T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 05-03-2011, n. 323 Procedimento e provvedimento disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

1.- Il ricorrente espone di essere stato collocato al quarto posto nella graduatoria redatta dalla Direzione della casa di reclusione di Rossano ai fini del reclutamento di personale da assegnare al servizio scorte (NTP).

Con ordine di servizio n. 47 del 5 ottobre 2008 il dirigente della Casa di reclusione dott. Giuseppe Carrà non procedeva alla nomina mediante ricorso alla predetta graduatoria e, in particolare, non incaricava il ricorrente, "che a quella data risultava essere il primo", di svolgere il servizio in esame. Il predetto dirigente, infatti, nominava l’assistente R.C., che risultava non inserito in graduatoria. Quest’ultimo, inoltre, non aveva neanche domandato la destinazione al NTP "tanto che, con successivo ordine di servizio (…) lo stesso R. veniva esonerato dal servizio per averlo chiesto espressamente".

Con lettera del 10 dicembre 2008, sottoscritta dal difensore del ricorrente e indirizzata al dirigente della casa di reclusione, si definiva l’episodio deplorevole e mortificante, chiedendosi, al contempo, di rendere noti i motivi della mancata osservanza della graduatoria.

A fronte di tale lettera il predetto dirigente – ritenendo che il T. avesse voluto censurare l’operato di un superiore per avere tenuto un contegno scorretto, accusandolo di avere alterato "consapevolmente e capziosamente i fatti e le circostanze indicate al fine di screditare l’operato" del dirigente – avviava un procedimento disciplinare ai sensi del d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449 (Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell’art. 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395).

A seguito dello svolgimento del predetto procedimento il provveditore regionale, con decreto n. 1182/D/10, infliggeva al ricorrente la sanzione disciplinare della deplorazione prevista dall’art. 4 del citato decreto.

Avverso detto provvedimento veniva proposto ricorso gerarchico al direttore generale del DAP in data 29 marzo 2010. Essendosi formato, ai sensi dell’art. 6 del d.p.r. n. 1199 del 1971, il silenzio rigetto, il ricorrente impugnava quest’ultimo unitamente al provvedimento di "primo grado".

Esposto ciò, si assume l’invalidità degli atti censurati per: a) violazione dell’art. 120 del d.p.r. n. 3 del 1957, il quale prevede che il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi, come sarebbe avvenuto nel caso in esame, novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto; b) carenza e contraddittorietà della motivazione; c) eccesso di potere per travisamento dei fatti, in quanto la lettera aveva quale unico scopo quello di fare valere un proprio diritto; d) eccesso di potere in relazione alla sanzione irrogata alla luce della irreprensibile condotta sino ad allora tenuta dall’incolpato.

2.- Si è costituita in giudizio l’amministrazione penitenziaria, assumendo, in via preliminare, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per: a) difetto di notifica all’Avvocatura dello Stato; b) decadenza del termine; c) difetto di competenza del giudice adito. Si deduce, inoltre, quale ulteriore motivo, il difetto di legittimazione passiva del dott. Carrà.

Nel merito si assume l’infondatezza del ricorso, sussistendo tutti i presupposti che legittimerebbero l’irrogazione della sanzione.

3.- Con ordinanza del 19 settembre 2010, n. 700 questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare, rilevando che, ad un sommario esame, "non sussistono i presupposti della sanzione disciplinare, atteso che i comportamenti sanzionati appaiono espressione di attività di evidenziazione e tutela dei propri interessi".
Motivi della decisione

1.- Il ricorrente ha impugnato il provvedimento disciplinare con il quale è stata ad esso inflitta la sanzione della deplorazione.

2.- Prima di valutare, nel merito, le censure prospettate occorre esaminare le eccezioni sollevate dall’amministrazione resistente.

2.1.- Con una prima eccezione si adduce l’irricevibilità del ricorso per essere lo stesso stato notificato personalmente al dott. Giuseppe Carrà e non all’Avvocatura dello Stato.

L’eccezione non è fondata.

Dagli atti risulta chiaramente la ritualità della notificazione effettuata, sia al Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, sia al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, presso la sede dell’Avvocatura di Stato. La circostanza che il ricorso sia stato notificato anche all’autore materiale del provvedimento, in qualità di controinteressato, non è idonea, anche in ragione di quanto si dirà nel prosieguo, a fare ritenere viziata l’instaurazione del contraddittorio.

2.2.- Con una seconda eccezione si deduce l’irricevibilità dell’atto introduttivo del giudizio per mancato rispetto del termine perentorio di sessanta giorni. Tale eccezione muove dal presupposto che detto termine decorrerebbe dalla comunicazione o piena conoscenza del provvedimento disciplinare e non dell’atto di rigetto del ricorso gerarchico.

L’eccezione non è fondata.

Nel casi in cui si chiede la tutela giustiziale, ai fini della decorrenza del termine per agire in sede giurisdizionale occorre avere riguardo al provvedimento espresso, o in caso di silenziorigetto, tacito, con il quale si conclude il procedimento. Diversamente argomentando, il ricorrente sarebbe costretto a proporre contestualmente i due ricorsi o comunque a proporre quello innanzi al Tar anche prima di conoscere l’esito del ricorso gerarchico, con ciò vanificando, tra l’altro, la funzione tipica di quest’ultimo, che è quella di essere anche uno strumento alternativo alla giurisdizione e dunque di espletare una utile finalità deflattiva del contenzioso.

Così ricostruito il rapporto tra tutela giurisdizionale e giustiziale, ne consegue la tempestività del giudizio instaurato innanzi a questo Tribunale.

2.3.- Con una terza eccezione si adduce il difetto di competenza del giudice adito.

Infatti, avendo il ricorrente impugnato il silenzio serbato dal "dipartimento dell’amministrazione penitenziaria", avente sede in Roma, il giudice competente sarebbe il Tar del Lazio.

L’eccezione è inammissibile.

A prescindere dalla fondatezza della deduzione formulata, la stessa avrebbe dovuto essere proposta mediante regolamento di competenza nelle forme e secondo le modalità previste dall’art. 31 della legge n. 1034 del 1971. Infatti, le nuove disposizioni contenute nel d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) – che hanno inciso profondamente sul sistema previgente, abrogando il predetto art. 31 e sancendo, tra l’altro, la rilevabilità d’ufficio della incompetenza – si applicano soltanto in presenza di controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore del decreto stesso. L’art. 5 cod. proc. civ. prevede, infatti, che la competenza si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda, non avendo rilevanza i successivi mutamenti legislativi.

2.4.- Infine, si chiede che venga estromesso dal giudizio il dott. Giuseppe Carrà.

Anche tale richiesta non può trovare accoglimento.

Il soggetto, sopra indicato – a prescindere dalla sua qualificazione quale controinteressato in senso processuale – avendo adottato l’atto impugnato ha certamente un interesse al rigetto del ricorso. La sua evocazione in giudizio, pertanto, non può ritenersi irrituale.

3.- Nel merito il ricorso è fondato.

L’art. 4, comma 2, lettera n), del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449 (Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell’art. 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395) prevede che la deplorazione è una dichiarazione scritta formale, con la quale vengono punite, tra l’altro, "le indebite osservazioni in servizio" e le censure dell’operato dei superiori.

La norma conferisce all’amministrazione un potere sanzionatorio mediante la chiara individuazione dei presupposti per il legittimo esercizio del potere stesso.

Nella controversia in esame, l’amministrazione, nella fase di valutazione dei fatti e degli interessi rilevanti nel procedimento attivato, è incorsa in un errore di fatto che ha determinato l’illegittimità della determinazione finale assunta.

Dagli atti del giudizio risulta, infatti, che il ricorrente si era limitato, con la nota del 10 dicembre 2008, a far valere il proprio diritto ad essere incaricato di svolgere un determinato servizio, in relazione al quale l’amministrazione di appartenenza aveva indetto una regolare procedura concorsuale che era terminata con la collocazione del ricorrente stesso in una posizione utile. Non si trattava, pertanto, di censurare l’operato dei superiori ma di rilevare un dato oggettivo e cioè che era stato nominato un soggetto che non risultava collocato in graduatoria e che non era in possesso dei requisiti professionali richiesti.

Né tantomeno può ritenersi che sussista il presupposto della "indebita osservazioni in servizio" – tra l’altro, genericamente richiamato nell’esposizioni dei motivi di ricorso – non risultando che il ricorrente abbia violato ordini ad esso impartiti.

3.1.- Risulta anche fondata la censura, connessa a quella sin qui esposta, con cui si deduce la violazione dell’art. 11 del citato decreto, il quale prevede che l’organo competente ad infliggere la sanzione deve "tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio". Questi aspetti non sono stati in alcun modo considerati, il che determina l’invalidità del provvedimento impugnato anche per tale ulteriore ragione.

3.2.- Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti.

4.- La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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