Cass. civ. Sez. II, Sent., 12-04-2011, n. 8361 divorzio Alloggio Provvedimenti riguardo ai figli Cosa gravata da oneri o diritti di godimento di terzi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 settembre 1997 M. M. e B.E. evocavano, dinanzi al Tribunale di Imperia, C.M. esponendo di essere proprietari dell’appartamento sito in via (OMISSIS), posto al primo piano int. 3, con annessi giardino e locale ad uso box, per essere stato l’immobile a loro assegnato a seguito della liquidazione del patrimonio della I.P.S. s.r.l. con atto a rogito del notaio Casero del 15.2.1996; aggiungevano che la I.P.S. aveva acquistato l’immobile da Me.Ma., con atto del notaio Sagrato del 14.6.1982, atto nel quale veniva dichiarato che l’abitazione era occupata da C.M., coniuge di Me.Ma., in virtù delle condizioni di separazione personale consensuale omologata il 17.10.1977, secondo le quali alla C. erano stati affidati i figli minori, C. e M., e le era stata assegnata l’abitazione coniugale; affermavano che nel frattempo i figli erano divenuti ultra maggiorenni, per cui la C. aveva perduto il diritto di fruire dell’unità immobiliare, che occupava ormai da tempo abusivamente, rifiutando di aderire alle reiterate richieste di rilascio. Ciò premesso, chiedevano dichiararsi la C. occupante senza titolo dell’immobile suindicato e condannarsi la stessa all’immediato rilascio dell’immobile, oltre al risarcimento dei danni quantificati in L. 100.000.000.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, che in via riconvenzionale chiedeva la condanna della M. in qualità di liquidatrice della I.P.S. a corrisponderle le spese liquidate in suo favore nel procedimento instaurato nei suoi confronti dalla I.P.S. sempre per la riconsegna del bene, definito con sentenza della Corte di Cassazione del 27.5.1995, il Tribunale adito, all’esito dell’istruzione della causa, respingeva la domanda attorea e condannava la M. al pagamento di L. 1.593.000 per il precedente giudizio ed entrambi gli attori alla rifusione delle spese.

In virtù di rituale appello interposto dalla M. e dal B., con il quale tv,i lamentavano l’erroneità dei presupposti dell’iter logico che aveva portato il giudice di prime cure alla decisione, la Corte di Appello di Genova, nella resistenza dell’appellata, accoglieva parzialmente l’appello e in riforma della sentenza impugnata, condannava la C. al rilascio dell’immobile in favore degli appellanti, confermando per il resto la decisione.

A sostegno della adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che l’eccezione di ne bis in idem sollevata dalla appellata andava disattesa per la diversità della causa petendi, per essere stata dalla I.P.S. fatta valere l’inopponibilità dell’accordo di separazione intervenuto tra la C. ed il Me., mentre dalla M. e dal B. veniva dedotta la avvenuta caducazione del diritto a suo tempo acquisito dalla C..

Aggiungeva che per l’istituto della assegnazione della casa familiare era imprescindibile i requisito dell’affidamento dei figli minori o della convivenza con quelli maggiorenni non autosufficienti, in quanto tendente a garantire l’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, e tale specifica finalità dell’istituto comportava che l’assegnazione non poteva essere pronunciata in favore del coniuge affidatario allochè non si configurasse più come casa familiare per essersi, per qualsiasi ragione, quell’habitat familiare già disciolto. Nella specie, precisava, non vi era dubbio che le condizioni della C. e dei suoi figli non erano più tali da integrare l’esistenza e la fruibilità della casa familiare nel senso sopra illustrato, almeno a partire dall’epoca del conseguimento della maggiore età degli stessi.

Di converso non riteneva la sussistenza dei presupposti per riconoscere gli estremi del risarcimento del danno per occupazione senza titolo, non trattandosi di danno in re ipsa, in assenza di prova di effettive chances di utilizzazione.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione la C., che risulta articolato su due motivi, al quale hanno resistito la M. ed il B. che hanno anche proposto ricorso incidentale con un motivo di doglianza, cui ha replicato parte ricorrente.

Ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c. la C..
Motivi della decisione

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c. concernendo la stessa sentenza.

Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. non essendo corretto il rilievo operato con la sentenza di appello della diversità della causa petendi fra i due giudizi, attenendo anche questo secondo giudizio esclusivamente ad una dichiarazione di occupazione abusiva dell’immobile sulla base del venire meno del titolo che legittima la C. alla detenzione dell’appartamento.

Il motivo di ricorso concerne l’interpretazione di un giudicato esterno, interpretazione che può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di Cassazione con cognizione piena (v. Cass. S.U. 27 novembre 2007 n. 24664) "sempre però nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del noto principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione:

infatti, se è vero che la sentenza passata in giudicato costituisce la ed. legge del caso concreto, è anche vero che, al contrario degli atti normativi resi pubblici con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, atti che il giudice è tenuto a ricercare di ufficio (in applicazione del noto brocardo iura novit curia), il giudicato esterno deve essere prodotto dalla parte che intenda avvalersene e, qualora l’interpretazione che ne ha dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso per cassazione deve riportare il testo del giudicato che assume male interpretato, motivazione e dispositivo, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale" (v. Cass. 30 aprile 2010 n. 10537; Cass. 13 dicembre 2006 n. 26627).

La ricorrente – che nel ricorso ha riportato solo alcune sue considerazioni sulla motivazione ed, in sintesi, il contenuto della sentenza intercorsa fra la I.P.S. s.r.l. e la C., di cui asserisce l’intervenuto giudicato – ha curato il deposito del fascicolo di parte del primo e del secondo grado, per cui la censura può essere utilmente esaminata.

Nel procedere alla valutazione de giudicato esterno, come dianzi richiamato dalla ricorrente, dalle stesse ammissioni della C. si evince che: a) nel giudizio promosso dalla società dante causa dei resistenti la sentenza passata in giudicato ha riconosciuto l’esistenza e l’opponibilità all’acquirente del diritto della C. ad occupare l’immobile a seguito di provvedimento giudiziale di assegnazione dell’abitazione coniugale; b) nell’odierno giudizio i resistenti hanno chiesto l’accertamento della caducazione del predetto diritto per essere nelle more i figli divenuti maggiorenni.

Di conseguenza non può che trovare conferma l’interpretazione data dalla Corte di appello di Genova che nella sentenza impugnata ha correttamente statuito che "non rileva in contrario la alterità ex parte actoris dei protagonisti dell’una e dell’altra vicenda processuale, ponendosi gli attori M. e B. nella posizione di aventi causa della s.r.l. I.P.S.", ma "risulta corretto, e determinante, il rilievo, già operato dal Tribunale, della diversità dell’una e dell’altra causa petendi, per essere stata dalla I.P.S. fatta valere la inopponibilità dell’accordo di separazione intervenuto tra la C. e il Me., e per essere stata invece dedotta dal M. e dal B. la avvenuta caducazione del diritto acquisito dalla C. a seguito della separazione". Il motivo è, pertanto, privo di pregio.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c., comma 4, nonchè la omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia per errata integrazione delle risultanze probatorie, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per non avere la Corte di merito ritenuto che la ricorrente sia titolare di un diritto autonomo di godimento dell’immobile che prescinde dall’affidamento dei figli e dall’intervenuta maggiore età degli stessi, trovando in realtà la propria causa nell’ambito della complessiva regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi.

Va premesso sul punto, che, l’accordo mediante il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, dispongano l’assegnazione della casa familiare in favore del coniuge affidatario dei figli (al pari di quella giudiziale: ex art. 155 c.c., comma 5) (Cass. 27 maggio 1995, n. 5902), come pure in sede di divorzio (della L. n. 898 del 1970, ex art. 6, comma 6, quale sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11), costituisce in capo al coniuge assegnatario un diritto personale di godimento, opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente, per cui quest’ultimo è tenuto a rispettare il godimento del coniuge de suo dante causa, nell’identico contenuto e nell’identico regime giuridico propri dell’assegnazione, alla stregua di un vincolo di destinazione collegato all’interesse dei figli (Cass. Sezioni Unite 26 luglio 2002, n. 11096; Cass. 29 agosto 2003, n. 12705; Cass. 3 marzo 2006, n. 4719).

