Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso R. A. lamenta che erroneamente è stato dichiarato legittimo l’intervento nel processo di M. F. e A. B., le quali avevano preteso di sostituirsi ad A. A., facendo proprie le richieste che egli aveva formulato.
La doglianza è infondata.
Già il Tribunale aveva ritenuto inammissibile l’intervento di cui si tratta, con riferimento all’adesione alla domanda riconvenzionale, sulla quale infatti si era astenuto dal provvedere, rilevando che doveva reputarsi abbandonata, poiché erano rimaste contumaci le eredi del convenuto, uniche abilitate a riproporla dopo la riassunzione della causa. D’altra parte, come pure correttamente era stato osservato dal primo giudice ed è stato ribadito dalla Corte d’appello, M. F. e A. B., erano senz’altro legittimate a intervenire nel processo, ai sensi del secondo comma dell’art. 105 c.p.c., avendo un proprio interesse a sostenere le ragioni di A. A. e ad aderire alla richiesta di rigetto della domanda proposta dall’attrice, il cui accoglimento avrebbe potuto pregiudicare l’avvenuto acquisto, da parte loro, della quota ereditaria oggetto della controversia: acquisto dichiaratamente compiuto nella consapevolezza della pendenza di questa causa, il cui atto introduttivo peraltro era stato a suo tempo trascritto. Pertanto le intervenute, nonostante l’improprio richiamo all’art. 111 c.p.c., contenuto nella loro comparsa di costituzione in giudizio, non hanno inteso operare alcuna indebita “sostituzione processuale del de cuius” né “estromettere le legittime eredi”, come sostiene R. A..
Con il secondo motivo di ricorso vengono rivolte alla sentenza impugnata due distinte critiche, per avere la Corte d’appello: – ingiustificatamente ritenuto che la proposta di A. A. fosse stata accettata, pur se era stata formulata in maniera imprecisa e seguita da una diversa controproposta; – considerato valida la diffida ad adempiere, che invece era affetta da nullità, in quanto firmata da persona priva di procura rilasciata per iscritto.
La prima di tali censure deve essere disattesa.
Si verte nella materia dell’interpretazione di atti negoziali, che può formare oggetto di sindacato in questa sede soltanto sotto i profili della violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e della omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Ma per il primo aspetto, nessun rilievo è stato formulato dalla ricorrente. Quanto al secondo, va rilevato che la Corte d’appello ha dato adeguatamente conto delle ragioni della decisione sul punto, richiamando “l’inequivoco tenore della comunicazione; in data 21 novembre 1996”, con cui “l’attrice comunicava al fratello la propria accettazione ad acquistare la quota ereditaria come sopra meglio specificata per la somma di lit. 150.000.000, facendo peraltro espresso riferimento all’atto notificato in data 2.10.96 dal fratello signor A. A. con il quale lo stesso, ai sensi e per gli affetti di cui all’art. 732 cod. civ., ha comunicato alla sottoscritta ed alla madre E. R. la volontà di alienare a terzi per un contro valore di lit. 150.000.000 l’intera quota ereditaria”, dal che si è desunto che R. A. “non formulò pertanto una nuova proposta contrattuale, ma sintetizzò il contenuto della proposta del fratello e della sua accettazione con gli stessi termini ed accettò quanto contenuto nell’atto notificato il 2.10.1996”. Le contestazioni mosse da R. A. a queste argomentazioni non possono costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che consentono a questa Corte, sulle questioni di fatto, soltanto di verificare se la motivazione della sentenza impugnata sia esauriente e logicamente coerente e le inibiscono di compiere accertamenti e valutazioni prettamente di merito, come quelli che in sostanza la ricorrente richiede. Né può essere presa in considerazione la deduzione relativa all’asserito carattere indeterminato, quanto all’entità del prezzo, della proposta formulata da A. A.: il tema non ha formato oggetto di decisione nella sentenza impugnata, né la ricorrente ha precisato – come era suo onere – se e in quali atti lo abbia prospettato nel giudizio a quo.
Sull’altra questione, sollevata con il motivo di impugnazione in esame, si è verificato nella giurisprudenza di legittimità un contrasto, per la cui composizione il ricorso è stata assegnato alle sezioni unite.
Negli esatti termini in cui si pone in questo giudizio, la questione è stata affrontata soltanto in tre sentenze, che le hanno dato soluzioni divergenti: secondo Cass. 25 marzo 1978 n. 1447 “affinché la diffida ad adempiere, intimata alla parte inadempiente da un soggetto diverso dall’altro contraente, possa produrre gli effetti di cui all’art. 1454 cod. civ., è necessario che quel soggetto sia munito di procura scritta del creditore, e che tale procura sia allegata, o comunque portata a conoscenza del debitore con mezzi idonei, atteso il carattere negoziale della diffida medesima, quale atto unilaterale destinato a incidere sul rapporto contrattuale determinandone la risoluzione per l’inutile decorso del termine assegnato”; da questo indirizzo si è discostata Cass. 26 giugno 1987 n. 5641, con cui si è deciso che “l’art. 1350 cod. civ. stabilisce l’obbligo della forma scritta per la conclusione o la modifica dei contratti relativi a diritti reali immobiliari, ma né esso, né altra disposizione di legge prevedono analogo requisito di forma per ogni comunicazione o intimazione riguardante l’esecuzione di detti contratti; pertanto, è pienamente valida ed efficace la diffida ad adempiere un contratto preliminare di compravendita, intimata, per conto e nell’interesse dei contraente, da persona fornita di un semplice mandato verbale, come pure quella sottoscritta da un falsus procurator e successivamente ratificata dalla parte interessata”; in una posizione intermedia si è infine collocata Cass. 1 settembre 1990 n. 9085, ritenendo che “per il combinato disposto degli art. 1324 e 1392 c.c., la procura per la diffida ad adempiere a norma dell’art. 1454 c.c., ancorché questa sia atto unilaterale, deve essere fatta per iscritto soltanto nei casi previsti dalla legge e quindi se per il contratto, che si intende risolvere, la forma scritta sia richiesta ad substantiam o anche soltanto ad probationem e non quando riguardi beni mobili, per cui può essere anche conferita tacitamente, sempre che promani dall’interessato e sia manifestata con atti o fatti univoci e concludenti, restando in facoltà dell’intimato di esigere a norma dell’art. 1393 cod. civ. che il rappresentante, o chi si dichiari tale, giustifichi, nelle forme di legge, i suoi poteri”. Altre decisioni – come quelle richiamate nella sentenza impugnata, insieme con Cass. 5641/87 – non sono pertinenti, poiché non si riferiscono specificamente, come invece quelle sopra citate, alla procura per l’intimazione ad adempiere.
Ritiene il collegio che debba essere seguito l’orientamento tracciato da Cass. 1447/78.
Le norme che vengono in considerazione sono gli artt. 1454, 1324 e 1392 c.c., che rispettivamente dispongono: – “Alla parte inadempiente l’altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto… Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto”; – “Salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”; – “ La procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere”.
La diffida ad adempiere va certamente compresa tra gli atti equiparati ai contratti, data la sua natura prettamente negoziale: si tratta di una manifestazione di volontà consistente nell’esplicazione di un potere di unilaterale disposizione della sorte di un rapporto, di per sé idonea a incidere direttamente nella realtà giuridica, poiché dà luogo all’automatica risoluzione ipso iure del vincolo sinallagmatico, senza necessità di una pronuncia giudiziale, nel caso di inutile decorso del termine assegnato all’altra parte. È pertanto soggetta alla disciplina dei contratti, e in particolare a quella della rappresentanza, compresa la norma che estende alla procura il requisito di forma prescritto per il relativo negozio: norma la cui applicazione non è impedita da alcuna incompatibilità né dall’esistenza di una qualche diversa disposizione. Poiché dunque la diffida deve essere rivolta all’inadempiente “per iscritto”, è indispensabile che la procura per intimarla venga rilasciata in questa stessa forma dal creditore al suo rappresentante, indipendentemente dal carattere eventualmente “solenne” della forma richiesta per il contratto destinato in ipotesi a essere risolto (carattere peraltro presente nella specie, dato che a norma dell’art. 1543 c.c. “la vendita di un’eredità deve farsi per atto scritto, sotto pena di nullità” e nella successione del de cuius erano compresi anche beni immobili). Non contrastano con questa comunque ineludibile conclusione i precedenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. 25 marzo 1995 n. 3566, 26 marzo 2002 n. 4310) nei quali si è fatto cenno alla possibilità che la diffida ad adempiere venga “fatta nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo”, ma esclusivamente con riferimento alle modalità della sua trasmissione e senza affatto disconoscere che debba rivestire forma scritta.
Il principio da enunciare è quindi: “La procura relativa alla diffida ad adempiere di cui all’art. 1454 c.c. deve essere rilasciata per iscritto, indipendentemente dal carattere eventualmente solenne della forma richiesta per il contratto destinato in ipotesi ad essere risolto”.
Nella memoria di M. F. si è dedotto che A. A., costituendosi nel giudizio di primo grado e chiedendo che fosse accertata l’avvenuta risoluzione del contratto in questione, in forza del persistente inadempimento di R. A. dopo l’intimazione inviatale dall’avv. Tizio, aveva comunque ratificato l’operato del suo legale e consolidato gli effetti della diffida.
L’assunto non può essere preso in esame, per la stessa ragione esposta a proposito della tesi della ricorrente circa l’indeterminatezza della proposta rivoltale: la questione non ha formalo oggetto di decisione nella sentenza impugnata e non viene dedotto che sia stata sottoposta alla Corre d’appello. Né comunque poteva essere sollevata in questo giudizio con la memoria, che è atto destinato soltanto a illustrare le difese già svolte dalla parte resistente con il controricorso e non a farne valere di nuove (Cass. 13 marzo 2006 n. 5400).
Rigettato pertanto il primo motivo di ricorso e accolto il secondo nei limiti di cui si è detto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.