Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-02-2011) 28-02-2011, n. 7574 Sentenza penale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12/11/2008 il Tribunale di Marsala dichiarava D.G.A.M. e D.G.S. colpevoli dei reati di cui all’art. 110 c.p., art. 334 c.p., comma 3, artt. 110 e 640 c.p. e art. 61 c.p., nn. 2 e 7 e li condannava alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile So.Ge.Pesca s.n.c. di G.V., D. G., D.E.P., S.P. e S.M., cui assegnava una provvisionale di complessivi Euro 165.266,20.

Si contestava agli imputati, quali proprietari del motopesca "(OMISSIS)", sottoposto a sequestro nel corso di un procedimento penale per reati di contrabbando doganale e affidato alla custodia del proprietario D.G.P., padre degli imputati, deceduto, di avere sottratto detto bene, vendendolo alla menzionata s.n.c. con l’artificio, consistito nel tacere all’acquirente l’esistenza del vincolo sull’imbarcazione ed in tal modo procurandosi l’ingiusto profitto del prezzo della vendita, ammontante a L. 320.000.000.

A seguito di gravame degli imputati la Corte di Appello di Palermo con la sentenza indicata in epigrafe in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava n.d.p. contro gli imputati per essere estinti i reati per prescrizione, confermando le statuizioni civili. In motivazione la corte territoriale, respinte le eccezioni di rito, formulate dal difensore, riteneva i reati consumati alla data del (OMISSIS) con una condotta perdurante, manifestatasi dal momento delle trattative, che avevano portato alla stipulazione del contratto preliminare, avvenuto nell’anno 1999 ed era proseguita sino al successivo contratto definitivo, onde, pur calcolate le plurime sospensioni del giudizio di primo grado per un periodo complessivo di mesi 14 e giorni 22, i reati erano prescritti per il decorso del termine di anni sette e mesi sei, in forza della disciplina dettata dall’art. 157 c.p. nella formulazione antecedente alla L. Riformatrice n. 251 del 2005, perchè più favorevole agli imputati.

Respingeva la doglianza difensiva, tesa a selezionare il fatto in due distinte e autonome ipotesi di truffa: la prima conclusasi nell’anno 1999 al momento del contratto preliminare, prescritta all’epoca della sentenza di primo grado, la seconda consumatasi il (OMISSIS) all’atto della conclusione del contratto definitivo, per la quale doveva dichiararsi l’improcedibilità dell’azione penale per mancanza di querela. Rilevava sul punto che nello schema della truffa contrattuale, oggetto dell’attività ingannatoria è la prestazione del consenso all’attività negoziale e la consumazione doveva rapportarsi con l’effettiva e definitiva lesione del bene, ossia con l’ingresso dell’intero profitto nella sfera di disponibilità del soggetto agente. Quindi, richiamata la regola di cui all’art. 129 c.p.p., comma 2, e interpretando alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità il concetto dell’evidenza della prova nel senso che l’insussistenza del fatto, la estraneità all’illecito penale, il mancato incontrovertibile coinvolgimento dell’imputato senza ricorrere ad attività istruttoria e a complessi procedimenti valutativi, osservava che nel caso in esame non emergesse la prova positiva e certa dell’innocenza degli imputati, enunciando analiticamente gli elementi e le circostanze rilevanti a tal fine e di conseguenza riteneva superflua la richiesta rinnovazione del dibattimento, tesa ad acquisire la testimonianza del funzionario responsabile della mancata annotazione alla data della conclusione del contratto definitivo della mancata annotazione del sequestro e dell’accordata facoltà d’uso nell’estratto matricola del Registro delle Navi Minori e Galleggianti, a dimostrazione della buona fede dei venditori e della consapevolezza dell’artificio da parte della società acquirente.

Contro tale decisione ricorrono gli imputati a mezzo del comune difensore, il quale a sostegno della richiesta di annullamento denuncia in un unico articolato motivo la violazione delle legge penale e processuale e il vizio di motivazione in riferimento all’applicazione e all’interpretazione degli artt. 129, 530, 192, 546, 578, 499, 191, 507 e 603 c.p.p. e artt. 40, 42, 110, 334 e 640 c.p..

L’impugnazione si muove in due direzioni.