Nella specie, dunque, in ragione della suindicata "opponibilità" al terzo acquirente dell’assegnazione in parola, appare palese come la clausola della separazione consensuale relativa all’assegnazione all’odierna ricorrente dell’abitazione familiare vada interpretata nella sua veste di affidataria dei figli minori, perchè solo in detta ottica è funzionale alle esigenze familiari (v. Cass. 22 novembre 2007 n. 24321) e come del resto implicitamente riconosciuto dalla stessa ricorrente nel momento in cui la sua difesa ha formulato deduzioni sull’autonomia dei figli.

Da ciò consegue che la durata di detto diritto, rispetto al regolamento concordato dai coniugi in ordine alla stessa assegnazione, deve essere valutata in termini sostanzialmente non lesivi della sua rispondenza all’interesse dei figli tutelato proprio attraverso detta misura.

Tale peraltro è la configurazione dell’istituto sottesa anche alla sentenza n. 454 del 1989 della Corte Costituzionale, la quale ha definito il titolo ad abitare per il coniuge come "strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole affidatagli"; la Corte delle leggi ha poi ribadito con la sentenza n. 166 del 1998 che "la tutela dell’interesse della prole rappresenta la ratio in forza della quale il legislatore ha introdotto il criterio preferenziale, ancorchè non assoluto, indicato dall’art. 155 c.c., comma 4". Ed è proprio il convincimento ormai consolidato nell’esperienza giurisprudenziale che detta misura non integri una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, ma svolga una essenziale funzione di tutela dei figli, che fa iscrivere l’assegnazione della casa nell’ambito del "regime primario" della famiglia (v. Cass. SU. 26 luglio 2002 n. 11096).

Peraltro è stato chiarito che la ratio avallata dall’intento della norma è quella di proteggere i figli, minorenni o comunque non ancora economicamente autonomi, contemperandosi "l’interesse dal gruppo familiare residuo, e specificamente dai figli minorenni o anche maggiorenni tuttora non autosufficienti, a conservare l’habitat domestico, e quello di natura patrimoniale di tutela dell’affidamento del terzo, oltre quello più generale ad una rapida e sicura circolazione dei beni", con la limitazione nel tempo dell’opponibilità ai terzi del provvedimento di trascrizione (v.

Cass. 15 settembre 2004 n. 18574). Tant’è che una eguale tutela non è stata ritenuta da questa Corte (sin dall’ormai remota sentenza a sezioni unite n. 2494 del 1982, che ha affermato trattarsi di norma di carattere eccezionale dettata nell’esclusivo interesse della prole, diretta ad attribuire ai figli una certezza ed una prospettiva di stabilità in un momento di precario equilibrio familiare) applicabile al coniuge che non sia affidatario o che non conviva con figli maggiorenni non autosufficienti (v., ex plurimis, con specifico riferimento all’assegnazione della casa familiare nell’ipotesi di separazione personale, Cass. 2000 n. 9073; 1998 n. 4727; 1997 n. 7770; 1997 n. 6557; 1996 n. 2235; 1996 n. 652; 1995 n. 3251; 1994 n. 8426; 1994 n. 2574; 1993 n. 4108; 1991 n, 5125; 1990 n. 11787; 1990 n. 6774; 1990 n. 5384; 1990 n. 901).

L’esposto indirizzo interpretativo è seguito da questa Corte anche in materia di divorzio, nonostante la parallela disposizione dettata nell’art. 6 della relativa legge imponga al giudice un più articolato apprezzamento, disponendo che "in ogni caso" il giudice valuti le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorisca il coniuge più debole: come si è rilevato nella nota sentenza a sezioni unite n. 11297 del 1995, detta legge non ha modificato le condizioni ed i limiti del potere del giudice, nè la natura e la funzione dell’istituto dell’assegnazione disciplinato dall’art. 155 c.c., comma 4 secondo le elaborazioni offerte nel richiamato orientamento giurisprudenziale, così che l’affidamento di figli minori o la convivenza con figli maggiorenni, ma non autonomi, costituisce elemento necessario, anche se non più sufficiente, per ottenere l’assegnazione della casa familiare.

