Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-02-2011) 09-03-2011, n. 9402 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.U.P. del Tribunale di Locri, con sentenza del 9.11.2009, dichiarava C.M., F.D. e F.M. colpevoli in ordine a due ipotesi criminose di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per avere coltivato al fine di spaccio 749 piante di canapa indiana e per avere illecitamente detenuto mg. 1.588,7 di sostanza stupefacente di tipo marijuana già essiccata e in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2 per essersi impossessati di acqua potabile, evitando di pagare i relativi consumi all’ente, realizzando un allaccio abusivo alla condotta dell’acquedotto comunale. Riteneva i sopra indicati reati uniti dal vincolo della continuazione e, applicate le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, applicata altresì la diminuente per la scelta del rito, condannava F. D. alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed Euro 36.000 di multa e C.M. e F.M. alla pena per ciascuno di anni sei e mesi quattro di reclusione ed Euro 30.000 di multa. Disponeva la confisca dello stupefacente in sequestro e di quanto altro sottoposto a sequestro e condannava gli imputati al risarcimento in solido dei danni patrimoniali e morali in favore della costituita parte civile Comune di Siderno e alla rifusione alla stessa delle spese di costituzione e difesa. Avverso la sopra indicata sentenza proponevano appello gli imputati.

La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza datata 8.04.2010, oggetto dei presenti ricorsi, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava gli imputati al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione gli imputati, a mezzo dei loro difensori e concludevano chiedendone l’annullamento, con ogni consequenziale statuizione.
Motivi della decisione

F.M. e C.M. hanno censurato la sentenza impugnata per inosservanza di legge e vizio di motivazione.

Osservavano i predetti ricorrenti che gli agenti operanti avevano sorpreso D. e F.M. nell’atto di estirpare alcune piante di canapa indiana nel terreno e C.M. semplicemente con in mano delle piante. Pertanto sarebbe illogica ed apodittica l’affermazione dei giudici della Corte territoriale secondo cui sarebbero inverosimili le giustificazioni da loro fornite, di essersi cioè recati nella piantagione perchè sollecitati da F.D., che aveva chiesto loro di aiutarlo ad estirpare le piante per poi distruggerle. Nessun elemento infatti sussisteva atto a provare che essi avessero contribuito alle diverse fasi del ciclo produttivo riguardante la piantagione ed anzi il teste L. aveva riferito di non avere mai visto accedere al terreno in precedenza C.M. e F.M., ma che l’unico frequentatore dell’appezzamento era F.D..

C.M. lamentava altresì erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione laddove la Corte territoriale aveva voluto ravvisare due distinte ipotesi criminose di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, unificate dall’identità del disegno criminoso, invece che un’unica condotta rapportabile alla coltivazione non autorizzata di piante di canapa indiana.

F.M. e F.D. hanno censurato la sentenza impugnata altresì in relazione alla mancata assunzione delle prove indicate nel quarto motivo dell’atto di appello, ritenendo pertanto nulla l’impugnata decisione. Secondo tali ricorrenti infatti gli accertamenti afferenti alla perizia sulle piante sequestrate e alla escussione del consulente tecnico di parte dott. B. costituivano prova decisiva, in quanto utile a contrastare l’asserzione di affidabilità degli accertamenti sullo stupefacente svolti dal consulente del Pubblico Ministero, che avevano condizionato il convincimento dei giudici della Corte territoriale sia in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 sia in relazione alla rilevante misura della pena in concreto inflitta agli imputati.

F.M. e D. hanno lamentato altresì violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione alla erroneamente ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.

Secondo i predetti ricorrenti la sentenza impugnata interpretava in maniera erronea D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 in quanto erroneamente riteneva sussistente la detta aggravante sulla base delle analisi del principio attivo estratto da poche piantine e sulla moltiplicazione aritmetica dello stesso per il numero di piante presenti nella piantagione. Secondo la difesa dei ricorrenti quindi l’aggravante prevista dall’art. 80, comma 2 era stata ricavata dai giudici di merito sulla base di un erroneo accertamento peritale effettuato dai consulenti del Pubblico Ministero.

Tutti i ricorrenti infine hanno censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione agli artt. 132, 133 e 62 bis cod. pen. per inosservanza della legge penale e vizio di motivazione circa l’omessa declaratoria di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante contestata e circa la misura della pena in concreto inflitta agli imputati.

OSSERVA LA CORTE DI CASSAZIONE che i proposti motivi di ricorso non sono fondati.

