Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 7.4.2008, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose la custodia cautelare in carcere di M.E., indagato per i reati di tentata estorsione continuata aggravata dal fine di agevolare il cosiddetto clan dei casalesi. Per tali fatti veniva disposto il rinvio a giudizio.
In data 28.4.2008 veniva disposto dal GIP distrettuale di Napoli altra ordinanza custodiale per partecipazione ad associazione denominata clan dei casalesi nonchè per i delitti di estorsione e concorrenza sleale aggravati dalla finalità di agevolare il cosiddetto clan dei casalesi.
La difesa chiedeva in reazione alla seconda ordinanza istanza di scarcerazione in quanto per il delitto di cui all’art. 416 c.p. il M. era già stato condannato con sentenza della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere del 15.9.2005, data alla quale si doveva guardare come cessazione della permanenza sicchè la seconda contestazione sarebbe in realtà un duplicato della prima.
Inoltre si allegava che le condotte di cui alla prima e seconda ordinanza erano legate da un vincolo di continuazione e che, all’atto dell’emissione della prima, l’A.G. poteva procedere anche per i fatti successivamente contestati essendo in possesso di tutti gli elementi.
Il GIP rigettava le istanze e così il Tribunale del riesame. La Corte di cassazione con sentenza n. 2099/09 annullava l’ordinanza impugnata rinviando perchè si valutasse la sussistenza del bis in idem m relazione alle ipotesi di cui all’art. 416 bis c.p. e perchè si operasse una nuova valutazione della sussistenza della connessione tra le estorsioni contestate nelle due ordinanze e per verificare se il P.M. al momento della prima ordinanza avesse tutti gli elementi per emettere il provvedimento successivamente adottato.
Il Tribunale circa la dedotta eccezione di ne bi sin idem rilevava che, nella sentenza di condanna richiamata, la contestazione si fermava al 1996 sicchè ben poteva procedersi alla contestazione per il periodo successivo.
Circa le altre doglianze si osservava che non sussisteva tra i fatti ascritti al M. alcun rapporto di connessione qualificata, in quanto in linea di principio non può ritenersi un rapporto di connessione tra il delitto associativo e tutti i reati-fine a meno che all’atto di costituzione dell’associazione non fosse stato decisa la commissione di uno specifico reato. Del pari non vi erano elementi per stabilire un vincolo di connessione qualificata tra il tentativo di estorsione contestato nella prima ordinanza e la estorsione della seconda, stante la diversità tra le due condotte.
Circa l’ultima doglianza si osservava che i due procedimenti avevano origine da diverse notizie di reato, pervenute al PM a distanza di tempo e da diversi organi di polizia giudiziaria, e pendenti presso diversi Uffici del PM: La secondo ordinanza era legata ad una lunga serie di intercettazioni, mentre la prima solo marginalmente si occupava del M. di cui ricostruiva analiticamente il ruolo nel tentativo di assicurarsi il monopolio del noleggio delle slot machines. Tale ruolo era stato identificato in base ad intercettazioni effettuate in un procedimento in corso presso altro PM rispetto a quello del primo procedimento.
Nel primo motivo di ricorso per cassazione si deduce la violazione dell’art. 649 c.p.. La continuazione nel reato associativo viene interrotta solo con la sentenza di primo grado come da cospicua giurisprudenza della Suprema Corte.
Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 297 c.p.p. e la carenza di motivazione.
Il Tribunale non aveva considerato ai fini della connessione qualificata alcuni elementi come il tempus commissi delicti emergenti per vicinanza dallo stesso capo d’imputazione; il fatto che entrambi i reati sono aggravati dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per il fine di agevolare lo stesso clan dei casalesi.
Con il terzo motivo si rileva la desumibilità degli indizi dagli atti del primo procedimento.
Il PM, nelle due ordinanze, apparteneva allo stesso ufficio anche se in persona fisica diversa. Gli elementi a carico del ricorrente erano le medesime dichiarazioni di collaboranti.
Inoltre sussisteva (quarto motivo) la desumibilità degli indizi dagli atti prima del rinvio a giudizio relativo al primo procedimento. Su tale punto non sussisteva alcuna motivazione.
Motivi della decisione
Circa il primo motivo e l’eccezione di violazione del principio del ne bis in idem l’ordinanza ha correttamente motivato in quanto la giurisprudenza richiamata circa la cessazione della permanenza nel reato associativo opera in caso di contestazione "aperta", ma non per i casi in cui, come quello in esame, vi sia una contestazione "chiusa" che fa un chiaro riferimento temporale al periodo contestato.
Va, invece, accolto il motivo di ricorso con il quale si allega la carenza di motivazione in ordine ai punti oggetto di annullamento con rinvio in quanto questa Corte,con la sentenza prima ricordata; aveva invitato espressamente il Tribunale in sede di riesame a valutare "la conoscibilità in sè, all’interno dell’Ufficio del PM, al momento della emissione della prima ordinanza, degli elementi integranti i presupposti per la emissione del secondo titolo cautelare". Sul punto l’ordinanza impugnata è generica ed evasiva in quanto si è solo evidenziato che l’oggetto della prima indagine era diverso rispetto a quello della seconda nella quale il ruolo del ricorrente è stato più esattamente definito, ma non si risponde espressamente al quesito se gli elementi posti a base di quest’ultima fossero in realtà già effettivamente conosciuti o conoscibili al momento della prima, posto che appare evidente che l’ufficio del PM sia lo stesso, pur con persone fisiche diverse. Tale accertamento, pertanto, dovrà essere compiuto in sede di rinvio.
Si deve, quindi, annullare con rinvio la sentenza impugnata e disporre trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla con rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p..
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