Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
to, il quale ha concluso per l’accoglimento dei motivi di gravame.
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza deliberata in data 9 novembre 2009, depositata in cancelleria il 16 novembre 2009, la Corte di Appello di Milano, confermava la sentenza 11 agosto 2008 del Giudice della Udienza preliminare del Tribunale di Varese che aveva dichiarato A. A. responsabile dei reati di tentato omicidio, maltrattamenti, lesioni personali aggravate e minacce ai danni della moglie C.R., condannandolo, ritenuto il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p. tra i reati contestati, applicata la diminuente del rito abbreviato e le attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., alla pena di anni cinque, mesi due di reclusione. a. – Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. Renato Prestinoni, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione l’ A. chiedendone l’annullamento per i seguenti profili:
a) mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e);
la Corte di Appello non ha dato contezza delle censure espresse in gravame secondo cui non si conciliavano con l’animus necandi l’essere state inferte dall’ A. alla moglie oltre a due ferite neppure riportate in cartella clinica, anche una lesione superficiale all’altezza dell’ascella destra (con andamento tangenziale come accertato dallo specialista medico legale prof. D., sentito come testimone, senza che fossero attinti organi vitali) e un’altra ancora in zona scapolare penetrante per meno di un centimetro; le ferite in questione non avevano necessitato peraltro di alcun punto di sutura e la parte offesa non era stata in pericolo di vita tanto da guarire in quindici giorni. Non conciliabili con la volontà omicida sono altresì le dichiarazioni dell’imputato e della vittima come rese ai Carabinieri: l’ A. ha per vero affermato di aver utilizzato nell’occorso un semplice coltello da cucina, avendo smesso di colpire la donna non appena si era accorto di averla ferita; la donna ha ricordato che le ferite al dorso, tra cui vi era quella ritenuta più grave, le erano state inferte mentre era svenuta. Non vi è inoltre alcuna traccia di sangue sull’arma identificata come arma dell’aggressione atteso peraltro che i Carabinieri hanno indicato l’esistenza sulla lama solo di una goccia d’acqua. La distanza ravvicinata tra il feritore e la vittima è in palese contraddizione con le conclusioni della Corte territoriale in tema di univocità degli atti: se l’imputato avesse voluto sarebbe stato in grado di uccidere la vittima quando la stessa era priva di coscienza, dimostrando così il contrario di quanto indicato in sentenza.
Inoltre l’indicata reiterazione dei colpi in realtà si era limitata a soli due fendenti per giunta superficiali. Erronea è l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui le ferite attinsero zone vitali posto che l’unica ferita profonda di un solo centimetro interessò la zona toracico – scapolare della vittima in un punto lontano da organi vitali. Manca inoltre l’indicazione delle cause fortuite o indipendenti dalla volontà dell’aggressore che avrebbero impedito l’evento morte, mentre le pregresse minacce di morte proferite dal marito non caratterizzano la volontà di uccidere del prevenuto. b) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in merito al coltello asseritamente utilizzato per l’aggressione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); il coltello che il giudice ritiene essere stato usato per l’aggressione è stato invece indicato dai Carabinieri come lavato dall’ A. per poter togliere le tracce ematiche. Nessuna perizia è stata svolta e non vi è prova che il coltello in questione sia stato quello utilizzato nell’aggressione; è poi improbabile che il prevenuto abbia potuto in pochi secondi, nel tempo cioè dell’accesso da parte dei militi, di lavare in profondità l’arma e poi asciugarla. c) contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla testimonianza del Prof. D. e in merito alla sua relazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); il giudice non ha chiarito per quale motivo le conclusioni dello specialista, che aveva affermato che le ferite erano state superficiali, tangenziali e inferte da chi non aveva avuto intenzione di uccidere, fossero da disattendere. La testimonianza dell’esperto era stata radicata nel contesto vuoi con riferimento alle dichiarazioni della parte offesa vuoi con le modalità dell’aggressione.
Motivi della decisione
3. – Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
3.1 – Il primo motivo di ricorso (incentrato su vari vizi motivazionali) non è fondato e deve essere respinto.
3.1.1 – Deve premettersi che, nella verifica della consistenza dei rilievi critici mossi dal ricorrente, la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, di talchè – sulla base di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte – deve ritenersi che la motivazione della prima si saldi con quella della seconda fino a formare un solo complessivo corpo argomentativo e un tutto unico e inscuidibile (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 1992, Ballan ed altri e, da ultimo, Sez. 1, 21 marzo 1997, Greco ed altri;
Sez. 1, 4 aprile 1997, Proietti ed altri).
3.1.2. – Ciò posto, occorre rilevare che, per giurisprudenza costante di questa Corte di legittimità di legittimità, ai fini della diversa definizione del fatto materiale nel reato di lesione personale e in quello di tentato omicidio – così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo – deve aversi riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell’agente, che alla differente potenzialità dell’azione lesiva. Nel primo reato l’azione esaurisce la sua carica offensiva nell’evento prodotto, mentre nel secondo vi si aggiunge un quid pluris che, andando al di là dell’evento realizzato, tende ed è idoneo a causarne uno più grave in danno dello stesso bene giuridico o di un bene giuridico superiore, riguardanti il medesimo soggetto passivo, non riuscendo tuttavia a cagionarlo per ragioni estranee alla volontà dell’agente (Cass., Sez. 1, 20 maggio 1987, Incamicia, rv. 177610).
3.1.3. – Il giudice di secondo grado è stato ossequioso di questi principi avendo esaustivamente dato conto delle ragioni della mancata derubricazione del fatto, giuste le considerazioni esposte in punto di sede corporea attinta dal prevenuto (tra l’altro il torace) dell’idoneità dell’arma impiegata (un coltello da cucina), della reiterazione dei colpi assestati alla vittima (ben quattro), nonchè delle stesse modalità reiterative dell’atto lesivo (che seguivano una sequela di ingiurie e minacce di morte e di gravi lesioni, sempre con coltello, in episodi pregressi), traendone un convincimento non contraddittorio e logico. In particolare il giudice del merito ha fatto valere una valutazione ex ante in coordinazione di tutti gli altri elementi circostanziali del fatto ravvisando la sussistenza di indici di alta potenzialità lesiva e dunque di sussistenza dell’animus necandi in ottemperanza del consolidato orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino "ictu oculi l’animus necandi", la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Cass., Sez. 1, 8 giugno 2007, n. 28175, Marin, rv. 237177).
3.1.4. – Manifestamente infondate, perchè tendenti a una rivalutazione in fatto delle prove già esaminate dal giudice, sono invece le considerazioni che tendono a svilire la portata dell’aggressione e la pericolosità della ferita inferta alla schiena che, come sottolinea la Corte territoriale, è stata ritenuta tale dalla dott.ssa B. da determinare un pneumotorace potenzialmente capace di esporre la paziente a seri pericoli diagnostici. Sulle stesse circostanze è congrua e non contraddittoria la motivazione del giudicante in relazione al contenuto della relazione del consulente di parte D.. E’ appena il caso di osservare peraltro che le parti vitali del corpo umano costituiscono nozione diversa da quella di zona vitale e che, secondo le regole di comune esperienza, nel tentato omicidio non viene mai in considerazione la zona vitale del corpo (il cuore ad esempio) bensì solo la parte del corpo con questa caratteristica fisiologica (il torace).
3.1.5. – Destituito di fondamento è altresì l’assunto difensivo secondo cui la volontà del prevenuto di solo ledere è ricavabile dal fatto che la ferita più grave sarebbe stata inferta quando la parte offesa era priva di coscienza. A parte la considerazione che non vi è certezza che la lesione grave sia stata cagionata proprio quando la donna era svenuta e non successivamente (come farebbe pensare invece la circostanza, come lascia intendere il giudice di gravame valutando il fatto, che, una volta risvegliatasi nella vasca da bagno, cercando di fuggire, sia stata raggiunta dal marito che ha continuato ad aggredirla con il coltello) il ricorrente non tiene conto della evenienza che è la stessa vittima ad aver interrotto una prima volta l’azione lesiva del prefato scappando dal bagno (prima di sottrarsi definitivamente all’aggressore, fuggendo in strada), e ciononostante veniva raggiunta dall’ A. il quale, tornato dalla cucina dove si era munito di un’arma maggiormente idonea per la bisogna, riprendeva a colpirla.
3.1.6. – Nessun vizio di motivazione è poi ravvisabile in relazione alla individuazione del coltello sequestrato come arma del delitto, posto che la stessa è stata individuata dai militi operanti come quella su cui erano state rinvenute tracce ematiche e anche di lavaggio. I dubbi sollevati in modo inammissibile dal ricorrente che lo stesso, per i tempi esigui di intervento dei Carabinieri, non poteva essere stato in grado di lavare l’arma, contrasta con l’ammissione dell’ A. di aver proceduto alla pulizia.
3.1.7 – Del tutto priva di fondamento è anche la doglianza che attiene al mancato accertamento tecnico dell’esistenza di tracce ematiche sulla lama, posto che tale verifica non era compatibile con il regime di rito abbreviato eletto dal medesimo prevenuto.
3.1.8. – Privo di qualsivoglia fondamento è anche la doglianza difensiva secondo cui il giudice non avrebbe indicato cause fortuite o indipendenti dalla volontà dell’aggressore che avrebbero impedito l’evento, posto che è per tabulas il fatto che la C., per sfuggire al marito, sia scappata in strada seminuda (e lorda di sangue) ponendo così in essere un evento esterno alla volontà omicida dell’ A. che non è così riuscito a protrarre l’evento voluto.
4. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento, a favore della cassa delle ammende, della somma, infra indicata, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, di Euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.
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