Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2011, n. 9800 muro di cinta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del /996, P.R. divenuta proprietaria di una parte del fondo (OMISSIS), esponeva che con atto notarile del 1972 erano stati rettificati i confini tra le proprietà di A. e P.E., mentre, nel 1976, A. le aveva donato la sua parte di fondo.

Lamentava l’attrice che nel 1995, E., nell’esecuzione di lavori, aveva realizzato manufatti sulla linea di confine, in violazione del regolamento, ed aveva invaso parte del suo fondo;

chiedeva pertanto, in sede possessoria, l’eliminazione dei manufatti ed il ripristino dei quattro metri di larghezza della strada.

Si costituiva E., la quale resisteva alla domanda, che con ordinanza veniva parzialmente accolta; il tribunale di Catanzaro, con sentenza del 2001, confermava la ricordata ordinanza e regolava le spese.

Avverso tale sentenza proponeva appello R., cui resisteva E., la quale contestava le tesi di controparte.

Con sentenza in data 18.5/14.6.2005, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava E. alla demolizione dell’intera recinzione dalla stessa realizzata e la condannava al pagamento delle spese, comprese quelle di CTU. Il primo giudice infatti non aveva considerato che era stata lamentata la violazione di una situazione possessoria corrispondente all’esercizio della servitù negativa costituita nel regolamento dei rapporti di vicinato di cui al rogito del 1972 (punto e dell’art. 2).

Dal 1972 al 1995, sulla base degli elementi acquisiti, non era stata effettuata alcuna costruzione.

Non era poi condivisibile la tesi secondo cui la norma pattizia regolerebbe solo i rapporti tra quotisti confinanti con i rispettivi fabbricati e non quotisti confinanti con i terreni atteso che in applicazione dell’art. 1363 c.c., l’atto doveva essere interpretato nel suo complesso e l’analisi ermeneutica così svolta smentiva la tesi sostenuta anche relativamente alla pretesa limitazione della regola ai soli spazi interni tra fabbricati.

Il fabbricato poi costituiva costruzione; considerata anche la dizione adoperata nel ricordato punto E) del rogito, doveva essere disposta la demolizione dell’intera recinzione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre, sulla base di due motivi, P.E.;

resiste con controricorso R..
Motivi della decisione

Con il primo motivo, ci si duole di violazione delle norme sull’interpretazione del contratto relativo al "Regolamento delle servitù attive e passive dei rapporti di vicinato" e sul concetto di costruzione, ex art. 878 c.c.; con il secondo mezzo si lamenta vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione in ordine all’interpretazione dell’art. 2 del surricordato contratto.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto, seppure da punti di vista parzialmente diversi, investono la medesima questione, ovvero il senso da attribuirsi alle clausole contenute nel citato regolamento.

Assume la ricorrente che unica volontà delle parti era quella di limitare quali fossero gli spiazzi e non considerare invece come spiazzi tutti gli altri terreni, che spiazzi non sarebbero, ma fondi rustici, abbastanza ampi ed estesi.

Emergerebbe altresì dalla planimetria redatta dal CTU che le parti erano divenute quotisti confinanti con i fabbricati e non con i terreni nella parte retrostante la particella 287, passata poi, in virtù dell’attuata rettifica, a R.. Dal complesso delle clausole pattizie, lette nella loro interdipendenza, emergerebbe quindi che la volontà delle parti era stata quella di voler evitare che su detti spiazzi si potessero depositare concimi, rifiuti, legna e altro materiale o che si potessero fare costruzioni di qualsiasi specie o di sistemare baracche anche se mobili. Questa ricostruzione interpretativa del regolamento, basata su elementi di fatto che non emergono dell’atto, ma dalla situazione dei luoghi, pecca sotto due profili: in primis comporta una rivisitazione del merito, che non è consentita in questa sede di legittimità.

In secondo luogo,si basa su di una lettura dell’atto de quo certamente ipotizzabile, ma basata su presupposti interpretativi diversi se non addirittura in contrasto con quelli, basati sopra tutto sul dato letterale, correlato al complesso della regolamentazione adottata, che la Corte distrettuale ha fatto propri.

E’ quasi superfluo ribadire che l’interpretazione dei contratti è compito istituzionalmente demandato al giudice del merito, la analisi ermeneutica del quale, purchè priva di vizi argomentativi o tecnici, non è sindacabile in cassazione.

Non è sufficiente contrapporre alla interpretazione adottata in sentenza altra lettura degli atti, di per sè astrattamente passibile di considerazione, quando questa non sia idonea ed elidere la valenza di quella adottata dal giudice del merito.

Nella specie, richiamato il contenuto dei punti 1) e 2) dell’atto pubblico, la sentenza impugnata ha ritenuto che la clausola riportata al punto "E" dell’atto in questione avendo fatto espresso riferimento agli spiazzi antistanti o retrostanti i rispettivi fabbricati comportava che i detti spazi non potessero essere limitati solo a quelli interni tra i fabbricati.

Trattasi di interpretazione plausibile che non collide con il dato letterale e che non risulta smentita dalla contrastante lettura della ricorrente se non a condizione di un riesame del fatto e segnatamente della situazione dei luoghi, impraticabile in questa sede.

Neppure ha pregio la censura con cui si contesta, a norma dell’art. 878 c.c., che la recinzione costituisca costruzione.

La norma de qua infatti riferisce la disciplina ivi contenuta ai fini del computo delle distanze e ai profili amministrativi, elementi questi che non hanno rilievo ai fini che ne occupano, avendo le parti pattiziamente stabilito il divieto di realizzare negli spazi in questione, costruzioni di qualsiasi specie, tra cui rientra di certo l’opera considerata.

Il ricorso deve essere pertanto respinto, atteso che sia sotto il profilo dell’interpretazione adottata, che sotto quello della motivazione che sorregge la sentenza impugnata, le doglianze svolte non ne intaccano la valenza.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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