Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza in data 29 marzo 2010 il Tribunale del riesame di Napoli, in ciò riformando il provvedimento del locale giudice per le indagini preliminari, ha sostituito con gli arresti domiciliari la misura della custodia cautelare in carcere, cui D.S.F. era sottoposto quale indagato per il delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione di olio minerale in evasione dell’imposta di fabbricazione, nonchè per i connessi reati fine e per falsità ideologica in atto pubblico; pur ravvisando l’adeguatezza della misura di minor rigore, rispetto alle esigenze cautelari, quel collegio ha tuttavia confermato la gravità indiziaria a carico dell’indagato.
Secondo l’ipotesi accusatoria l’attività illecita consisteva nella creazione di falsi documenti di trasporto e false fatture di accompagnamento dell’olio minerale, così da farlo risultare apparentemente alienato a società estere, mentre in realtà era destinato ad essere commercializzato sul territorio nazionale. La partecipazione del D.S. all’associazione e alla consumazione dei reati fine emergeva, secondo il Tribunale, dalle telefonate intercettate; in particolare da queste si apprendeva che l’indagato, dirigente della società Axxon, per la fornitura dell’olio e a garanzia del pagamento riceveva somme di denaro che dovevano poi essere restituite all’atto del ricevimento del bonifico estero proveniente dalla società apparente acquirente del prodotto. La contraffazione dei documenti di trasporto è stata ricondotta all’art. 479 c.p. sul presupposto che tale reato fosse configurabile anche a carico del privato autorizzato che avesse falsificato i documenti di trasporto di merci soggette ad imposta.
Ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.
Col primo motivo il ricorrente contesta l’esistenza dell’associazione criminosa, sostenendo essere carente la prova del pactum sceleris e della consapevolezza delle condotte altrui; nega, in particolare, che dalle intercettazioni emerga la prova della propria consapevolezza di appartenere al sodalizio.
Col secondo motivo rinnova la contestazione circa la configurabilità del delitto di cui all’art. 479 c.p., per mancanza della qualità di pubblico ufficiale e per essere le bolle di accompagnamento atti non pubblici.
Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.
Il primo motivo si colloca in area di inammissibilità, in quanto esula dal novero di quelli consentiti dall’art. 606 c.p.p..
Infatti le censure con esso elevate, dietro l’apparente denuncia di vizi della motivazione, si traducono nella sollecitazione di un riesame del merito – non consentito in sede di legittimità – attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
Il Tribunale del riesame ha dato pienamente conto delle ragioni che l’hanno indotto a ravvisare nel compendio investigativo la sussistenza di gravi indizi di responsabilità penale a carico del D.S. per i reati ascrittigli; a tal fine ha valorizzato, come si è già ricordato in narrativa, il contenuto delle conversazioni intercettate fra lui ed altri soggetti indiziati di appartenenza al sodalizio criminale, dimostrative del suo consapevole coinvolgimento in una vera e propria organizzazione finalizzata al traffico illecito di oli minerali.
Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità, che emerga ictu oculi dal testo stesso del provvedimento, limitandosi piuttosto a contestare la motivazione addotta sotto il profilo della persuasività; d’altra parte il suo tentativo di accreditare la tesi riduttiva di un accordo individuale – lecito o illecito – fra lo stesso D.S. e il coindagato D.L.E. si risolve nella prospettazione del fatto storico alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito: il che non può trovare spazio nel giudizio di Cassazione.
Del secondo motivo va rilevata l’infondatezza, alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui "integra il reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 c.p.) – e non quello di cui all’art. 480 c.p. (falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in certificato o autorizzazioni amministrative) – la compilazione del modello H ter (cosiddetto certificato di provenienza) con dati falsi, considerato che l’attestazione della provenienza del prodotto petrolifero dal deposito in esso indicato nonchè la prova della sua identità e delle circostanze soggettive di spazio e di tempo che ne accompagnano il trasporto scaturiscono in modo originario dall’attività direttamente compiuta o, comunque, avvenuta sotto la diretta percezione del pubblico ufficiale che forma il documento" (Cass. 7 luglio 2006 n. 31019): le stesse considerazioni, invero, possono farsi a proposito del documento modello XAB, che parimenti attesta l’identità del prodotto petrolifero trasportato e le circostanze che ne accompagnano il trasporto. Consequenziale alla natura di atto pubblico del documento è, poi, la qualità di pubblico ufficiale assunta dal redigente, con riferimento alla specifica operazione in discorso; valga, in proposito richiamarsi al precedente giurisprudenziale già citato dal Tribunale (Cass. 30 settembre 1983 n. 270/84), a tenore del quale "è configurabile il delitto di falso ideologico, previsto dall’art. 479 c.p., nelle bollette di accompagnamento di merci soggette ad imposta di consumo, nel caso d’intestazione della bolletta da parte del privato autorizzato, ad apparenti destinatari o a persone diverse dagli effettivi destinatari".
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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