Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 03-12-2010) 07-03-2011, n. 8898

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza del 09.10.2008 la Corte d’appello di Campobasso confermava la penale responsabilità di L.N. per i reati di cui agli artt. 337, 612 e 635 c.p., per avere opposto resistenza, mediante minacce e violenza, ai Carabinieri intervenuti per fermare la sua condotta di minaccia nei confronti di D.N.S., che egli poneva in essere dopo aver danneggiato il portone d’ingresso del condominio e la porta dell’appartamento in cui abitava la madre del predetto B.M.E..

2.- Propone ricorso il prevenuto, deducendo che:

a.- la condotta tenuta nei confronti dei Carabinieri era una mera espressione di volgarità ingiuriosa e minatoria, non finalizzata a incidere sulla loro attività e non perseguibile per mancanza di querela;

b.- la condotta tenuta nei confronti del D.N. non poteva integrare minaccia, sia per il contenuto delle parole profferite che per l’assenza in casa della persona offesa;

c. – la presunta condotta di danneggiamento non viene concretamente descritta dai giudici di merito.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

Si osserva, invero, in ordine ai rilievi di cui sopra:

– sub 2.a., che con lo stesso si intende contrapporre una propria valutazione a quella non illogicamente operata dal giudice di merito;

– sub 2.b., che con lo stesso, da un lato, sì incorre nella stessa improponibile censura formulata col rilievo di cui sub 2.a. e, dall’altro, si prospetta una tesi giuridica già respinta dalla giurisprudenza, che ha infatti statuito (Sez. 6, n. 36353 del 26/05/2003, dep. 22/09/2003, imp. Chiazza, Rv. 226644) che, ai fini della configurazione del delitto di minaccia non occorre che le espressioni intimidatorie siano pronunciate in presenza della persona offesa, essendo solo necessario che questa sia venuta a conoscenza anche tramite altre persone, a condizione che ciò avvenga in un contesto per il quale si ritenga che l’agente abbia avuto la volontà di produrre l’effetto intimidatorio (come sicuramente si verifica nel caso – ricorrente nella specie – Fattispecie in cui la minaccia sia stata pronunciata a persona legata al soggetto passivo da relazione di strettissima parentela);

– sub 2.c, che lo stesso è smentito dalle risultanze riportate nella sentenza impugnata (ove si parla di scardinamento del portone d’ingresso del condominio e della porta dell’appartamento in cui abitava B.M.E..

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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