Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-06-2011, n. 14177 Legittimazione attiva e passiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 3 ottobre 1991, C.M. conveniva i germani A., C., Ma. e la madre D.L.E. dinnanzi al Tribunale di Salerno, per ottenere la divisione giudiziale del patrimonio relitto dal padre Ce.An., deceduto l'(OMISSIS), e consistente in diversi terreni siti nel Comune di (OMISSIS), in un gregge di 404 capi ovini e caprini e in somme di denaro, da accertarsi.

L’attrice deduceva che del gregge e delle somme di denaro si era impossessato il fratello A.. Questi resisteva e sosteneva che, con scrittura del 15 marzo 1990, i fratelli gli avevano ceduto le proprie quote e che era pendente altra controversia relativa alla esecuzione coattiva di tale obbligo.

Il giudice istruttore sospendeva il giudizio di divisione in attesa della definizione di tale giudizio pregiudiziale.

Accertata in sede penale la falsità della scrittura di cessione delle quote ereditarie, l’attrice riassumeva la causa di divisione.

Disposta una prima consulenza tecnica d’ufficio e poi una seconda, l’adito Tribunale, con sentenza del 29 aprile 2002, disponeva lo scioglimento della comunione; attribuiva alla D.L. la prima quota come formata dal c.t.u. ing. N.; individuava quattro quote da assegnare agli altri coeredi mediante sorteggio; stabiliva i conguagli come calcolati dal medesimo c.t.u.; poneva le spese di frazionamento a carico della massa e in proporzione delle rispettive quote di diritto; poneva a carico della massa le spese processuali sostenute dalle convenute D.L.E. e C.C.;

condannava C.A. al pagamento delle spese processuali sostenute da C.M.; provvedeva, con separata ordinanza, alle operazioni di sorteggio delle quote uguali.

Avverso tale sentenza, proponeva appello C.A. deducendo che il Tribunale aveva errato nel non computare i miglioramenti che egli aveva apportato ai beni comuni; che erroneamente era stato adottato il secondo progetto di divisione, prescindendosi dal valore attribuito ai singoli cespiti e alle quote assegnate ad ognuno dei condividenti; che gli immobili erano divisibili, sicchè sarebbe stato possibile includere parte dei fondi in ciascuna quota; che erroneamente era stato determinato l’importo che egli avrebbe dovuto versare per reintegrare le altre quote; che erroneamente era stato condannato alle spese, essendosi egli opposto solo per evitare una ingiusta divisione.

Resistevano al gravame D.L.E. e C.C., nonchè C.M., la quale proponeva appello incidentale relativamente alle spese poste a carico della massa; non si costituiva Ce.Ma..

La Corte d’appello di Salerno, con sentenza depositata in data 1 agosto 2005, ha rigettato entrambi gli appelli. Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello ha ritenuto che correttamente il Tribunale avesse fatto applicazione del principio della soccombenza a carico di C.A. nei confronti dell’attrice, osservando che l’appellante aveva opposto resistenza in giudizio, tanto da provocare la sospensione del procedimento adducendo di essere unico erede sulla base di una scrittura privata di cessione di quote, dichiarata falsa in sede penale.

Per la cassazione di questa sentenza C.A. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo; hanno resistito, con controricorso, D.L.E. e C.C.; gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso, C.A. deduce violazione degli artt. 784, 726 e 729 cod. civ., nonchè illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

La sentenza impugnata, osserva il ricorrente, si fonderebbe su un presupposto errato, e cioè quello della esistenza di una comunione della quale anche egli era parte. E di tale circostanza l’attrice non aveva fornito la prova. Anzi, esso ricorrente, circa un anno prima della notificazione della domanda di divisione, aveva ceduto la propria quota ereditaria al fratello Ma. con atto pubblico regolarmente trascritto, sicchè era privo di legittimazione passiva nel giudizio di divisione. Egli, peraltro, non solo non era stato estromesso dal giudizio, ma era stato condannato al pagamento delle spese di un procedimento al quale era estraneo; circostanza, questa, che sarebbe stata agevolmente accertabile e verificabile.

Il ricorso è infondato.

L’unico motivo nel quale esso si articola, invero, contiene una censura nuova, mai proposta nei gradi di merito, nei quali, anzi, il ricorrente, lungi dall’eccepire la propria estraneità al giudizio, ha svolto difese oppositive alla domanda di divisione, reclamando, in primo grado, l’attribuzione elusiva dei beni sulla base di una scrittura di cessione di quote poi rivelatasi falsa in sede penale, e successivamente, in appello, contestando i criteri di formazione delle quote da assegnare ai singoli condividenti.

In proposito, deve rilevarsi che l’effettiva titolarità passiva del rapporto giuridico controverso attiene al merito della controversia, sicchè la relativa questione rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Il suo difetto, pertanto, non può essere rilevato d’ufficio dal giudice, ma deve essere dedotto nei tempi e modi previsti per le eccezioni di parte e non può, quindi, essere sollevato per la prima volta in sede di legittimità (Cass. n. 23670 del 2008).

Invero, la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa che si riferisce al merito della causa investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza. Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo appunto al merito, non è rilevabile d’ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, per farla valere proficuamente, deve essere tempestivamente formulata (v., da ultimo, Cass., n. 11284 del 2010).

Nella specie, non può ritenersi che venga in rilievo una questione di legittimazione ad causam, atteso che rispetto ad una domanda di divisione di una comunione ereditaria deve ritenersi legittimato chi venga evocato nella qualità di coerede, laddove la deduzione dell’avvenuta cessione della quota indivisa dei beni ereditari integra un’eccezione, che avrebbe dovuto dalla parte essere fatta valere nei modi e nei tempi previsti per le eccezioni di parte.

Per quanto attiene poi alla statuizione della sentenza impugnata in ordine alle spese, deve rilevarsi che correttamente la Corte d’appello ha attribuito al ricorrente la qualità di soccombente nel giudizio di divisione, ponendo a suo carico le spese sostenute dall’attrice, e ciò tenuto conto delle posizioni assunte dal ricorrente nei gradi di merito del giudizio.

In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *