Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Torino, con sentenza dell’1.10.2009, in parziale riforma della sentenza 18.2.2009 del G.I.P. del Tribunale di quella città, pronunziata in esito a giudizio celebrato con le forme del rito abbreviato:
a) ha ribadito l’affermazione della responsabilità penale di C.G.A. in ordine ai reati di cui:
– all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 (perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità fisio-psichica della minore infraquattordicenne B.J. (in relazione all’elevato divario di età ed allo stato di soggezione psicologica), nel corso di due conversazioni telefoniche con quest’ultima (precedentemente conosciuta attraverso comunicazioni su una chat-line), la induceva a compiere su se stessa atti sessuali di autoerotismo culminati nel conseguimento di piacere sessuale tanto da parte sua quanto da parte della minore – in (OMISSIS));
– all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, (perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, induceva la minore infrasedicenne Be.Ch. (precedentemente conosciuta attraverso comunicazioni su una chat-line) ad avere con lui vari rapporti sessuali anali ed orali, abusando delle condizioni di inferiorità fisio-psichica della minore determinate dall’elevato divario di età e dalla presentazione di se stesso quale terapeuta psicanalista in grado di curare le difficoltà relazionali e le timidezze di lei – in (OMISSIS));
– all’art. 81 cpv. c.p., art. 600 quater c.p. e art. 600 quater c.p., comma 1 (perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, deteneva presso la sua abitazione, all’interno degli hard- disk a lui in uso, materiale pedopornografico scaricato dalla rete internet avente ad oggetto immagini reali e virtuali di minori degli anni 18 ritratti nel corso di rapporti sessuali tra loro e con adulti – in (OMISSIS));
b) e con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., determinava la pena principale in complessivi anni quattro di reclusione e confermava le pene accessorie.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del C., il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:
a) la insussistenza del reato contestato in danno della infraquattordicenne B.J., perchè non sarebbero riconducibili alla nozione di "atti sessuali", posta dall’art. 609 bis c.p., i rapporti intercorsi tra l’imputato e la ragazza, stante la totale assenza di un qualsiasi contatto corporeo tra loro, e non avrebbe subito "significative menomazioni o compressioni ad opera dell’imputato" la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, in quanto era stata proprio la giovane "a cercare e chiamare ripetutamente il maturo amico… senza necessità di particolari opere di convincimento da parte dell’uomo";
b) la insussistenza del reato contestato in danno della infrasedicenne Be.Ch., la quale non avrebbe subito "forzature nel concedersi intimamente al suo maturo amante" ed avrebbe liberamente e coscientemente prestato il proprio consenso agli atti sessuali, senza che la volontà di lei sia stata "in alcun modo coartata con subdolo soggiogamento psicologico nè con atti di violenza";
c) l’erronea esclusione della ravvisabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3 nei "casi di minore gravità".
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, perchè tutte le doglianze in esso svolte sono infondate.
1. Il Collegio rileva anzitutto che – ai fini della definizione di "atti sessuali" di cui all’art. 609 bis c.p. – non è indispensabile il requisito del contatto fisico diretto con il soggetto passivo, ma è sufficiente che l’atto abbia oggettivamente coinvolto la corporeità sessuale della persona offesa e sia finalizzato ed idoneo a compromettere il bene primario della libertà dell’individuo nella prospettiva dell’agente di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale.
Trattasi di principio già enunciato da questa Sezione con la sentenza 15.11.1996, n. 1040, ove è stato pure affermato che l’antigiuridicità della condotta vietata dall’art. 609 bis c.p. "resta connotata da un requisito soggettivo (la finalizzazione all’insorgenza o all’appagamento di uno stato interiore psichico di desiderio sessuale) che si innesta sul requisito oggettivo della concreta e normale idoneità del comportamento a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e ad eccitare o sfogare l’istinto sessuale del soggetto attivo".
Lo stesso principio ed analoghe argomentazioni sono stati poi ribaditi da Cass., Sez. 3: 10.10.2000, n. 12446; 22.4.2004, n. 18847;
12.10.2006, n. 34128 e, in particolare, con la sentenza 1.4.2004, n. 15464, questa Sezione ha specificamente affermato che vanno ricondotti alla nozione di "atti sessuali", di cui all’art. 609 bis c.p., gli atti di autoerotismo che un adulto, al fine di soddisfare le sue brame sessuali, mediante telefonate, induce bambini in tenera età a compiere sul loro corpo.
2. La fattispecie prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1 è caratterizzata dall’elemento della induzione verso il soggetto passivo e da quello dell’abuso "delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona al momento del fatto".
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che: per induzione deve intendersi un comportamento positivo mediante il quale, con un’opera di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto; l’abuso è integrato, a sua volta, dallo sfruttamento doloso della condizione di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali (vedi Cass.: Sez. 3, 11.12.2003, n. 47453, Ungaro;
Sez. 3, 27.1.2004, n. 2646, Lafry; Sez. 4, 3.10.2008, n. 40795, Cecere).
L’induzione punibile, attuata mediante l’abuso, non si configura come attività di persuasione, ma come "vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima, la quale non è in grado di aderire perchè convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie" (così Cass., Sez. 3, 13.5.1997, n. 4426, Masu).