Nel caso di specie la Corte di merito ha correttamente qualificato il diritto della ricorrente, in base all’art. 1599 c.c., quale titolo personale di godimento in quanto convivente con i figli, ma quanto al perdurare dell’efficacia di tale diritto, ne ha limitato la durata "almeno a partire dall’epoca del conseguimento della maggiore età dei detti figli ( Me.Cl. nata il (OMISSIS), coniugata e a sua volta separata, e Me.Al. nato il (OMISSIS)) o quanto meno a partire dall’esaurimento di un ragionevolmente breve periodo di convivenza successivo al compimento della maggiore età".

Questa ultima considerazione investendo circostanza che è stata affrontata esclusivamente sotto un profilo aritmetico, non giustifica la conclusione alla quale la corte territoriale è pervenuta di caducazione tout court del diritto della ricorrente, senza alcuna valutazione sulla autonomia economica eventualmente intervenuta del figlio Me.Al. (dovendosi considerare ormai indipendente Me.Cl., la quale ha fatto ritorno nella residenza della famiglia di origine a seguito della sua stessa separazione dal coniuge). Questa corte ha avuto occasione di chiarire che le statuizioni relative alla tutela dei figli (come l’assegno mensile per il mantenimento dei figli e ogni altro istituto affine) permane anche alla maggiore età degli stessi, allorchè siano non autonomi economicamente e conviventi con il genitore destinatario della misura. Ne consegue che la ragione dell’attualità del diritto della C. a permanere nella casa familiare potrebbe essere ravvisata, più che nella pregressa assegnazione a lei della stessa, nel persistente interesse del figlio A. – maggiorenne ma tuttora convivente con la madre – a risiedervi, allorchè ne venisse accertata la non autonomia economica al momento della proposizione del presente giudizio, a tutela del quale l’istituto dell’assegnazione della casa familiare si pone. D’altro canto la valutazione della sussistenza di un siffatto interesse è stata operata, in astratto e in via generale, dal legislatore nel delineare l’istituto dell’assegnazione della casa familiare. Detto motivo va pertanto accolto nei limiti sopra esposti.

Passando ad esaminare il ricorso incidentale, con il quale gli intimati – ricorrenti in via incidentale – denunciano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e dell’art. 115 c.p.c., nonchè per difetto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte di merito respinto la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla occupazione senza titolo dell’immobile in contesa, potendosi ricorrere anche a presunzioni, occorre rilevare che la formulata richiesta di danni necessariamente investe l’accertamento relativo all’esistenza o meno (nell’attualità) del diritto personale di godimento della C., per cui in considerazione dell’accoglimento parziale del secondo motivo del ricorso principale, la censura deve ritenersi assorbita, trattandosi di doglianza necessariamente collegata alla questione pregiudiziale.

In conclusione, respinto il primo motivo del ricorso principale, accolto parzialmente il secondo ed assorbito il motivo del ricorso incidentale, la sentenza va cassata con rinvio a diversa sezione della stessa Corte di Appello di Genova affinchè provveda in ordine al motivo di appello che investe il perdurare del diritto personale di godimento ad occupare l’abitazione coniugale da parte della ricorrente, da valutarsi in relazione al persistente interesse del figlio Me.Al., maggiorenne ma tuttora convivente con la madre, accertandone l’autonomia economica al momento della proposizione del presente giudizio, e perchè si pronunci, nel rispetto degli enunciati principi, su detto diritto, nonchè sugli effetti conseguenti in ordine al danno lamentato dagli intimati.

Il giudice del rinvio provvedere alla regolamentazione delle spese anche di questa fase del giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale ed accoglie il secondo motivo, assorbito il ricorso incidentale;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *