avvalimento di commissari, il provvedimento di delega indichi il contenuto dell’incarico e i tempi e le modalità del suo esercizio. I ricorrenti sostengono inoltre che tali competenze esorbitano anche i limiti oggettivi degli interventi emergenziali di cui all’art. 5 della stessa legge (sesto motivo).

Sempre tenendo conto dei compiti attribuiti dall’ordinanza al Presidente della regione Abruzzo nelle funzioni di Commissario delegato, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 118 Cost., del tuel nella parte in cui definisce la competenza della provincia di L’Aquila e dei comuni, e dello statuto regionale. Ciò in quanto rilevano i ricorrenti che alcuni di tali compiti (funzione di programmazione delle risorse finanziarie disponibili per la ricostruzione; pianificazione degli interventi sul territorio; attività di controllo relativa alla tracciabilità, monitoraggio e trasparenza degli interventi; monitoraggio dell’attuazione degli interventi, anche sotto il profilo finanziario e procedurale nonchè individuazione delle criticità e delle relative soluzioni) sono sostanzialmente identici a quelli che l’art. 13 dello statuto riserva al Consiglio regionale, con conseguente sovvertimento dei rapporti istituzionali sia interni all’Ente regionale (ove, a regime, al Presidente della Regione è sostanzialmente attribuita una funzione meramente attuativa delle decisioni del Consiglio regionale) sia rispetto agli altri enti territoriali (settimo motivo).

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei ministri e il Presidente della regione Abruzzo, nella qualità di Commissario delegato ex o.p.c.m. 3833/09, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domandando il rigetto del gravame, di cui assumono la infondatezza.

Sostengono i nominati resistenti che l’impianto che permea il ricorso non tiene conto né del contesto emergenziale che l’atto impugnato è destinato a fronteggiare, né della circostanza che è lo stesso decreto legge 39/09 ad attribuire al Presidente della regione Abruzzo la qualifica di Commissario delegato per la realizzazione degli interventi di ripristino degli immobili danneggiati dagli eventi sismici (art. 4, comma 2), nonché a prevedere l’attuazione degli interventi di ricostruzione mediante ordinanze ex art. 5, comma 2 della l. 225/92 (art. 1, comma 1). La gravata ordinanza, pertanto, secondo l’amministrazione centrale, non contraddirebbe in alcun modo né con la decretazione d’urgenza, né con l’ordinario sistema di competenze e di funzioni in materia di pianificazione del territorio, atteso che tali funzioni sono state attribuite ai sindaci, quali rappresentanti degli enti territoriali locali. Sostiene ancora la detta amministrazione che non vi è dubbio che nella specie soccorrevano tutti i presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza in deroga di cui all’art. 5, comma 2 della l. 225/92, e che il superamento della situazione di emergenza non può non comportare l’assunzione di provvedimenti, e in specie di quelli relativi alla ripianificazione del territorio, senz’altro ad esso fine intimamente connessi, i quali, ancorchè straordinari, sono destinati ad avere effetti nel tempo: non sarebbe conseguentemente ravvisabile neanche un problema di patologica ultrattività degli stessi, tenendo conto della loro giustificatezza e legittimità all’atto dell’adozione.

Anche il Comune di L’aquila, parimenti costituitosi in resistenza, ha eccepito l’infondatezza del gravame, sostenendo che l’impianto ricorsuale difetta nel coordinare la gravata ordinanza con l’impianto normativo nel quale essa si inserisce. Applicando tale necessario criterio interpretativo, sostiene il Comune, non è ravvisabile a favore del sindaco alcuna spoliazione delle competenze che l’art. 42 del tuel riserva ai consigli comunali, atteso, sotto il profilo formale, che l’ordinanza non indica tale articolo tra le norme derogate, e, sotto il profilo sostanziale, che nel relativo contesto provvedimentale il richiamo alle competenze ed alle funzioni del sindaco è riferito all’organo nella precipua qualità di capo dell’amministrazione locale, ovvero di soggetto tenuto a promuovere ed ad assicurare la realizzazione dell’attività di pianificazione del territorio di competenza, e ciò secondo le vigenti norme di legge, di statuto e di regolamento. Il Comune resistente spiega infine eccezione di carenza di interesse da agire dei ricorrenti.

Con ordinanza 15 aprile 2010, n. 1661 la domanda di sospensione interinale degli effetti degli atti impugnati formulata in via incidentale dalla parte ricorrente è stata respinta.

Parte ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive

Il gravame è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 10 novembre 2010.
Motivi della decisione

1. E’ sottoposta all’esame del Collegio l’ ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2009, n. 3833, recante interventi urgenti diretti a fronteggiare gli eventi sismici verificatisi nella regione Abruzzo nell’aprile 2009, di cui ricorrenti domandano l’annullamento in parte qua, lamentando che la stessa, nelle parti oggetto di impugnativa, è illegittimamente intervenuta anche su aspetti estranei alla gestione dell’emergenza, ed, in particolare, sulle funzioni di pianificazione territoriale, che sono state attribuiti ad organi monocratici (Presidente della Regione, Sindaco di l’Aquila, sindaci dei comuni ricompresi nel cratere sismico), con l’effetto di realizzare un nuovo disegno degli assetti istituzionali che esautora le comunità territoriali e le relative assemblee elettive di funzioni di cui esse sono attributarie per legge, anche di rango costituzionale, al di fuori degli stretti limiti in cui ciò permettono la l. 24 febbraio 1992, n. 225 ("Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), le disposizioni della decretazione d’urgenza dedicate all’evento sismico ( d.l. 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni dalla l. 24 giugno 2009, n. 77), ed i correlati principi generali dell’ordinamento nazionale.

2. E’ d’uopo affrontare prioritariamente l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse da agire ex art. 100 c.p.c. dei ricorrenti spiegata dal resistente Comune di L’Aquila.

2.1. E’ noto che, per costante giurisprudenza, nel processo amministrativo impugnatorio, l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla rinvenibilità, ad opera del provvedimento di cui si assume la illegittimità, di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente, cui consegue l’effettiva utilità che a quest’ultimo deriva dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato.

E’ noto altresì che, per l’ipotesi di provvedimenti a carattere generale, non destinati cioè a produrre effetti nell’ambito di una o più sfere giuridiche ben determinate, la sopra detta condizione si manifesta quando la posizione soggettiva di cui si domanda la tutela giudiziale possa essere collegata, con carattere di stabilità, ad una situazione differenziata rispetto a quella in cui versa il quisque de populo, che permetta di identificare l’esatto bene della vita che dall’iniziativa dei pubblici poteri si assume pregiudicato, e che consenta di dimostrare che tale bene, non appartenente identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti (che fa escludere, per definizione, che alcuno di essi ne abbia totale ed esclusiva disponibilità), possa essere rivendicato uti singulus, ai fini del ripristino della situazione giuridica eventualmente lesa.

2.2. Applicando tali principi al caso di specie, deve riconoscersi che i ricorrenti M.A., S.L. ed E.P., che hanno rappresentato, senza trovare alcuna contestazione sul punto da parte delle amministrazioni resistenti (ed anzi il comune di L’Aquila ha confermato l’assunto), di rivestire le qualità di consigliere regionale della Regione Abruzzo, di consigliere comunale di Bussi sul Tirino (PE) e di consigliere comunale di L’Aquila, vanno riconosciuti titolari dell’interesse ad agire avverso la gravata ordinanza.

Trattasi, invero, di soggetti elettivamente incardinati in un munus pubblico, che lamentano la lesione, ad opera dell’ordinanza impugnata, del jus ad officium, e segnatamente delle prerogative di partecipazione alla determinazione delle politiche di ricostruzione facenti capo ai rispettivi organi di appartenenza, ovvero un bene di loro specifica pertinenza, nonché pienamente suscettibile di essere ripristinato mediante l’accertamento giudiziale dell’eventuale illegittimità e conseguente annullamento dell’atto gravato.

2.3. L’eccezione deve invece essere accolta in relazione al ricorrente A.P., che dichiara di agire in qualità di mero residente nel comune di L’Aquila, posizione cui non è ricollegabile neanche astrattamente, alcuna lesione concreta e diretta, giuridicamente rilevante, ad opera dell’impugnata ordinanza.

Non sussiste, pertanto, alcun interesse, normativamente qualificato e differenziato, idoneo a far condurre in via giudiziale, nei suoi specifici confronti, la verifica della conformità a legge dell’assetto regolatorio derivato dall’atto impugnato, che, in ogni caso, non risulterebbe idonea ad arrecare al soggetto una qualche utilità..

Né è sostenibile, come pure si sostiene da parte ricorrente nella memoria difensiva depositata in corso di causa, che la rilevata carenza possa essere superata invocando l’art. 9 ("Azione popolare e delle associazioni di protezione ambientale"), del d. lgs. 18 aprile 2000, n. 267 (tuel), che prevede che ciascun elettore possa far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia.

L’istituto, invero, come precisato dalla giurisprudenza, configura un caso di azione popolare in sostituzione dell’ente locale da parte del cittadino elettorale, riguarda azioni di tipo sostitutivo, ovvero in cui il comune o la provincia abbiano omesso di esercitare le azioni ed i ricorsi che gli competevano, e non correttivo, ovvero in cui gli attori si pongono in contrasto con l’ente stesso (C. Stato, V, 28042001, n. 2889; da ultimo, 29042010, n. 2457), e determina una grave limitazione dell’autonomia dell’ente, non configurabile in mancanza di un serio e fondato motivo (C. Stato, V, 8102003, n. 5034).

Il ricorso al rimedio, di sì peculiare natura, richiede pertanto un rigoroso accertamento dei relativi presupposti, che non risultano al Collegio rinvenibili nello scenario investito dal presente gravame.

Basti, al riguardo, limitarsi a rilevare che il Perrotti non ha dichiarato di agire in sostituzione processuale del comune di appartenenza, né ha provato la qualità di elettore del comune stesso.

Nei suoi confronti, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza di interesse a ricorrere.

3. Può passarsi quindi all’esame del merito del gravame.

4. A partire dal 6 aprile 2009 il territorio della provincia di l’Aquila e di altri comuni della regione Abruzzo è stato colpito da eccezionali eventi sismici.

In relazione a tale evento, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2009 è stato dichiarato lo stato d’emergenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225. Con ordinanza n. 3753 di pari data del Presidente del Consiglio dei ministri sono stati deliberati alcuni interventi urgenti.

Per il superamento del contesto emergenziale è poi intervenuto il decreto legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito dalla legge 24 giugno 2009, n. 77.

Ha fatto seguito, tra altro, l’atto parzialmente impugnato in questa sede, ovvero l’ ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3833 del 22 dicembre 2009, adottata ai sensi dell’art. 5 della l. 225792, recante ulteriori interventi urgenti diretti a fronteggiare gli eventi sismici,.

5. Seguendo l’ordine logico delle argomentazioni spese in ricorso, è il caso di chiarire immediatamente che non è condivisibile la tesi dei ricorrenti che la normazione d’urgenza di cui al sopra citato d.l. n. 39 del 2009 ed alla legge di conversione n. 77 del 2009 abbia disciplinato l’attività di ricostruzione post sisma mediante un sistema di interventi organico e compiuto, eppertanto insuscettibile di essere integrato con un nuovo ricorso al rimedio delle ordinanze in deroga di cui all’art. 5 della l. n. 225 del 1992.

Se, infatti, è vero, come sostengono i ricorrenti, quale unica argomentazione a sostegno della tesi, che la predetta normativa reca direttamente non poche misure ben determinate per il superamento dell’emergenza, delineandone i relativi termini e finalità (quali: la progettazione e realizzazione di moduli abitativi, art. 2; la ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo e indennizzi a favore delle imprese, art. 3; la ricostruzione e funzionalità degli edifici e dei servizi pubblici, art. 4; la sospensione dei processi civili, penali e amministrativi, rinvio delle udienze e sospensione dei termini, comunicazioni e notifiche di atti, art. 5, ed altre), è parimenti vero che il potere di adozione delle citate ordinanze, cd. derogatorie o "libere" (Cass. SS.UU., 7 marzo 2006, n. 4813), è espressamente richiamato dall’art. 1 dello stesso decreto 39/09, che, prima di definire le specifiche misure sopra menzionate, richiama innanzitutto, ai commi 1 e 2, le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 5, comma 2, della l. 225/92, "necessarie e per l’attuazione del decreto".

Di talchè, tenendo conto, da un lato, dell’espresso rimando del legislatore, e, dall’altro, della portata dell’evento calamitoso in argomento, è francamente implausibile, e resta comunque indimostrato nel presente giudizio, che gli interventi disposti direttamente dal legislatore con la decretazione d’urgenza, pur abbracciando un vasto raggio di azione, abbiano del tutto esaurito le misure di emergenza da adottarsi nella fattispecie.