L’abuso, quindi, si verifica quando le condizioni di inferiorità vengono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della sessualità della persona offesa, che, a causa della sua vulnerabilità connessa all’inferiorità psichica, viene ad essere utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali dell’autore del comportamento di induzione e tale comportamento risulta tipico proprio in quanto si lega con l’abuso. Attraverso detta strumentalizzazione l’autore della condotta delittuosa trasforma la relazione sessuale – che di norma intercorre tra due persone in grado di autodeterminarsi nell’esplicazione della propria libertà sessuale – in mera fruizione del corpo della persona che si trovi in condizioni di vulnerabilità soggettiva, la quale, per effetto del comportamento abusante, da soggetto di una relazione sessuale, viene ridotta al rango di "oggetto" dell’atto sessuale.
La condizione di inferiorità psichica non deve essere necessariamente integrata da una vera e propria patologia mentale, essendo sufficiente che la persona offesa versi in una situazione psicologica che la renda incapace di resistere alla volontà del soggetto attivo (vedi Cass., Sez. 3, 17.10.2007, n. 38261, Fronteddu): il soggetto passivo, in sostanza, presta il suo consenso all’atto sessuale ma tale consenso è giuridicamente irrilevante, perchè viziato in considerazione del differenziale di maturità sessuale rispetto al soggetto attivo (vedi Cass., Sez. 3, 19.1.2006, n. 2215, Cannatella). In questa materia, pertanto, non ha efficacia giuridica la causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto di cui all’art. 50 c.p., la cui efficacia scriminante è limitata dal legislatore al solo caso in cui il consenso sia espresso da un soggetto che può validamente disporre del diritto medesimo.
I giudici del merito, nella fattispecie in esame, risultano essersi attenuti correttamente agli anzidetti principi, poichè essi:
a) Quanto ai comportamenti tenuti dal C. nei confronti della infraquattordicenne B.J., hanno evidenziato che lo stato di soggezione psicologica della minore era stato realizzato:
– dando alla stessa false informazioni sulla liceità della propria condotta e conquistandone la fiducia con il riferirle di essere abituato a tenere il segreto sulle questioni intime anche in ragione della sua attività di psicoanalista;
– vantando precedenti analoghe esperienze con altre ragazze, anche minorenni, sì da ingenerare nella giovane interlocutrice istanze di emulazione competitiva;
– facendo apparire un rapporto erotico realizzato per via telefonica come normale fantasia sessuale anche tra soggetti con rilevante divario di età, idonea a produrre altresì effetti benefici e disinibenti;
– descrivendo alla minore il contenuto di immagini e video erotici nella di lui disponibilità, sì da sollecitarne l’impulso sessuale e favorire l’eccitazione di entrambi prodromica al simultaneo conseguimento dell’orgasmo. b) Quanto ai comportamenti tenuti nei confronti della infrasedicenne Be.Ch., hanno posto in rilievo lo stato di soggezione psicologica ingenerato attraverso la intervenuta surrettizia presentazione di esso imputato quale terapeuta psicoanalista in grado di curare le sue difficoltà relazionali e timidezze mediante una serie di sedute "terapeutiche" gratuite presso la di lui abitazione, i rapporti sessuali intrattenuti nel corso delle quali sarebbero serviti a renderla meno ansiosa e nervosa anche nei confronti dei genitori.
Deve rilevarsi, pertanto, che la Corte territoriale – previo accurato raffronto degli elementi di responsabilità acquisiti a carico dell’imputato con le obiezioni mosse dalla difesa – è razionalmente pervenuta ad un’affermazione di colpevolezza sulla base di un apparato argomentativo della cui logicità non è dato dubitare.
I giudici di appello coerentemente hanno concluso nel senso che la dinamica dei rapporti tra autore e vittime ha consentito al primo di avere a sua totale disposizione entrambe le ragazze, prevaricando sulla loro personalità, in modo da non farle opporre resistenza, ma facendole sostanzialmente subire attività sessuali "senza condivisione", quali soggetti passivi di una volontà strumentalizzante che le ha "manovrate" fin dal primo momento.
3. La circostanza attenuante, prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3 nei "casi di minore gravità", deve considerarsi applicabile in quelle fattispecie in cui – avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione – sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima (bene-interesse tutelato dalla norma incriminatrice) sia stata compressa in maniera non grave.
Si impone, pertanto, una valutazione riferita, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, ove assumono rilievo il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato anche in termini psichici (vedi Cass.. Sez. 3: 6.12.2007. n. 45604; 17.1.2007. n. 1057: 6.12.2006. n. 40174).
Nella specie la Corte di merito ha considerato inapplicabile la norma più favorevole previo opportuno e logico apprezzamento, della reiterazione delle condotte abusanti; dell’entità dell’alterazione del percorso evolutivo delle giovani; del perdurante turbamento psichico in esse ingenerato.
Trattasi di una valutazione, assolutamente legittima, di elementi negativi particolarmente rilevanti, correttamente correlata alla condotta complessiva dell’imputato.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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