Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-02-2011) 28-03-2011, n. 12501 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina ha confermato la pronuncia di colpevolezza di F.W. M.R. in ordine al reato di cui agli art. 81, 56 e 609 bis c.p. e 609 ter c.p., comma 2, a lui ascritto per avere commesso, in circostanze diverse, atti idonei univocamente diretti a costringere P.L., minore degli anni dieci, a subire atti sessuali, non riuscendo nell’intento per la pronta reazione della minore che si sottraeva e da ultimo scappava fuori dall’abitazione. I tentativi sono consistiti nel cercare di baciare la parte lesa e da ultimo anche nel prenderla in braccio, buttarla sul letto e cercare di baciarla, esibendo l’organo genitale.

Secondo la ricostruzione dei fatti riportata in sentenza i tentativi di abuso sessuale sono stati commessi dall’imputato ai danni della figlia della sig.ra V.G. presso la quale svolgeva attività di domestico. In relazione all’ultimo episodio criminoso la predetta sig.ra V., che era uscita di casa per accompagnare la figlia maggiore, era stata raggiunta da una telefonata della piccola L. che le chiedeva di rientrare subito a casa. Qui giunta aveva trovato la bambina fuori dall’abitazione in stato di evidente nervosismo con in mano l’apparecchio telefonico con il quale la aveva chiamata. La figlia, che aveva i calzini bagnati in quanto era piovuto, le chiedeva di licenziare il domestico senza spiegare le ragioni di tale richiesta. In seguito la sig.ra V. era riuscita ad indurre la bambina a scrivere su un foglio quanto accaduto e la piccola L. aveva scritto testualmente "mi vuole baciare in bocca e mi vuole far vedere il pisello e mi ha fatto urlare." La madre provvedeva, quindi, a denunciare i fatti.

Nel corso delle sommarie informazioni, alla presenza di un’assistente sociale e della madre, la bambina riferiva l’accaduto, così come sinteticamente descritto nel capo di imputazione. Nel prosieguo era stato disposto un incidente probatorio per sentire la minore quale teste e disporre nei suoi confronti una perizia psicodiagnostica al fine di valutarne la personalità. In sede di esame la minore riferiva, tra l’altro, che l’ultimo episodio era stato preceduto da altri nel corso dei quali, però, l’imputato si era limitato a cercare di baciarla, desistendo in quanto la bambina si sottraeva a tali effusioni.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva chiesto di essere assolto dal reato continuato ascrittogli, contestando l’attendibilità della parte lesa anche con riferimento all’esistenza di ulteriori episodi, oltre quello sfociato nella denunzia, e chiesto, in subordine, la concessione della diminuente di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., nonchè un diverso giudizio di comparazione delle concesse attenuanti genetiche.

Sui vari punti la pronuncia della Corte territoriale ha sostanzialmente richiamato le argomentazioni, ritenute del tutto esaustive, della sentenza di primo grado, con particolare riferimento al giudizio di attendibilità della parte lesa in considerazione della sostanziale coerenza del narrato nelle varie sedi, della esistenza di riscontri e delle risultanze della perizia psicodiagnostica, nella cui disamina si era tenuto conto delle diverse valutazioni prospettate dal perito di parte. Avverso la sentenza ha proposto ricorso difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione delle disposizioni di cui al capo di imputazione, dell’art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, art. 187 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza.

Con il mezzo di annullamento, in sintesi, viene censurata la motivazione per relationem della sentenza impugnata mediante il generalizzato rinvio alle argomentazioni della sentenza di primo grado, senza che venisse data risposta ai rilievi dell’appellante con i quali era stata chiesta l’assoluzione dell’imputato, anche ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, e, quale conseguenza della evidenziata mancanza di emergenze probatorie certe, venisse esclusa la affermazione di colpevolezza in ordine alla asserita pluralità di episodi criminosi.

Si deduce che la sentenza impugnata, nel riportarsi integralmente alla pronuncia di primo grado, dimostra che la Corte territoriale non ha compiutamente affrontato l’esame della vicenda processuale, nè ha dato conto delle ragioni per le quali gli specifici motivi di impugnazione sono stati respinti. Si aggiunge che nel caso in esame non sussistevano a carico dell’imputato indizi concordanti e qualificati che consentissero di ritenere provato il reato ascrittogli, in particolare con riferimento alla pluralità di episodi, punto che aveva formato oggetto di uno specifico motivo di doglianza.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 133 c.p., commi 1 e 2, e mancanza di motivazione della sentenza.

Sostanzialmente viene riproposta la censura per carenza di motivazione con riferimento al mancato accoglimento del motivo di gravame con il quale era stato chiesto un giudizio di comparazione delle attenuanti genetiche con l’aggravante più favorevole di quello di equivalenza, facendosi rilevare che l’imputato è incensurato e si trova in Italia con regolare permesso di soggiorno. Sul punto si sarebbe inoltre dovuto tener conto della assenza di riscontri concreti all’accusa. Si deduce che la motivazione della sentenza è carente dei requisiti di completezza, correttezza e logicità che dovrebbero caratterizzarla.

Con l’ultimo mezzo di annullamento sì denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 609 bis c.p.p., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè mancanza assoluta di motivazione della sentenza.

Viene reiterata la censura per carenza assoluta di motivazione della sentenza in ordine alla richiesta che venisse ritenuta la diminuente del fatto di minore gravità; richiesta che non ha formato oggetto di qualsivoglia valutazione.

Il ricorso non è fondato.

Il primo motivo di gravame si palesa del tutto generico, poichè non vengono indicate dal ricorrente le argomentazioni addotte a sostegno dei primi due motivi di appello avverso la sentenza di primo grado, in relazione alle quali sarebbe carente la motivazione della sentenza impugnata ovvero insufficiente quella per relationem.

E’ noto che la motivazione della sentenza "per relationem" a quella della decisione impugnata è ammissibile a condizione che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, non essendo tenuto il giudice di appello, nell’effettuare il controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, a riesaminare questioni dedotte dall’appellante nei motivi di gravame sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e senza vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. (sez. 4, 18.11.1994 n. 13075, Mascolo, RV 200737; sez. 1, 20.6.1997 n. 6980, Zuccaio, RV 208527; sez. 5, 22.4.1999 n. 7572, Maffeis, RV 213643; sez. 6, 14.6.2004 n. 31080, Cerrone, RV 229299; sez. 4, 17.9.2008 n. 38824, Raso e altri, RV 241062).

Orbene, la sentenza di appello contiene una precisa valutazione in ordine al carattere meramente reiterativo delle deduzioni dell’appellante rispetto a quelle che hanno già formato oggetto di motivazione, ritenuta assolutamente esaustiva, nella sentenza di primo grado, sulla base di una valutazione condivisa dai giudici di appello.

Il primo motivo di ricorso, però, ignora totalmente tale rilievo, che doveva formare oggetto di specifica confutazione.

La sentenza impugnata ha inoltre correttamente rilevato in punto di diritto che le dichiarazioni della parte lesa costituiscono mezzo di prova, da valutarsi ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 1, mentre il ricorrente richiama erroneamente i criteri di valutazione indicati nell’art. 192 c.p.p., comma 2, a proposito degli elementi indiziali.

Anche i motivi di gravame in ordine al trattamento sanzionatorio sono infondati.

Invero, la esclusione della diminuente di cui all’art. 609 bis c.p.p., comma 3, ha formato oggetto di motivazione assolutamente esaustiva nella sentenza di primo grado, con valutazione condivisa dalla pronuncia di appello che ad essa rinvia, mediante il riferimento alla pervicacia dimostrata dall’imputato nella reiterazione della condotta criminosa, alla insidiosità della stessa ed al danno psichico cagionato alla minore.

Valutazione di merito, immune da vizi logici, anche con riferimento al giudizio di comparazione delle attenuanti genetiche con le aggravanti, che pertanto si sottrae a ogni censura in sede di legittimità, stante peraltro anche il carattere assolutamente generico di quanto dedotto dal ricorrente al fine di ottenere una diversa valutazione di merito dal giudice di appello sul punto.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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