Nella prima si censura l’errore della corte territoriale, laddove aveva ritenuto non applicabile l’art. 129 c.p.p., comma 2, per la non evidenza della prova della non colpevolezza, dimenticando il principio, più volte affermato nella giurisprudenza di legittimità, per cui, nel caso in cui dopo la condanna di primo grado al risarcimento del danno in favore della parte civile, venga dichiarata in sede di gravame la non punibilità ex art. 129 c.p.p., il giudice del gravame è tenuto ad esaminare quanto rilevi ai fini della responsabilità civile, e se da tale esame emerga la prova dell’innocenza, deve ricorrere alla corrispondente formula assolutoria, non potendo l’accertamento effettuato, sia pure ad altri fini, essere posto nel nulla attraverso la mera declaratoria di estinzione del reato.

Nella stessa direzione si pone la censura concernente la ricostruzione e la qualificazione giuridica dei fatti, laddove si ribadisce la tesi, già formulata in sede di gravame, che selezionava il fatto occorso nell'(OMISSIS), al quale erano rimasti estranei gli attuali ricorrenti – quando fu siglato tra il padre degli imputati e il G. l’accordo, trasfuso nel contratto, per il quale il natante fu subito consegnato all’acquirente previo versamento della somma di L. 120.000.000 – già prescritto alla data della sentenza di primo grado, da quello, verificatosi nel (OMISSIS), che aveva comportato la dazione di L. 200.000.000, dal quale avrebbe dovuto escludersi l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7, dovendosi tale somma rapportarsi a ciascuna delle persone, che partecipavano alla s.n.c, detratti per ciascuno di essi i consistenti guadagni conseguiti dal momento della consegna del natante a quello della confisca, ed in carenza di valida querela dichiararsi la improcedibilità dell’azione penale.

La seconda direttiva affronta il merito delle imputazioni e censura l’errata valutazione degli elementi essenziali dei reati contestati e la contraddittorietà, sulla quale era fondata la loro ritenuta sussistenza, ribadendo il fondamentale assunto difensivo, secondo il quale gli imputati avrebbero agito in assoluta buona fede, fidando nelle rassicurazioni loro fornite dal padre defunto, unico ad essersi occupato della gestione dell’impresa, ad avere provveduto alla tenuta della contabilità e agli adempimenti fiscali, ad essere stato designato custode giudiziario del natante, ad averne trattato la vendita, ad essersi addossato la responsabilità esclusiva per la conduzione delle trattative. I fatti di contrabbando doganale, per i quali il natante era stato sequestrato e successivamente confiscato, si erano verificati nell'(OMISSIS) a loro insaputa ed essi erano rimasti estranei al procedimento penale che ne era scaturito.

Nella prospettazione difensiva si evidenzia come altrettanto sintomatica della buona fede fosse sia la circostanza dell’omessa assunzione di alcuna iniziativa giudiziaria nel corso del procedimento penale a carico dei responsabili dei fatti di contrabbando, se non nelle forme di incidente di esecuzione, proposto solo dopo avere appreso della confisca, sia la proposizione, prima di pervenire alla stipula del contratto definitivo, dell’istanza all’Assessorato Regionale alla Pesca per il rilascio del nullaosta alla cessione, essendo il natante sottoposto a vincolo di inalienabilità temporanea per effetto di un prestito regionale e l’avvenuta informazione data al G. dell’esistenza di quel vincolo, che aveva ostacolato l’alienazione per anni rispetto al momento del raggiungimento dell’accordo negoziale. In tal modo, secondo la difesa, gli imputati avevano trasmesso la formale notizia della volontà di alienare la motobarca agli acquirenti e all’amministrazione regionale, comportamento questo incompatibile con la precisa cognizione della sua inalienabilità. Allo stesso modo non vi era stata, secondo la difesa, adeguata valutazione circa l’omessa annotazione sul Registro delle Navi dell’esistenza del sequestro e dell’autorizzazione all’uso di esso, ai fini della prova della buona fede.

