Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-02-2011) 24-02-2011, n. 7206

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Napoli, giudicando in sede di annullamento con rinvio, confermava l’ordinanza di applicazione della misura della custodia in carcere nei confronti di C.M. per i reati di tentata estorsione aggravati dall’uso del metodo mafioso. Osservava che la precedente ordinanza era stata annullata per errore di diritto, avendo ritenuto possibile qualificare i fatti come esercizio arbitrario delle proprie ragioni aggravate dal metodo mafioso, così teorizzando che il ricorso alla criminalità organizzata, per ottenere anche quanto dovuto per una transazione commerciale, fosse una modalità di esercizio delle proprie ragioni.

Partendo da tale punto fermo, doveva essere riesaminato il ricorso al tribunale del riesame onde verificare se sussistevano i gravi indizi e le esigenze cautelari in relazione ai reati contestati. La vicenda sottoposta all’esame del tribunale riguardava un debito per rapporti di affari per la somma di 50.000 Euro che R.D. doveva a D.R.G. e per il quale aveva rilasciato effetti cambiari con scadenza mensile. Poichè alla prima scadenza, il debito non era stato onorato, D.R. si era rivolto a M.S. affinchè, quale soggetto esterno provvedesse a recuperare il suo credito, e di tale cessione informale il R. era stato informato.

M. invece di agire in prima persona, come da mandato ricevuto, aveva consegnato i titoli al padre che a sua volta si era rivolto a esponenti della camorra casertana, accettando il rischio che le modalità della richiesta fossero di tutt’altro genere.

Infatti tali soggetti, tra i quali vi era C., avevano utilizzato quei titoli per imporre il predominio della cosca di appartenenza, con minacce tipiche del metodo mafioso. Inoltre, dopo che R., aveva pagato il suo debito al D.R., gli stessi soggetti avevano utilizzato quei titoli per pretendere dal R. il pagamento del corrispettivo per la loro intermediazione, pari a 15.000 Euro.

I gravi indizi erano costituiti sia dalle dichiarazioni delle persone offese sia dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, dalle quali era emerso che C. aveva speso il nome dei componenti del clan, ben conosciuti dalle persone offese, proprio a scopo intimidatorio, il che costituiva anche prova della sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Sussistevano le esigenze cautelari di evitare il pericolo di reiterazione, sia per la personalità dell’indagato sia per il collegamento con la criminalità organizzata, il che faceva scattare la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3. Il tempo trascorso dal fatto e il corretto comportamento tenuto per un lasso di tempo inferiore ad un anno non avevano alcun valore sintomatico, visto che i delitti in contestazione si caratterizzano per essere frutto di attenta preordinazione e di collegamento sistematico con la compagine associativa.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagato e deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai gravi indizi, in quanto nei fatti non erano ravvisatali due tentate estorsioni ma un unico fatto; inoltre i gravi indizi individuati nei risultati delle conversazioni intercettate non consentono di ipotizzare il reato di tentata estorsione, non essendo chiaro il motivo per il quale D.R. aveva consegnato i titoli a M., visto che non li aveva girati, e quali fossero i rapporti tra i due;

nessun chiarimento era stato dato del perchè poi M. aveva consegnato i titoli G., e come fosse possibile che D.R. non fosse stato messo a conoscenza di tale ulteriore passaggio. La figura di C. in tali passaggi assumeva una posizione del tutto marginale essendosi limitato ad accompagnare G. da D.R.;

l’identificazione nel C. di quel R. che aveva proferito minacce era stata del tutto arbitraria e nel corso dell’intercettazione ambientale nessuna minaccia era stata esplicitata, con la conseguenza che non era ipotizzatale il tentativo di estorsione. Pur essendo C. legato da rapporti di parentela con gli S. non aveva mai pronunciato il nome di quella famiglia, e se vi era stato un qualche riferimento da parte di G., era stato per mera vanteria. Non sussisteva poi alcuna esigenza cautelare, visto che la pericolosità di C. non sussisteva, essendo egli stato assolto nel processo (OMISSIS), ed essendo decorso un notevole lasso di tempo dal fatto, con la conseguenza che non sussisteva più alcuna ragione per sottoporre a vincolo cautelare l’imputato. La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, dalle dichiarazioni delle persone offese e dalle trascrizioni delle intercettazioni emerge con tutta evidenza l’atteggiamento intimidatorio e le esplicite minacce proferite dai G. e C. per convincere R. a versare il denaro corrispondente prima al debito, poi al corrispettivo per l’intermediazione. Le minacce larvate ed esplicite erano volte a utilizzare la forza di intimidazione del clan dei casalesi e quindi a utilizzare per perseguire l’ingiusto profitto proprio i metodi mafiosi. Il ruolo di C. risulta ben delineato e certamente non di peso minore rispetto al correo; sono ambedue presenti quando si verificano i colloqui corrispondenti alle due richieste estorsive e le persone offese lo avevano chiaramente individuato; certamente le condotte sono due e distinte e quindi configurano due ipotesi di reato. La pericolosità dell’indagato, desunta dal collegamento con la cosca dei casalesi e dalla gravità dei comportamenti tenuti, consentiva di ravvisare la presunzione prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, e quindi l’esclusiva misura della custodia in carcere, a nulla valendo la circostanza che sia passato un anno dalla prima applicazione della misura.

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Espone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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