5.1. I ricorrenti affermano comunque che il presupposto che legittima l’adozione delle ordinanze ex art. 5, l. 225/92, seppur richiamate dalla normazione d’urgenza, resta la impossibilità di fronteggiare tempestivamente un evento straordinario se non con il ricorso – temporaneo – a poteri parimenti straordinari.

L’elemento è senz’altro condivisibile sotto un profilo astratto, attesa la natura contingibile e straordinaria di siffatte ordinanze, che fa escludere che il rimedio possa assumere la funzione di mero strumento attuativo della legge. Diversamente opinando, si determinerebbe una palese sproporzione tra la finalità da perseguire ed il mezzo utilizzato, che l’ordinamento giuridico nazionale confina tra i provvedimenti a carattere eccezionale, e che mal tollera, conseguentemente, un utilizzo non giustificato dalla estrema peculiarità della situazione da fronteggiare.

Essa non appare, però, decisiva a far concludere che, alla data di adozione dell’atto impugnato, detto presupposto fosse insussistente, conclusione che, come già sopra accennato, non è in alcun modo confortata nell’impianto ricorsuale da alcuna evidenza, tale da poter essere apprezzata nella presente sede.

Ne consegue che deve essere respinto, perché infondato, il profilo di gravame di cui al terzo motivo di ricorso (violazione degli artt. 5 e 2 della l. 24 febbraio 1992, n. 225; eccesso di potere per difetto dei presupposti), nella parte in cui i ricorrenti escludono in radice che sussistesse in capo allo Stato, dopo il d.l. 39/09 e la relativa legge di conversione, il potere di adottare ordinanze ex art. 5, l. 225/92.

Di contro, deve convenirsi con la resistente amministrazione centrale quando afferma che, sia a termini espressi della citata decretazione d’urgenza, che lasciano supporre che il legislatore fosse ben consapevole della insufficienza delle misure introdotte con legge a governare la straordinarietà della situazione emergenziale, sia considerata la vastità e la gravità della situazione stessa, sussistevano nella fattispecie tutti i presupposti per l’esercizio del potere di ordinanza in deroga, e ciò anche successivamente al d.l. 39/09 ed alla relativa legge di conversione.

5.2. Sempre mediante il terzo motivo, i ricorrenti sostengono che dalle misure provvedimentali assunte con le ordinanze derogatorie devono conseguire esclusivamente effetti transitori. E, nell’ipotesi, l’impugnata ordinanza risulterebbe viziata in quanto, contrariamente a tale assunto, disciplina l’adozione, da parte dei sindaci, di atti pianificatori, destinati, per definizione, ad avere durata nel tempo.

Al riguardo, si osserva che – in disparte ogni questione relativa all’apprezzamento della legittimità, sotto altro profilo, dell’affidamento ai sindaci del potere di adozione degli atti pianificatori, di cui in seguito – la censura non può condurre agli esiti sperati.

Non è chi non veda, infatti, e anche qui deve convenirsi con la resistente amministrazione centrale, che il superamento della situazione di straordinaria emergenza che le ordinanze in parola sono destinate ad assicurare, soprattutto qualora essa si presenti, come nella fattispecie, di sì ingenti proporzioni, sia per la particolare virulenza dell’evento calamitoso che l’ha determinata, sia per la vastità del territorio colpito, può e, anzi, talvolta, deve comportare, oltre all’adozione delle misure contingenti volte a soddisfare bisogni primari, l’urgente avvio di ogni attività da parte di pubblici poteri utile a favorire a regime il ripristino delle condizioni indispensabili per il ritorno allo svolgimento di una normale condizione di vita.

Di talchè la circostanza che l’avvio di siffatte intraprese sia promosso mediante l’assunzione di provvedimenti straordinari non può far escludere, in astratto, ovvero di per se, che alcune di esse, qualora sicuramente al sopra detto stringente fine connesse, siano suscettibili di avere effetti nel tempo, senza che, per ciò solo, si versi nel campo di una patologica ultrattività delle misure disposte in via di emergenza, e sempre che, naturalmente, queste ultime siano state adottate in presenza delle condizioni normative e fattuali che ne legittimano l’adozione.

6. Le tesi ricorsuali non possono nemmeno essere seguite laddove (sesto motivo: eccesso di potere per difetto dei presupposti; violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, l. 225/92) avversano l’art. 1, comma 1 dell’ordinanza 3833 impugnata, ritenendo illegittima, coerentemente con l’impostazione rinveniente dalle censure sopra esaminate, di cui è stata già acclarata l’infondatezza, l’attribuzione al Presidente della regione Abruzzo delle funzioni di Commissario delegato per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma. I ricorrenti non mancano di dolersi anche della nomina del Sindaco di L’Aquila quale Vicecommissario vicario (art. 2, comma 1 dell’ordinanza gravata).

Al riguardo, pur in disparte l’apprezzamento della fondatezza delle specifiche difese sul punto svolte dall’amministrazione resistente – secondo cui sarebbe lo stesso decreto legge 39/09 (art. 4, comma 2) ad aver attribuito al Presidente della regione Abruzzo la qualifica di Commissario delegato per la ricostruzione, ma di tale argomentazione i ricorrenti hanno sconfessato la validità – appare utile rammentare che la Corte Costituzionale (14 luglio 2006, n. 284), in relazione alle ordinanze ex art. 5, l. 225/92, ha chiarito che "con la legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile), il legislatore statale "ha rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a carattere policentrico" (sentenze n. 129 del 2006 e n. 327 del 2003). In tale prospettiva, le competenze e le relative responsabilità sono state ripartite tra i diversi livelli istituzionali di governo in relazione alle seguenti tipologie di eventi che possono venire in rilievo: eventi da fronteggiare mediante interventi attuabili dagli enti e dalle amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera a); eventi che impongono l’intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2, comma 1, lettera b); calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità o estensione, richiedono mezzi e poteri straordinari (art. 2, comma 1, lettera c)."

Con la conseguenza che "lo Stato, sulla base di quanto previsto dall’art. 5 della legge n. 225 del 1992, ha una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui al citato art. 2, comma 1, lettera c). Tale competenza si sostanzia nel potere del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, di deliberare e revocare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi" e "Per l’attuazione dei predetti interventi di emergenza possono essere adottate ordinanze – anche da parte di Commissari delegati (art. 5, comma 4, della legge n. 225 del 1992; sentenza n. 418 del 1992) – in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico (art. 5, comma 2, della stessa legge n. 225 del 1992)".

Alla luce della indubitabile specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) della l. 225 del 1992 riservata allo Stato, la pretesa ricorsuale in parola, per come formulata, involve in una mera critica di merito alle scelte discrezionali compiute in sede centrale, e risulta, per ciò stesso, priva di consistenza.

Può ancora aggiungersi, sul punto:

– che i ricorrenti lamentano, da un lato, che l’ordinanza non indica espressamente i compiti di ricostruzione affidati al Commissario, per poi affermare, comunque, che tali compiti sono agevolmente ricostruibili sulla base delle attività affidate alla Struttura di missione di cui il Commissario è stato autorizzato ad avvalersi (art. 4, comma 2);

– che i ricorrenti lamentano che il Commissario è stato sostanzialmente chiamato a svolgere funzioni di stazione appaltante unica per gli interventi pubblici nell’area del cratere, di cui cura gli aspetti finanziari, pianificatori e di istruttoria, senza la previsione del contenuto dell’incarico e dei tempi e delle modalità del suo esercizio. Si tratta di una doglianza che in parte è ripetitiva della precedente, e nel restante non tiene conto del fatto che la tempistica dell’intervento emergenziale è espressamente regolata con il riferimento al periodo intercorrente "dal 1° febbraio 2010 e per l’intera durata dello stato di emergenza", regolato prima (fino al 31 dicembre 2010) dal già citato d.p.c.m. 6 aprile 2009, recante "Dichiarazione dello stato di emergenza in ordine agli eccezionali eventi sismici che hanno interessato la provincia di l’Aquila ed altri comuni della regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009", poi (fino al 31 dicembre 2011) dal d.p.c.m. 17 dicembre 2010, recante "Proroga dello stato di emergenza in ordine agli eccezionali eventi sismici che hanno interessato la provincia di l’Aquila ed altri comuni della regione Abruzzo il giorno 6 aprile 2009;

– che i ricorrenti sostengono infine che tali competenze esorbitano comunque anche i limiti oggettivi degli interventi emergenziali. Sul punto, non può che richiamarsi quanto sopra già riferito in ordine alla non necessarietà di un carattere assolutamente impermanente degli interventi considerati.

7. Sempre tenendo conto dei compiti attribuiti dall’ordinanza al Presidente della Regione Abruzzo nelle funzioni di Commissario delegato, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 118 Cost., del t.u.e.l. nella parte in cui definisce la competenza della provincia di L’Aquila e dei comuni, e dello Statuto regionale (settimo motivo).

Ciò in quanto rilevano i ricorrenti che gli amplissimi compiti nella gestione degli interventi di ricostruzione previsti dall’impugnata ordinanza sono sostanzialmente identici a quelli che l’art. 13 dello Statuto riserva al Consiglio regionale, con conseguente sovvertimento dei rapporti istituzionali sia interni all’Ente regionale (ove, a regime, al Presidente della Regione è sostanzialmente attribuita una funzione meramente attuativa delle decisioni del Consiglio regionale) sia rispetto agli altri enti territoriali.

La censura, anch’essa concretatesi, come la precedente, nel tentativo di compiere una valutazione di stretto merito degli effetti prodotti da ordinanze di necessità che, nel periodo di vigenza della situazione di emergenza, rinvengono il proprio fondamento giustificativo nella legge che affida allo Stato, ai sensi dell’art. 5 della l n. 225 del 1992, una specifica competenza a disciplinare gli eventi di natura straordinaria di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) della stessa legge, è infondata in forza delle argomentazioni già sopra riferite.

8. Le tesi ricorsuali meritano, invece, di essere seguite quando lamentano, nel primo e nel secondo motivo di doglianza (violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 12bis del d.l. 39/09, convertito dalla l. 77/09), nonché in uno dei profili di censura del terzo motivo (violazione degli artt. 5 e 2 della l. 24 febbraio 1992, n. 225; eccesso di potere per difetto dei presupposti), che l’ordinanza impugnata, trattando la materia della pianificazione del territorio, si discosta illegittimamente dallo schema di intervento fatto proprio dal d.l. 39/09 e dalla relativa legge di conversione 77/09.

8.1. L’art. 2, comma 12bis della decretazione d’urgenza ha previsto che "I comuni di cui all’ articolo 1, comma 2 (n.d.r.: ovvero quelli del c.d. cratere) predispongono, d’intesa con il presidente della regione Abruzzo – Commissario delegato ai sensi dell’ articolo 4, comma 2, sentito il presidente della provincia, e d’intesa con quest’ultimo nelle materie di sua competenza, la ripianificazione del territorio comunale definendo le linee di indirizzo strategico per assicurarne la ripresa socioeconomica, la riqualificazione dell’abitato e garantendo un’armonica ricostituzione del tessuto urbano abitativo e produttivo, tenendo anche conto degli insediamenti abitativi realizzati ai sensi del comma 1".

L’ordinanza impugnata ha, invece, affidato i compiti di predisporre la ripianificazione ai sindaci.

8.2. Sul punto, non può non rilevarsi che la decretazione d’urgenza dedicata allo stato emergenziale, nel disegnare alcuni interventi immediati a favore delle popolazioni colpite dall’evento calamitoso, e nel predisporre il quadro complessivo nel quale siffatti interventi devono necessariamente trovare coordinamento e armonizzazione, con la disposizione sopra riportata dell’art. 2, comma 12bis non ha obnubilato il compito di ripianificazione del territorio, normandolo specificamente nei sensi sopra riportati.

Essi consentono di formulare una prima considerazione, direttamente ricavabile dal dato normativo testuale.

Che consiste nell’apprezzamento della circostanza che, con tutta evidenza, il legislatore, richiamando in capo ai pubblici poteri il dovere di predisporre la ripianificazione del territorio, nonché ribadendone l’appartenenza in capo all’ente comunale, nella sua unitarietà (art. 2, comma 12bis, d.l. 39/09: "I comuni…predispongono… la ripianificazione del territorio comunale), ha sottolineato come il considerato adempimento è compatibile, sia per le modalità dell’esercizio della funzione, sia per i relativi tempi, con l’ordinario assetto delle competenze istituzionali, ciò che sottintende il richiamo alle ordinarie attribuzioni degli organi che lo compongono, ed, in primis, dell’organo consiliare.