In conclusione i ricorrenti evidenziano l’incongruente e carente motivazione sul punto da parte della corte palermitana, che di tali emergenze, nonchè della pregressa conoscenza del vincolo da parte della società acquirente, aveva compiuto una valutazione superficiale, contraddittoria ed incompleta, omettendo di spiegare per quale ragione gli imputati non avrebbero dovuto rendere edotte le controparti del predetto impedimento alla cessione del natante e non dell’esistenza del sequestro, cosa che dimostrava l’ignoranza incolpevole della sua perdurante vigenza, stante l’identità di conseguenze per effetto dei due impedimenti.

I ricorsi non hanno fondamento e vanno rigettati.

Va subito precisato come sia assolutamente condivisibile la conclusione dei giudici del merito di ritenere sussistente una unica ipotesi di truffa contrattuale, respingendo la tesi difensiva, tesa a differenziare il fatto in due distinte ed autonome ipotesi di reato.

La giurisprudenza di legittimità sul punto è ormai attestata al principio, per il quale, essendo la truffa un reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la "diminutio patrimonii" del soggetto passivo, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della "datio" di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirante (ex multis Cass. Sez. Un. 21/6-1/8/00 n. 18 Rv. 216429 Sez. 5, 29/1-6/4/09 n. 14905 Rv. 243608; Sez. 2, 11/7-24/7/08 n. 31044 Rv. 240659).

Nella fattispecie in esame, come hanno ampiamente argomentato i giudici del merito, non rileva che la motopesca alla data dell’accordo preliminare fosse fuoriuscita dalla sfera di disponibilità della s.n.c. di Di Girolamo Pietro Giuseppe & C, proprietaria, per passare in quella della s.n.c. So.Ge.pesca di Gianquinto Vincenzo & C, acquirente, quanto piuttosto che l’effettiva e definitiva lesione del bene giuridico protetto dalla norma si fosse verificata al momento del contratto definitivo con la erogazione da parte della ditta acquirente della somma di L. 200.000.000, costituente la residua parte del prezzo concordato in L. 320.000.000, ossia con l’ingresso dell’intero profitto nel patrimonio dell’azienda venditrice.

Nè ad escludere l’aggravante contestata ex art. 61 c.p., n. 7, e di conseguenza dichiararsi la imporcedibilità dell’azione penale per difetto di una valida querela di parte, può valere l’osservazione difensiva, secondo la quale dal valore commerciale indicato nel capo di imputazione andrebbero detratti i consistenti guadagni conseguiti dagli acquirenti dal momento della consegna del natante a quello dell’evizione.

La tesi, per quanto suggestiva, contrasta con l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che qui si condivide e si ribadisce, per cui l’ingiusto profitto con correlativo danno del soggetto passivo nella truffa contrattuale consiste essenzialmente nel fatto della stipulazione del contratto, indipendentemente o meno dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni, sicchè la sussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità ex art. 61 c.p., n. 7, deve essere valutata con esclusivo riguardo al valore economico del contratto in sè al momento della sua stipulazione e non con riguardo all’entità del danno risarcibile, che può differire rispetto al valore in ragione dell’incidenza di svariati fattori concomitanti o successivi (Cass. Sez. 5, 13/1-27/2/06 n. 7193 Rv. 233633; Sez. 2, 23/9-23/12/97 n. 12027 Rv. 210457).

Non possono essere prese in considerazione le deduzioni relative alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, risolvendosi le stesse nella prospettazione di un vizio di motivazione, per omesso esame o per erronea valutazione di elementi di prova, che si assumono rilevanti sulla mancata assoluzione nel merito; per cui il loro accoglimento comporterebbe in ipotesi l’annullamento con rinvio delle statuizioni penali della sentenza impugnata, peraltro precluso in presenza di una causa di estinzione del reato, la cui esistenza non consente un ulteriore esame da parte del giudice di merito in violazione dell’obbligo della sua declaratoria immediata.

E’ pur vero che in presenza di statuizioni civili, il giudice di appello non può limitarsi, ai fini della loro conferma, a dare atto dell’inesistenza di una situazione di evidente innocenza dell’imputato, tale da precludere l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2.

