Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la parte ricorrente ha chiesto l’annullamento della deliberazione n. 143/2009, con la quale il comune di Piombino ha provveduto ad affidare direttamente il servizio di accertamento liquidazione e riscossione del canone sulla pubblicità e del servizio delle pubbliche affissioni e chiedendo il risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.
In particolare ha lamentato la violazione di legge statale sotto molteplici profili, la violazione del giusto procedimento, l’irragionevolezza, la disparità di trattamento, l’eccesso di potere, lo sviamento della causa.
Si è costituita l’amministrazione intimata, resistendo alle doglianze avverse.
La parte ricorrente ha rinunciato alla istanza di sospensione.
Sono state prodotte memorie e documenti.
Nel corso della udienza odierna la causa è stata trattenuta in decisione.
Il primo motivo di ricorso, con il quale è contestata la possibilità di procedere, nel caso di specie, all’affidamento in house è infondato.
Invero la giurisprudenza ha già chiarito che per i servizi oggetto del contendere l’amministrazione può ricorrere ad affidamenti siffatti.
In tal senso il supremo consesso amministrativo ha affermato che "L’amministrazione pubblica può legittimamente revocare il procedimento di gara per l’aggiudicazione dell’appalto pubblico del servizio di gestione, riscossione, accertamento e recupero delle entrate comunali, ove, a seguito di uno studio di fattibilità, accerti la maggiore convenienza dell’affidamento " in house " del medesimo servizio ad una società a capitale pubblico" (Consiglio Stato, sez. V, 30 novembre 2007, n. 6137).
Non sussiste quindi alcuna violazione, sotto tale profilo.
Quanto ai profili inerenti la dedotta violazione dell’art. 23 bis del d.l. 112/2008, come eccepito dalla parte ricorrente, deve dunque rilevarsi che il servizio in oggetto ha natura strumentale, e come tale non rientra nei servizi di pubblica rilevanza, come messo in evidenza anche dalla Autorità Garante della concorrenza e del mercato.
Ne consegue che non trova applicazione il detto art. 23 bis, e, quindi, non trovano fondamento nemmeno le doglianze della ricorrente attinenti la mancata valutazione delle possibilità alternative di ricorso ad altre procedure e ad analisi del mercato.
Trattandosi di attività strumentale che esula dall’ambito di applicazione dell’art. 23 bis, e che è invece disciplinata dall’art. 52 l. 446/97 e dall’art. 13 d.lgs. 223/06, deve quindi concludersi per la teorica ammissibilità dell’istituto dell’in house.
Occorre perciò verificare la sussistenza – pure contestata in ricorso – dei requisiti in concreto richiesti per la ricorribilità all’istituto de quo.
Sul punto rileva il collegio che non può dirsi sussistente il requisito del controllo analogo, alla luce dei poteri previsti nello statuto.
La giurisprudenza, sul punto, ha chiarito che "Il ricorso all’affidamento in house è legittimo solo allorché l’Amministrazione pubblica eserciti sull’ente distinto un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e qualora l’ente svolga la parte più importante della sua attività con l’amministrazione o con gli enti pubblici che lo detengono (Consiglio Stato, sez. V, 11 agosto 2010, n. 5620), precisando ulteriormente che "occorre, in particolare, verificare che il consiglio di amministrazione della società di capitali affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali, e che l’ente pubblico affidante (rispettivamente la totalità dei soci pubblici) eserciti(no), pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulta indispensabile, che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci (Consiglio Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092)
Nel caso di specie risulta dallo statuto prodotto in atti che il consiglio di amministrazione della società affidataria in house ha una libertà decisoria pressoché assoluta rispetto al vaglio dell’organo politicoamministrativo, limitato ad aspetti meramente formali, che non consente di ritenere sussistente il predetto requisito di controllo richiesto.
In particolare l’art. 10 dello Statuto si limita a prevedere la competenza esclusiva dell’organo consiliare del comune di Piombino in materia di approvazione degli atti di indirizzo annuali per la gestione della società, di assunzione di partecipazioni e di autorizzazione alla alienazione di beni immobili non contemplati negli atti di indirizzo, lasciando ogni altra attività gestionale nella libertà operativa della società affidataria in house.
Ne consegue che in concreto la procedura di affidamento mediante il ricorso all’istituto dell’in house è illegittima, difettando il requisito del controllo analogo in concreto richiesto per la sua applicazione.
Il ricorso va quindi accolto sotto tale profilo.
Per quanto concerne la domanda risarcitoria, rileva invece il collegio come la richiesta di danno sia assolutamente generica, tale da configurarne l’inammissibilità.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie in parte.
Condanna l’amministrazione comunale al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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