Per contro, ovvero laddove tale compatibilità è stata ritenuta insussistente, altre attività, pure impattanti a regime sul territorio, quali la progettazione e la realizzazione di abitazioni e connesse opere di urbanizzazione e servizi, destinate ad una durevole utilizzazione, sono state (art. 2 del d.l. 39/09) direttamente affidate al Commissario delegato, sia per quanto concerne la loro realizzazione (art. 2, comma 1) sia per quanto attiene alla loro localizzazione, anche in deroga alle vigenti previsioni urbanistiche (art. 2, comma 4), residuando poi la necessità di chiarire che i comuni predispongono la ripianificazione del territorio comunale "tenendo anche conto degli insediamenti abitativi realizzati ai sensi del comma 1" (art. 2, comma 12bis).

Da quanto sopra può dedursi, in via di interpretazione sistematica, che, fatti salvi gli interventi destinati all’apprestamento urgente di abitazioni, le determinazioni relative alla materia "pianificazione del territorio", che presenta notoriamente aspetti di particolare complessità e delicatezza, atteso che le relative scelte involvono molteplici interessi pubblici e privati contrapposti, nonché variegati aspetti problematici, il legislatore non ha inteso far mancare, quanto meno in sede di predisposizione dei relativi atti, la fase dialettica tipica della composizione degli stessi, che, all’interno dell’ente "comune", solo l’organo consiliare è chiamato ad realizzare nel procedimento culminante nelle relative deliberazioni.

Ciò che non consente di far presumere, anche tenendo contro del breve lasso temporale intercorrente tra la decretazione d’urgenza e l’adozione dell’impugnata ordinanza, che lo scostamento della seconda rispetto alla prima possa trovare una qualche ragione in se, ovvero nella situazione contingente, già affrontata in sede legislativa.

Né alcuna ragione emerge dagli atti di causa, o è stata rappresentata dalle amministrazioni resistenti in sede di difesa in giudizio.

Ne deriva che la impugnata deroga dall’ordinario regime delle competenze comunali in materia di pianificazione preordinata dall’impugnata ordinanza si profila illegittima.

8.3. Entrambe le amministrazioni resistenti hanno però insistito per la legittimità della previsione in parola, ma ciò mediante argomentazioni che il Collegio non può condividere.

Si afferma che dette funzioni sono state attribuite ai sindaci, nella qualità di rappresentanti degli enti territoriali locali.

A tale difesa è agevole obiettare, in uno con i ricorrenti, e senza spendere molte parole, stante la palese inconferenza dell’assunto, che l’organo sindacale e l’organo consiliare non sono sovrapponibili né interscambiabili, atteso che, oltre alle funzioni di rappresentanza dell’ente svolte dal sindaco, lo stesso né è anche organo monocratico, con proprie specifiche funzioni e competenze (art. 36, 50, 54 etc. tuel).

Anche il Comune di L’Aquila sostiene che nessuna competenza consiliare sarebbe derogata, tant’è che, si aggiunge, l’ordinanza non indica tra le norme derogate il tuel, come pure avrebbe dovuto fare, nell’opposta ipotesi, ai sensi dell’art. 5, comma 5 della l. 225 del 1992.

Ma siffatta considerazione (che nella memoria difensiva i ricorrenti apprezzano, semmai, come sintomo di una diverso profilo di illegittimità), non consente di superare l’evidenza lessicale, insuscettibile di far insorgere alcun dubbio interpretativo, che l’impugnata ordinanza offre quando, al comma 2 dell’art. 2, per quanto concerne il Comune di L’Aquila, ed al comma 5 dello stesso art. 2, per quanto concerne gli altri comuni del cratere, affida espressamente ai sindaci la ripianificazione del territorio.

9. Delle appena dette norme, come sopra accertate violative dell’art. 2, comma 12bis del d.l. 39/09, convertito dalla l. 77/09, nonché dell’art. 5 della l. n. 225 del 1992, deve conseguentemente essere disposto l’annullamento in parte qua, nella misura in cui, cioè, affidano le attività di pianificazione ai sindaci dei comuni anziché ai comuni stessi.

10. L’accoglimento dei predetti motivi di ricorso consente di assorbire le censure di cui al quarto ed al quinto motivo, pure attinenti, sotto altri profili, alla questione dell’affidamento ai sindaci delle attività di pianificazione.

11. La reciproca soccombenza determina la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe:

– dichiara la inammissibilità del gravame per carenza di interesse ad agire nei confronti del ricorrente A.P.;

– per il restante, lo accoglie parzialmente, disponendo, per l’effetto, l’annullamento dell’art. 2, commi 2 e 5 dell’ordinanza n. 3833 del 22.12.2009 del Presidente del Consiglio dei ministri, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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