La inapplicabilità di tale norma, invero, non comporta automaticamente la conferma delle statuizioni civili, che dipende invece dall’accertamento dell’esistenza di elementi positivi, idonei a legittimare l’affermazione di colpevolezza, da cui esse dipendono;

per cui sia pure a tale limitato fine, il giudice è tenuto ad esaminare, anche in presenza di una causa di estinzione del reato, le questioni attinenti alla colpevolezza, che abbiano formato oggetto dei motivi di appello e a decidere su di esse (Cass. Sez. 6, 1/3- 22/3/05 n. 11448).

A tale obbligo si è però attenuto la corte territoriale nella sentenza impugnata, laddove mostra di avere vagliato analiticamente le deduzioni difensive, sottoposte al suo esame, le stesse, riversate poi nei motivi di ricorso.

Ed invero, quanto alla contestata configurabilità del concorso consapevole degli imputati in entrambe le fasi della contrattazione, il giudice del gravame si è ampiamente soffermato sulla conoscenza del provvedimento di sequestro ad opera degli attuali imputati, valorizzando i vincoli non solo familiari, ma anche e soprattutto economici, che legavano gli imputati al D.G.P. G., le modalità singolari, con le quali il vincolo era stato posto e che aveva riguardato l’unico cespite patrimoniale di valore consistente della società armatrice "Di Girolamo Pietro Giuseppe & C", la notorietà del fatto, divenuto subito di dominio pubblico, la conduzione delle trattative, poste in essere non direttamente dal D. G.P.G., ma dal genero P.P., coniuge dell’imputata D.G.A.R., il quale non essendo in possesso di una procura alla vendita, in assenza della qualifica di socio, non poteva non agire nell’interesse e con l’unanime consenso di tutti i soci venditori. Ha poi apprezzato la Corte distrettuale la circostanza che una clausola del contratto di compravendita contemplava espressamente l’assenza sul bene di pesi, ipoteche, privilegi, sequestri o altri diritti di terzi e non ha mancato di confutare la tesi difensiva della mancata lettura di essa ai contraenti, richiamando il grado di cultura di entrambi gli imputati, che avevano sottoscritto il contratto ed erano in grado di comprendere il significato di tutte le clausole in esso inserite.

Quanto alla commerciabilità del bene, sottoposto a vincolo di inalienabilità, conseguente all’erogazione da parte della Regione di un contributo per il rinnovo delle attrezzature di bordo, il giudice del gravame ha congruamente spiegato come la rivelazione ai promissori acquirenti della necessità di attendere dall’Assessorato regionale alla Pesca il rilascio del nullaosta alla vendita non potesse considerarsi incompatibile con l’omessa informazione in ordine alla esistenza del sequestro, e come al contrario la corretta informazione sul vincolo del sequestro e sul concreto pericolo di evizione avrebbe diversamente determinato il consenso dei predetti, non più desiderosi di esporsi ad una spesa notevole col rischio di vedersi privare del bene acquistato, mentre invece il comportamento dei venditori, ben consapevoli del duplice vincolo, gravante sul bene, era stato sempre ispirato dal medesimo scopo di arricchimento, ossia perfezionare la cessione del natante, trasferendola ad altri e incassando il relativo prezzo, senza dover subire l’onere della restituzione del contributo pubblico, già percepito, tanto vero che, nonostante la subita evizione da parte degli acquirenti, mai gli imputati hanno avvertito l’esigenza di venire incontro alla fondatissime pretese delle controparti e di rimborsare almeno in parte il prezzo di vendita incamerato.

Quanto all’annotazione alla data del contratto definitivo del sequestro e dell’accordata facoltà d’uso nell’Estratto Matricola del Registro delle Navi, ha risposto il giudice del gravame, con motivazione immune da vizi logici o interne contraddizioni e come tale incensurabile in questa sede, laddove ha collocato tale annotazione in epoca successiva al contratto, quando in data 13/3/01 venne operata la trascrizione dell’acquisto in capo alla società acquirente e il trasferimento del natante dal Compartimento Marittimo di Marsala a quello di Trapani, escludendo ogni ipotesi di consapevolezza dell’artificio in capo alle costituite parti civili.

Ha poi con altrettanta logicità rigettato la richiesta di rinnovazione del dibattimento, finalizzata all’esame del funzionario, che avrebbe proceduto all’annotazione, le cui informazioni non sarebbero state idonee a smentire la risultanze documentali.

Segue al rigetto dei ricorsi la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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