Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/6/2005 la Corte d’Appello di Milano respingeva il gravame interposto dal sig. P.V. nei confronti della pronunzia Trib. Milano 21/6/2004 di rigetto della domanda di ripetizione di indebito di capitali Euro 20.658,27 (pari a L. 40.000.000), oltre ad accessori, importo di 3 assegni bancari (asseritamente rilasciati in bianco alla società CIC s.p.a. a titolo di acconto versato in relazione al contratto preliminare di compravendita – frattanto risolta – di appartamento sito in (OMISSIS)) incassati dal sig. S.D., tecnico della società Immobiliare Varigione s.r.l. che curava la vendita degli immobili di proprietà della suddetta società, la quale, aveva a sua volta promesso la vendita del compendio immobiliare di cui era proprietaria alla società CIC s.p.a..
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il P. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.
Resiste con controricorso il S..
Motivi della decisione
Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente interpretato la documentazione versata in atti.
Con il 2^ motivo denunzia omessa e insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta che controparte nulla ha contestato nei suoi atti di parte "in sede di costituzione", e che solo con la memoria ex art. 184 c.p.c. ha introdotto una "versione dei fatti completamente nuova, con l’entrata in scena di tale Immobiliare Varigione".
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 4, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).
E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.
Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Quanto al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va invero ribadito che esso sì configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.
Cass., 25/2/2004, n. 3803).
Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718).
Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.
Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., all’"atto di citazione .. notificato in data 05 marzo 2001", al "pagamento di Euro 20.658,27", al "contratto preliminare di compravendita con la società C.I.C. s.p.a. per l’acquisto di un immobile sito in Comune (OMISSIS)", a "n. 3 assegni" consegnati "al geom. P. della predetta società C.I.C.", alla "risoluzione consensuale del contratto tra il sig. P. e la CIC", alla "richiesta preliminare di incompetenza per territorio" e al relativo rigetto, alla sentenza del giudice di prime cure, all’"appello … notificato in data 02 luglio 2004", alla "documentazione versata in atti", all’"incasso di tali somme da parte del sig. S. e/o da parte della stessa collaboratrice (doc. 2, 3 e 4 di produzione attorea di primo grado)", alla "memoria ex 184 c.p.c.", al "doc. 10 della produzione attorea di primo grado", alla "sottoscrizione dell’assegno (doc. 3 di produzione di parte attrice di primo grado)", a "quella apposta nella lettera del sig. S. del 01 febbraio 2001 (doc. 8 di produzione di parte attrice di primo grado)", alla "sottoscrizione dell’assegno (doc. 2 e 4 di produzione di parte attrice di primo grado)", a "quella apposta dalla sig.ra G. del 27.07.00 (doc. 6 di produzione di parte attrice di primo grado)", agli "estratti di conto corrente del sig. S. e della sig.ra G.S." limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente -per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità (v. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).
A tale stregua non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Senza sottacersi che nel 1 motivo, a fronte di una denunzia di violazione di legge, non risultano invero sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto degli artt. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, la critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel decidere le questioni giuridiche poste dalla controversia risultando dal ricorrente operata sul piano dell’asseritamente erronea valutazione dell’asserto probatorio, senza che risulti peraltro proposta violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass., 7/5/2007, n. 10295; Cass., 16/1/2007, n. 828. Cfr. altresì Cass., 27/7/2006, n. 17145).
Mentre nel 2^ motivo, formalmente denuziandosi un vizio di motivazione, viene in effetti dedotta una "versione dei fatti completamente nuova", senza peraltro proporsi denunzia di violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 112 c.p.c., comma 1, n. 4.
Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., il ricorrente in realta sollecita, contra ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
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