Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza in data 22 giugno 2010 il Tribunale di Catania confermava l’ordinanza emessa in data 28 aprile 2010 dal Tribunale di Siracusa con la quale veniva rigettata l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare presentata dall’imputato C.D., sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per il reato di tentata estorsione aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, conv. dalla L. n. 203 del 1991, reato per il quale era stato emesso decreto di giudizio immediato in data 15 aprile 2009.
Il Tribunale riteneva che il termine di fase – corrispondente ad un anno e sei mesi dall’emissione del provvedimento che disponeva il giudizio, trattandosi di delitto di estorsione tentata per il quale è prevista la pena detentiva massima superiore a sei anni di reclusione (e non superiore a venti anni), aggravato ai sensi dell’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a ( art. 303 c.p.p., comma 1, lett. B, n. 2 e n. 3 bis) – non fosse ancora decorso.
Avverso la predetta ordinanza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per Cassazione.
Con il ricorso si deduce la violazione dell’art. 2 c.p. e art. 303 c.p.p. per erronea interpretazione della legge e mancanza di motivazione in quanto si sarebbe dovuto tener conto, ai fini del calcolo del termine di fase della custodia cautelare, della pena detentiva massima per il reato di estorsione di dieci anni, aumentata della metà per l’aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 a quindici anni, diminuita di due terzi per il tentativo (cinque anni). Così determinata la pena, il termine di scadenza della custodia cautelare sarebbe, ai sensi dell’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b, di mesi sei, aumentato di ulteriori sei mesi ai sensi dell’art. 303 c.p.p., comma 1, n. 3 bis, trattandosi di delitto compreso tra quelli indicati nell’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a).
Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.
Va premesso che in tema di misure cautelari valgono, anche ai fini dell’individuazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, i criteri dettati dall’art. 278 c.p.p. per la determinazione della pena e, pertanto, nel caso di tentativo di reato con circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o ad effetto speciale, per il computo dei termini indicati dall’art. 303 stesso codice deve dapprima individuarsi la pena massima stabilita per il reato circostanziato consumato, per poi operare su di essa la riduzione minima indicata dall’art. 56 c.p. (Cass. sez. 1, 14 luglio 1998 n. 4298, Caputo; sez. 4, 21 giugno 1996 n. 1611, Raza Mohamed).
Nell’ordinanza impugnata si fa rilevare che la pena detentiva massima per il reato di estorsione è di dieci anni di reclusione e che (pur prescindendo dal calcolo dell’aggravante del D.L. n. 152 del 1991, art. 7), dovendosi operare nel caso in esame la riduzione minima di un terzo per il tentativo, la pena edittale massima prevista per l’ipotesi tentata è di sei anni e otto mesi. Il termine di fase pertanto è stato correttamente individuato in un anno (trattandosi di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni e comunque superiore a sei anni: art. 303 c.p.p., comma 1, lett. B, n. 2), termine aumentato ex art. 303 c.p.p., comma 1, lett. n. 3 bis di sei mesi per essere quello contestato al C. un delitto compreso tra quelli previsti dall’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a). Erroneamente il ricorrente ritiene che, ai fini dell’individuazione della pena massima per il reato tentato, debba operarsi la riduzione di due terzi, anzichè di un terzo, sulla pena stabilita per il reato consumato.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
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