Deve innanzitutto osservarsi che, correttamente è stato ritenuto non credibile la tesi sostenuta da F.M. e C.M. secondo cui essi non avrebbero in alcun modo partecipato alla coltivazione della piantagione di marjiuana, ma sarebbero solo accorsi al momento dell’intervento degli operanti, su sollecitazione di F.D., che si era pentito e voleva estirpare le piante per poi distruggerle. La sentenza impugnata indica con grande chiarezza i motivi per cui tale tesi contrasta con i canoni della logica. Non può ritenersi che F.D. abbia commesso il reato in un momento di pazzia, come da lui sostenuto, dal momento che le piante erano centinaia e il loro livello di crescita dimostra che le stesse erano state piantate non di recente. I giudici della Corte territoriale evidenziano poi che contraddizioni erano emerse tra la versione fornita da F.D. e quella di C.M. in ordine alla partecipazione di quest’ultimo all’operazione di estirpazione. Il F.D. sostiene infatti di avere chiamato il C. prima ancora di avere avuto sentore dell’esistenza di una operazione di polizia, in quanto, essendosi reso conto di avere commesso una pazzia, voleva distruggere le piante. Il C. invece afferma di essersi trovato per caso nella piantagione e, allarmato dalla presenza nella zona della polizia, aveva egli stesso proposto al F. di aiutarlo a distruggere le piante. La sentenza impugnata evidenzia poi che, diversamente da quanto hanno sostenuto tutti e tre gli imputati secondo cui l’operazione di estirpazione delle piante era stata posta in essere nella stessa giornata, poche ore prima dell’intervento dei Carabinieri, gli agenti operanti hanno trovato estirpate un numero assai rilevante di piante e un numero di buche superiore al numero di piante adagiate sul terreno, a conferma che l’operazione di estirpazione era già iniziata in epoca precedente e non già nel giorno in cui i tre sono stati sorpresi dalle forze dell’Ordine. Nessuna delle piante estirpate poi era stata distrutta, ma le stesse si trovavano sul terreno pronte per essere poste sulle reti metalliche già predisposte per la successiva fase dell’essiccazione. Correttamente quindi la sentenza impugnata ritiene che la presenza di tutti e tre gli imputati nella fase finale della coltivazione, e cioè nella estirpazione delle piante e nella loro essicazione,presuppone la loro partecipazione alle fasi precedenti di messa in posa e coltivazione. Neppure può ritenersi fondato l’assunto sostenuto da F.M. secondo cui la Corte territoriale avrebbe erroneamente individuato due condotte penalmente rilevanti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,unificate dal vincolo della continuazione, mentre invece sarebbe sussistente una sola condotta delittuosa con riferimento alla illecita coltivazione di piante di canapa indiana.

Tanto premesso si osserva sul punto che dalla mera lettura dei capi di imputazione si evince che due sono le condotte illecite poste in essere dagli imputati, atteso che la prima fa riferimento alla coltivazione di una piantagione di canapa indiana, mentre la seconda si riferisce alla illecita detenzione in un diverso luogo, e cioè all’interno di una casetta di legno, di una quantità di marijuana da cui si potevano ricavare 63,5 dosi medie singole.

Relativamente poi alla ritenuta violazione di legge in merito al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, si osserva che non può certo essere ritenuta prova decisiva l’escussione del consulente tecnico della difesa dott. B. e l’espletamento di una perizia sulle piante di canapa indiana.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173 dell’11.06.2008, Rv 241009), la mancata assunzione di una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto si tratti di una" prova decisiva", ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale.

Per quanto poi concerne il motivo relativo alla pretesa insussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, si osserva che la sentenza impugnata da atto che, sulla base degli accertamenti condotti con rigore scientifico sui campioni di piante prelevati, è emerso che, all’esito del ciclo produttivo e tenuto conto del prevedibile sviluppo delle piante, era possibile ricavare dalle stesse circa 85.000 dosi medie giornaliere. Riteneva pertanto correttamente la sentenza impugnata, citando anche pertinente giurisprudenza di questa Corte, che la coltivazione in esame avesse destato notevole allarme, avendo dato luogo ad una vera e propria piantagione di cannabis, con riferimento agli elementi fattuali rappresentati dal dato ponderale e dal principio attivo contenuto nelle piante e che, per tali motivi, fosse configurabile la sopra indicata aggravante. La difesa di F.D. contestava tali argomentazioni e menzionava la sentenza di questa Corte, sesta sezione, n. 20119 del 2 marzo 2010, secondo cui, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, non possono di regola definirsi "ingenti" i quantitativi di droghe "pesanti" (ad es., eroina e cocaina) o "leggere" (ad es., hashish e marijuana) che, sulla base di una percentuale media di principio attivo per il tipo di sostanza, siano rispettivamente al di sotto dei limiti di due chilogrammi e cinquanta chilogrammi.

Tanto premesso, si rileva che la sopra indicata sentenza non costituisce giurisprudenza costante, ma solo una isolata pronuncia, non in grado pertanto di contrastare quanto sopra evidenziato.

Per quanto infine attiene alla doglianza circa l’omessa declaratoria di prevalenza delle attenuanti sull’aggravante contestata e circa la misura della pena in concreto inflitta agli imputati, la stessa è infondata. La Corte territoriale infatti sul punto correttamente rileva che la concessione delle attenuanti generiche a tutti e tre gli imputati è stata espressione di un atteggiamento benevolo del giudice di primo grado, che ha tenuto conto dell’atteggiamento collaborativo di F.D. e del ruolo di minore importanza rispetto a quest’ultimo assunto da F.M. e da C. M.. Peraltro la vastità della piantagione e la gravita del fatto hanno condotto il giudice a non effettuare un giudizio di prevalenza rispetto all’aggravante contestata, ma a limitarsi a quello di equivalenza e a non porre a base del calcolo il minimo edittale della pena, pur non discostandosene grandemente.

I ricorsi devono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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