Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza in data 13.8.2010 il GIP presso il Tribunale di Verona, all’esito dell’udienza di convalida, disponeva l’applicazione della misura cautelare della detenzione in carcere nei confronti di A. A. in ordine al reato di estorsione continuata aggravata in danno di F.C., persona da tempo in cura presso il Centro Salute Mentale di (OMISSIS).
Avverso l’ordinanza presentava istanza di riesame l’indagato contestando: la sussistenza del ravvisato pericolo di reiterazione;
la scelta della misura, ritenendo idonee misure meno afflittive, quali gli arresti domiciliari; la qualificazione giuridica del fatto, ritenendo la fattispecie riconducibile alla truffa o alla circonvenzione di incapaci; la consistenza del danno cagionato alla persona offesa; la lesione dei diritti di difesa derivato dal diniego, opposto dal GIP, alla richiesta difensiva di accesso agli atti del fascicolo del P.M. prima dell’interrogatorio;
l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche per mancanza dei requisiti previsti dall’art. 270 c.p.p., comma 2.
Il Tribunale del riesame considerava legittimo il diniego del GIP all’accesso agli atti richiamando giurisprudenza di questa Corte.
Riteneva però che il fatto dovesse essere più correttamente qualificato come circonvenzione di incapace con la conseguenza che non potevano essere utilizzate le intercettazioni disposte in diverso procedimento ai sensi dell’art. 270 c.p.p..
Confermava la sussistenza del grave quadro indiziario a carico dell’indagato individuato negli atti dell’arresto in flagranza dell’ A., nelle dichiarazioni e nell’atteggiamento del F., nelle informazioni bancarie e la sussistenza delle esigenze cautelari che potevano essere tutelate solo con la detenzione in carcere.
Ricorre per Cassazione personalmente l’indagato deducendo:
1. La violazione delle disposizioni di cui all’art. 309 c.p.p., commi 5 e 9 e art. 128 c.p.p.. Lamenta il ricorrente che il deposito del dispositivo di rigetto è stato certificato da un ignoto cancelliere B3 e che anche il deposito dell’ordinanza impugnata è stata effettuata da altro ignoto cancelliere C2. L’impossibilità di individuare i soggetti che hanno provveduto al deposito impedisce, secondo il ricorrente, di ritenere osservati i termini previsti dall’art. 309 c.p.p., commi 5 e 9. 2. Violazione degli artt. 270 e 271 c.p.p. per avere utilizzato le intercettazioni attraverso il rinvio per relationem alle dichiarazioni che la parte offesa avrebbe reso agli operatori di P.G. in violazione di quanto disposto dagli artt. 357, 351 e 191 c.p.p..
3. Violazione del divieto di cui all’art. 271 c.p.p. Lamenta che il giudice del riesame ha surrettiziamente utilizzato il contenuto delle intercettazioni attraverso le dichiarazioni della parte offesa.
4. Violazione di legge per avere il giudice ricostruito il fatto come circonvenzione di incapace Sostiene il ricorrente che, una volta dichiarata la non utilizzabilità delle intercettazioni e valutata l’inconferenza delle indagini bancarie, non vi erano elementi per affermare la sussistenza del grave quadro indiziario con riguardo al reato in argomento.
I motivi sono manifestamente infondati.
Con riguardo al primo motivo deve osservarsi il depositato è atto formale proprio del cancelliere che si assume la responsabilità, nel ricevere l’atto, della sua esistenza, della sua autenticità, della provenienza dal giudice che risulta autore estensore del provvedimento. Nel caso in esame c’è stato questo riconoscimento di autenticità, come, risulta dal timbro apposto in calce al dispositivo di ordinanza dal funzionario di cancelleria preposto, il quale ha dato atto che il 27.8.2010 il dispositivo era stato depositato e dal timbro apposto in calce all’ordinanza da altro funzionario di cancelleria preposto che ha dato atto che il 31.8.2010 era stata depositata l’ordinanza. Con gli altri motivi il ricorrente lamenta la surrettizia utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche dichiarate inutilizzabili dal Tribunale del Riesame perchè disposte con riguardo al reato di estorsione che era stato riqualificato dallo stesso Tribunale, a seguito di sollecitazione della difesa, nel reato di circonvenzione di incapace che impediva l’operatività della disciplina di cui all’art. 270 c.p.p. Premesso che nel caso di specie non si verte in ipotesi di diverso procedimento trattandosi di diversa qualificazione dello stesso fatto-reato da parte del Tribunale del riesame che ha mutato l’originaria imputazione di estorsione in circonvenzione di incapace rispetto alla quale era comunque ammissibile l’attività captativa in argomento, deve comunque osservarsi che a fronte di un mutamento del titolo del reato la prova acquisita è sempre utilizzabile, in quanto il divieto previsto dall’art. 271 c.p.p. è imposto soltanto con riferimento ai provvedimenti adottati in casi non consentiti. La ritualità della acquisizione probatoria va infatti valutata con riferimento al momento dell’acquisizione stessa.
Deve comunque aggiungersi che il disposto fissato dall’art. 185 c.p.p., comma 1, secondo cui la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo, non trova applicazione in materia di inutilizzabilità, riguardando quest’ultima solo le prove illegittimamente acquisite e non altre, la cui acquisizione sia avvenuta in modo autonomo e nelle forme consentite.
Ciò detto deve altresì rilevarsi che il Tribunale ha dato conto con motivazione logica e coerente delle ragioni che hanno determinato l’emissione del provvedimento in argomento individuate: nelle consegne di denaro dal F. all’imputato, osservate dagli operanti nel corso dei servizi di o.p.c, l’ultima delle quali di Euro 10.000,00 ha determinato l’arresto in flagranza dell’imputato; nelle informazioni ottenute presso la filiale della banca di cui il F. era cliente; nel comportamento tenuto dallo stesso F. nell’immediatezza dell’arresto; nell’acquisizione del contratto di acquisto dell’autovettura intestata all’ A. con fotocopie degli assegni relativi al pagamento di detto veicolo, tutti tratti dal conto del F., ancora nella documentazione relativa ad un assegno intestato ad un familiare dell’ A. destinato all’acquisto di un’attività commerciale. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
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