Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-04-2011) 26-04-2011, n. 16357

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Torino con ordinanza del 31.1-3.2.2011 confermava la misura cautelare custodiale emessa dal locale GIP in data 14.1.2011 nei confronti del cittadino (OMISSIS) R.S. per i reati di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, art. 61 c.p., n. 2; art. 611 c.p., commi 1 e 2; artt. 111 e 372 c.p., in relazione alla costrizione di P.L. a ritirare le accuse mosse nei confronti di R. e altri per fatti di violenza sessuale ed alla successiva falsa testimonianza della stessa e della sorella minorenne in sede di incidente probatorio. La misura custodiale aveva fatto seguito a precedente misura, emessa anche a carico del R. per violenza sessuale in danno delle sorelle, misura confermata in esito alla procedura incidentale di riesame; la misura oggetto dell’odierno ricorso era stata emessa in esito ad indagini svolte dopo che in sede di incidente probatorio le donne avevano ritrattato le accuse originarie.

2. Ricorre nell’interesse di R. il difensore fiduciario, con primo motivo denunciando l’omessa motivazione sui gravi indizi e l’erronea qualificazione giuridica data ai fatti dai Giudici del merito cautelare. Secondo il ricorrente – a quanto pare di comprendere – sarebbe configurabile il delitto di subornazione, avendo di fatto le donne assunto la qualifica di testimoni perchè l’incidente probatorio costituisce momento di anticipazione del dibattimento, qualifica permanente nel prosieguo delle indagini con la conseguenza che a loro carico sarebbe configurabile il delitto di "intralcio alla giustizia". La contestazione ex artt. 611, 111 e 372 c.p. costituirebbe poi mera duplicazione. In definitiva, quale che fosse il successivo sviluppo dell’iter del procedimento, verso il dibattimento o verso il giudizio abbreviato, sarebbe configurabile solo il delitto di cui all’art. 377 c.p., commi 1 e 3, norma speciale rispetto all’art. 611 c.p., non essendo stato conseguito il fine cui la condotta minatoria sarebbe stata diretta, con il venir meno della possibilità di applicare la misura cautelare.

Il secondo motivo denuncia vizi di legittimità e omessa motivazione in relazione ai reati di legge armi, perchè le dichiarazioni di P.L., per la loro contraddittorietà e per l’inattendibilità soggettiva della teste non sarebbero sufficienti ad integrare la necessaria gravità indiziaria, ed il Riesame non avrebbe motivato sul punto.

3. La parte del primo motivo, sull’omessa motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è inammissibile perchè manifestamente infondato e del tutto generico. La Corte ha invece spiegato perchè dovesse ritenersi certa la falsità delle dichiarazioni rese in incidente probatorio, e sul punto il ricorrente sfugge ogni confronto argomentativo.

La parte del motivo relativo all’erronea qualificazione giuridica è manifestamente infondata. L’art. 377 c.p. da rilievo a condotte di violenza e minaccia (nella specie ritenute sussistenti) solo quando il fine – la commissione del delitto di falsa testimonianza, nel nostro caso – non sia conseguito, trattandosi di reato di pericolo.

Ma poichè le due donne, proprio a seguito delle condotte di minaccia o violenza – secondo quanto ritenuto dai Giudici del merito cautelare -, hanno reso dichiarazioni false davanti al giudice in incidente probatorio, così consumando il delitto di falsa testimonianza, il fine è stato conseguito e l’art. 377 c.p. è inapplicabile.

L’assunto difensivo (pag. 6), secondo cui in ragione delle possibili evenienze del procedimento il fine non sarebbe stato perseguito, è francamente non comprensibile.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Il Riesame ha richiamato le dichiarazioni della donna che, come riferito dal primo Giudice e non contraddetto in ricorso, ha descritto condotte di minaccia anche con arma; le deduzioni sull’insufficienza delle dichiarazioni della teste attengono al merito, e realizzano quindi anche l’ulteriore causa di inammissibilità del motivo non consentito.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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